Esporre la protesta

Democrazia e rivolta nell’anniversario del massacro di Peterloo.

Esporre la protesta. Democrazia e rivolta nell'anniversario di Peterloo
Vetro commemorativo del massacro di Peterloo (anonimo, 1821 circa), copia da Richard Carlile, “The Peterloo Massacre” (1819)

Dans le noir, dans le soir sera sa mémoire
dans ce qui souffre, dans ce qui suinte
dans ce qui cherche et ne trouve pas
dans le chaland de débarquement qui crève sur la grève
dans le départ sifflant de la balle traceuse
dans l’île de soufre sera sa mémoire.
Henri Michaux, Qu’il repose en révolte

La mattina del 16 agosto 1819 circa 70.000 tra donne, uomini e bambini si misero in marcia in direzione di St. Peter’s Field. Una grande folla variopinta, così raccontano le cronache, che dalle campagne si era data appuntamento nella città di Manchester per assistere al comizio di Henry Hunt, famoso oratore e strenuo sostenitore del radicalismo democratico. La festa si trasformò in un massacro: una quindicina di morti e oltre 500 feriti in seguito all’arrivo del reggimento di cavalleria, fatto intervenire per disperdere i partecipanti.

Peterloo fu il nome coniato dalle cronache dell’epoca, richiamando la memoria ancora fresca di quella battaglia epocale, Waterloo, che quattro anni prima segnò la fine dell’espansione napoleonica da parte degli eserciti inglese e prussiano, al prezzo di decine di migliaia di morti. Quell’esperienza, considerata uno degli eventi politici più significativi dell’Inghilterra moderna, si inserisce in uno snodo storico decisivo nel processo di costituzione di una coscienza di classe da parte dei lavoratori, capaci sempre più di partecipare al dibattito pubblico per conseguire, sul lungo periodo, vittorie decisive in termini di giustizia sociale.

È proprio lungo la ricostruzione di questo processo complesso e dei suoi effetti sul presente – uno degli slogan del bicentenario è “The Past, Present+Future of the Protest” – che la città di Manchester ha messo in campo un sistema integrato di mostre, eventi, manifestazioni, progetti didattici e artistici. Peterloo. Protest. Democracy. Freedoom è la piattaforma online dalla quale è possibile accedere a questo reticolo che va ben oltre la commemorazione per innestare la protesta di Peterloo all’interno di una storia politica di lunga durata che raggiunge il 1968, anno in cui l’età di voto fu abbassata a diciotto anni. Attraverso il progetto educativo “radical read”, Peeterloo raggiunge persino i movimenti giovanili di protesta contemporanei, come lo School Strike 4 Climate lanciato in Svezia da Greta Thunberg e il prossimo Global Climate Strike.

Tra i vari luoghi che espongono la storia degli eventi accaduti a St. Peter’s Field figura anche il People’s History Museum di Manchester, il “museo nazionale della democrazia”, che unisce storia materiale, ideologica e politica in un’unica cornice. Attraverso oggetti commemorativi, stendardi, manifesti, fotografie e filmati il museo si propone di raccontare la storia delle battaglie per i diritti e delle organizzazioni politiche e il loro sviluppo tra passato, presente e futuro, smaterializzando progressivamente i supporti in accordo con il mutamento delle esigenze e delle rivendicazioni. I fatti di Peterloo occupano ovviamente una posizione di rilievo nel percorso espositivo, al quale si aggiunge, nel duecentesimo anniversario del massacro, un’esposizione temporanea “Disrupt? Peterloo and Protest”, che espande brevemente la sezione museale già dedicata a quel lontano 16 agosto del 1819 e si interroga – come evidenzia il punto interrogativo – sulla sua eredità nella cornice delle forme odierne di protesta.

Esporre la protesta. Democrazia e rivolta nell'anniversario di Peterloo
People’s History Museum: la sala dedicata alle grandi rivoluzioni della modernità

Al visitatore che percorre le diverse sale, concepite nella collezione permanente come un unico flusso vagamente spiraliforme ordinato secondo un rigido criterio cronologico, non può non sorgere una domanda spontanea: che cos’è davvero la democrazia? Curiosamente, a questo quesito, il museo sembra fornire due risposte complementari eppure alternative. Da un lato la democrazia è una tensione etica, culturale e politica che attraversa e accomuna luoghi e tempi diversi e che lascia tracce visibili al suo passaggio in manufatti molto diversi (piatti, tazze, bandiere, immagini, discorsi…). Dall’altro è la storia che mette al centro il popolo, che però, per essere visibile, deve diventare gente (secondo l’ambiguità semantica propria della lingua inglese), e dunque casi concreti che hanno incarnato quella tensione in un’ottica esemplare (indipendentemente che si tratti di macro- o microstoria).

