Di seguito la seconda finestra sulle realtà culturali che stanno presentando il progetto #apparecchioper al bando Che fare. Dopo il contributo di Macao Mi, continuiamo con l’Ex-Asilo Filangeri.
Napoli, marzo 2014. Sono passati esattamente due anni da quando centinaia di lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale, cittadini, movimenti napoletani e provenienti da tutta Italia entravano nell’Ex Asilo Filangieri, sede del grande evento fantasma Forum Universale delle Culture, dando vita a quel processo di gestione collettiva e di sperimentazione artistica e culturale che oggi è l’Asilo. Due mesi dopo fu la volta di Macao a Milano. Le mobilitazioni che allora si contagiarono rapidamente e spontaneamente in tutta Italia portavano il conflitto nei luoghi simbolo della degenerazione del sistema culturale italiano, fondato su un’industria culturale obsoleta e artificiale, asservita a logiche di profitto di corto respiro e a gestioni privatistiche e clientelari da parte di partiti e politici che hanno sempre visto nella “cultura” un efficace strumento di consenso elettorale. Un sistema che ha generato sprechi e sfruttamento, posizioni di rendita e di chiusura, che ha alimentato autoreferenzialità nel settore culturale e distanza, se non disprezzo, da parte della cittadinanza. L’azione di questo movimento nazionale ha messo insieme, da subito, le azioni di protesta con l’elaborazione di alternative concrete che potessero servire da modelli per il cambiamento, accostando alla riappropriazione simbolica degli spazi, la sperimentazione di pratiche radicali di ricomposizione dei lavoratori verso nuove forme di organizzazione, produzione e fruizione della cultura. Si è da subito sentita la necessità di ripartire da zero, applicando ad un processo politico di gestione collettiva il procedimento tipico dell’atto creativo, quello cioè di una pratica concreta fondata sull’incontro e sull’essere costantemente “nel presente”. A questa va aggiunta un’attenzione particolare all’inclusività: laddove un sistema scellerato generava diffidenza, esclusione, chiusura, staticità, logiche privatistiche e giochi di potere, andava contrapposto un organismo aperto, pulsante, senza filtri, senza verticismi e personalizzazioni, dove lavoratori e fruitori potessero autodeterminarsi e autogestirsi. Da qui l’immagine di un asilo, il luogo dove le persone incontrano per la prima volta la socialità, si scontrano e si confrontano con gli altri, arricchendo e potenziando i propri precorsi individuali.
In questi due anni l’ Asilo e gli altri spazi della rete hanno generato nuove prassi e dimostrato come i beni pubblici inutilizzati possano diventare luoghi di aggregazione e collaborazione tra cittadini e lavoratori, e sostegno concreto a tutto ciò che concerne la produzione di lavori artistici con la messa in comune di spazi e mezzi (sale prove, impianti audio, video, di illuminotecnica etc. di cui l’Asilo si è dotato attraverso iniziative di autofinanziamento e recupero di materiali inutilizzati messi a disposizione da compagnie, gruppi e singoli artisti) per poter svolgere il proprio lavoro. L’Asilo è stato attraversato da centinaia di migliaia di cittadini e ha visto l’incontro di centinaia di artisti, studiosi e ricercatori, si è preso il lusso di riflettere su pratiche artistiche e politiche, ha creato occasioni d’incontro con artisti di livello internazionale, momenti di confronto con compagnie della scena contemporanea di passaggio in città, spazi di sperimentazione per giovani e giovanissimi, ma anche per artisti già affermanti che hanno visto i loro percorsi compromessi dalla drastica riduzione di spazi, tempi e risorse per la ricerca artistica, che a Napoli è avvenuta in maniera particolarmente scellerata.
In base alla sua vocazione di centro di produzione interdipendente, questo processo si fonda su due punti fondamentali: comunità e autogoverno. Da un lato la costruzione di una comunità aperta, fluida, potenzialmente infinita e dall’altra la sperimentazione di una gestione fondata sull’autogoverno dei lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale – che di quella comunità fanno parte – secondo principi di cooperazione, mutualismo e solidarietà.