Le risposte sono appunto complementari, ma all’interno della cornice museale diventano subito alternative, quasi inconciliabili: in quel percorso conchiuso, infatti, la dimensione necessariamente in divenire ed esondante ogni confine propria della prima opzione sbatte contro la chiusura, temporale quanto materiale, della seconda. Musealizzando la democrazia, cristallizandone la potenza che la mette in moto e le forze che di converso mette in moto, si produce dunque uno strano effetto di imbalsamazione che la respinge a cosa del passato, esposta appunto all’ammirazione del pubblico, ma da questi irrimediabilmente separata.

Un’inconciliabilità che acquista spessore ancor più tangibile nel momento in cui si accede alla piccola mostra temporanea, dove i fatti di Peterloo sono utilizzati come matrice per pensare le forme della protesta nel contemporaneo. La storia assume qui il suo classico ruolo di magistra vitae, secondo però una prospettiva antistoricistica, benjiaminianamente materialista, coincidendo con il punto di vista degli sconfitti. Se la protesta si lega necessariamente con l’attualità, è allora possibile irretirla dentro la staticità di una mostra che, per forza maggiore, si trova a fornire una conclusione a qualcosa che ancora si muove, si rivolta, avanza nello spazio e nel tempo?

Esporre la protesta. Democrazia e rivolta dopo Peterloo
“Disrupt? Peterloo and Protest”: mappa delle azioni di proteta nella Greater Manchester Area

Nella sua apparente ingenuità, è la struttura stessa che prova a superare questo dilemma: al visitatore è infatti richiesto di raccontare il proprio rapporto con la protesta, scrivendo aneddoti personali, portando materiale, riempiendo una cartina di Manchester e dintorni (analoga a quella che nella sala accanto mostra la provenienza dei dimostranti giunti a St. Peter’s Field) con i luoghi dove queste proteste hanno avuto luogo. Esponendola tanto allo sguardo quanto al gesto di chi entra, la protesta messa in mostra sembra assumere le forme di quella cartina bianca che per acquisire senso deve riempirsi progressivamente, scongiurando così il rischio di una stabilità accomodante.

Eppure, soffermandosi con un più di attenzione sulle istanze di quegli atti di protesta, si rimane colpiti dalla distanza che divide la chiarezza di quelle rivendicazioni (il miglioramento delle condizioni di vita immiserite dalle guerre napoleoniche e dai dazi sui cereali, nonché la riforma della rappresentanza parlamentare) e la vaghezza un po’ stereotipata di queste. Appena compiuto il salto di duecento anni che separa quel passato dall’attualità più immediata, insomma, si percepisce che quella storia non è affatto “spazzolata contropelo”, non si trovano escrescenze ispide che mettono in questione la linearità che il montaggio tra tempi diversi pone come evidente, facendo di ogni atto di protesta una protuberanza di quella matrice così potente.

Se quel gesto di duecento anni fa ha potuto produrre un’eco così forte è perché scardinava completamente l’ordine del quotidiano, introduceva cioè una frattura profonda nel fluire liscio del tempo rivoltando, appunto, il normale ordine discorsivo e sociale. Un gesto che oggi è invece corre il rischio di essere definitivamente catturato e risemantizzato, finendo per esporsi come rivisitazione storica nell’anniversario del massacro, come film in costume, in definitiva come un’occasione di celebrazione tra le tante.

Al punto che la protesta può addirittura diventare parata grazie al Pride, uno dei più partecipati in tutta Europa, che da diversi anni sfila nel centro di Manchester. Guardando l’enorme corteo non passa inosservato il susseguirsi di movimenti, istituzioni e associazioni di categoria, dai dipendenti della BBC alla polizia, fino alla Royal Navy. L’esposizione pubblica, colorata ed eccessiva dell’orgoglio LGBT fa in modo che la rivendicazione delle diversità diventi uno strumento di uguaglianza e paradossalmente di assopimento dei conflitti. Di fronte alla trasformazione di ogni atto “civico” – proprio di ogni buon cittadino – in un atto di potenziale rivolta, viene da chiedersi: “che cos’è la protesta?”. Cosa sta accadendo alla semantica del termine “rivolta” e alla sua prassi in cui è l’azione del singolo ad essere il principio per l’affermazione di una rinnovata dimensione plurale?

Non si tratta certo di una domanda che preveda risposta univoca né tantomeno definitiva, ma è certamente un interrogativo che dovremmo porci – tutti quanti – nel momento in cui il nostro presente sembra segnato dalla ipertrofia delle occasioni e dei luoghi di protesta, e al contempo dalla loro pressoché completa inefficacia. Se la memoria di un evento come Peterloo ha ancora una sua utilità nei confronti del presente, questa non può che passare da un attento ripensamento delle forze e delle forme che hanno costituito quella carneficina appunto come evento, come insorgenza improvvisa di linee temporali scontratesi in quel punto. Proprio per non consentire ai vincitori di prendersi anche la storia dei vinti.

 
Il Pride sfila per le strade di Manchester (foto di @SamanthaM.anchester)
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