Fin da subito l’esperienza dell’Asilo ha sentito la necessità di avviare una riflessione su quali dovessero essere i principi e le regole dell’autogoverno. In un tavolo di lavoro pubblico è stato elaborato Il regolamento d’uso civico dell’ex Asilo Filangieri. Il regolamento, ispirandosi a un’interpretazione estensiva degli usi civici – un’antica istituzione che ha garantito nel tempo l’uso collettivo da parte di determinate comunità di alcuni beni, quali boschi, fiumi, mulini, frantoi – intende elaborare un modello di gestione dei beni pubblici, che ne faccia rivivere la loro funzione sociale, garantendo l’accessibilità, l’imparzialità e l’inclusività nell’uso degli spazi e degli strumenti di produzione. Sono coloro che usano i beni pubblici riconosciuti come beni comuni ad essere direttamente legittimati a gestirli, attraverso decisioni prese in maniera democratica ed orizzontale. Si propone, dunque, un modello di “uso civico” capace di trasformare il pubblico riarticolandone la sovranità e trasferendola a nuove istituzioni popolari radicalmente democratiche, erodendo così il verso autoritario della discrezionalità politica ed amministrativa.
I percorsi svolti fino ad oggi dagli spazi culturali autogovernati sono dunque multiformi; attraversano il nostro presente alimentandosi delle sue complessità e trasformandole in forza viva. Quella che Bifo riguardo al Teatro Valle definisce “campagna contro la tristezza” si manifesta come riattivazione di un desiderio che dieci anni di isolamento avevano svuotato. Un desiderio che spinge a tentare e ad affrontare nuovi possibili avanzamenti.
In quest’ottica si inserisce il bando cheFare2 promosso dall’associazione culturale Doppiozero a cui l’Asilo di Napoli, Macao di Milano e S.a.l.e Docks di Venezia stanno partecipando con “Apparecchio per aprire dal di sotto“: un unico progetto comune per la costruzione di una piattaforma web che consenta una mappatura dei mezzi di produzione e degli spazi messi a disposizione da tutte le realtà che nel tempo aderiranno alla rete. Il progetto prevede anche, sul modello di una banca del tempo, lo sviluppo e il potenziamento di nuove economie basate sullo scambio di competenze e la creazione di una moneta digitale. L’Apparecchio, inoltre, si pone l’obbiettivo di creare un’area digitale per l’archiviazione e la promozione delle produzioni della rete con finalità di diffusione, condivisione e di finanziamento dal basso (crowdfounding). Il progetto è aperto a tutti, singoli e gruppi organizzati: sia a chi vuole mettere a disposizione le proprie risorse, sia a chi è in cerca di spazi, strumenti, competenze e altro.
Il bando si è da subito rivelato un’occasione per potenziare le pratiche comuni fino ad oggi sperimentate e per ampliare il dibattito su molteplici aspetti: dalla gestione collettiva delle risorse economiche, tema centrale di alcuni tavoli di lavoro, primo tra tutti quello delle arti della scena – settore che non può prescindere da investimenti economici – che ragiona da tempo sulla necessità di una più equa redistribuzione dei finanziamenti pubblici; alla possibilità di sperimentare alcune parti del Regolamento d’uso civico, per cui la comunità si arricchirebbe di un “apparecchio per” facilitare la gestione organizzativa e il coordinamento delle funzioni che il Regolamento stesso indica nei suoi articoli. E soprattutto la possibilità di costruire un “apparecchio per” creare una connessione stabile, quotidiana tra gli spazi della rete e non solo, accessibile, come si è già detto, a tutti coloro che intendono parteciparvi, avviando un sistema cooperativo aperto, a partire dalle realtà che lo promuovono e dalla loro organizzazione sperimentale. Già dal titolo, il progetto indica un metodo, “dal di sotto”, un meccanismo che, come quello che il filosofo francese Gilles Deleuze denominava rizoma, genera un sistema di produzione, riproduzione e comunicazione “che collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi”. Le arti, le competenze, le esperienze si mescolano, si contaminano sviluppando un sistema aperto, liberamente e infinitamente percorribile, rendendo così possibile un circuito continuo di interazioni e combinazioni. Chi percorre il rizoma, in qualche modo ne diventa parte. “Un apparecchio per” allargare continuamente i bordi delle comunità, promuovere la pluralità e moltiplicare relazioni creative, produzioni culturali e possibilità di lavoro.