Esercizi di memoria e di storia (#ioricordo Genova)

di Vincenzo Idone Cassone

«La memoria conta veramente – per gli individui, le collettività, le civiltà – solo se tiene insieme l’impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare quel che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare.»

Italo Calvino

In questi giorni lungo tutta la rete ricorre l’anniversario dei fatti del G8 di Genova: dieci anni, praticamente da ricorrenza. Non abbastanza, credo: più spesso il 2001 viene visto come anno di svolta per un’altra data certo importantissima, l’unica a fare storia (la storia del potere). L’11 settembre, croce e delizia degli storici contemporanei, periodo di svolta, ritorno al reale e altro ancora.

Forse è proprio per questo che ho apprezzato così tanto la nascita, poche settimane fa, di #ioricordo Genova, pagina in cui è possibile condividere i propri ricordi di quei giorni, come base per un successivo racconto collettivo. La prima pagina del sito segnala: «Non vogliamo ricostruire i fatti di Genova o i processi che sono seguiti: è già stato fatto più volte, nelle sedi più adatte e in quelle meno adatte, con risultati che chiunque può valutare.»

Questo è un punto importante: come a dire “la cronaca è stata fatta, da noi, nelle aule di tribunale e verrà ancora fatta; ma quello che vorremmo oggi, dieci anni dopo, è coagulare la memoria collettiva.”

Poche settimane fa, in Val di Susa, abbiamo assistito alla cronaca via Twitter fatta dagli attivisti, cronaca che è stata sintetizzata in uno Storify, e che poi ha trovato una raccolta di tutti i nostri racconti, più o meno completi, più o meno personali, in un Pdf gratuito; e questo racconto/cronaca si muoveva contro i racconti stereotipici, imprecisi e senza sbocco dei media tradizionali, all’interno di una battaglia (giustamente considerata da Flavio Pintarelli un mediaclash) per le possibilità (e le forme) di narrazione.

L’impressione è che negli ultimi anni i media partecipativi stiano tornando sempre di più su un problema di gestione e conservazione del tempo, lungo oltre che breve, e che stiano tentando di trovare forme (proprie) adeguate allo scopo; che tutto questo virtualmente rivendichi uno sguardo e un esercizio di memoria differente da quella dei media mainstream (anche se nel loro caso verrebbe più da parlare di memoria involontaria). Esercizio che vorrei “costellare” con una serie di riflessioni basate sul concetto di memoria storica, per tirarne fuori una sorta di mappa provvisoria che finisce col ripercorrere alcuni dei temi incrociati nell’ultimo anno: e che spero possa far parte del moto se non della direzione di parte del dibattito attuale sul web.

Trenta anni fa Franco Fortini, guardando un monumento funebre di un giovane partigiano, parlava delle modalità in cui la specie umana può assumere un ricordo [1], specialmente la morte di qualcuno (e qui il paragone con Carlo Giuliani può sembrare scomodo o improprio: non è questo il punto): il primo modo è l’accettazione personale, intima; il secondo è quella religiosa o trascendente: e infine, una terza via, quella di “gruppi compatti” che riescono ad inserire la morte individuale all’interno di un destino globale, del gruppo tutto; a spiegare la funzione del singolo nella crescita e nella storia di una collettività di cui faceva parte.

Questo discorso credo valga per ogni forma di ricordo/memoria (quella della lotta, come quella della sconfitta) ed è in ciò che si mostra la necessità, per i vari movimenti che sono saliti alla ribalta negli ultimi tempi, di portare avanti una propria storia; e che questa storia mantenga insieme l’aspetto della narrazione (cronaca) e l’aspetto della memoria (storia).

Walter Benjamin, partendo dalla concezione marxista di una storia come “esercizio di controllo della Classe dominante”, elabora l’idea che il materialismo storico si dovesse occupare di spezzare il continuum egemonico (delle idee), di leggere la storia per frammenti e non come naturale evoluzione [2]: quale «oggetto di una costruzione, il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di attualità», e a partire da questo il progetto di «far saltare un’ epoca determinata dal corso omogeneo della storia».

Sono presenti qui i due aspetti del presente (percezione istantanea) e del passato/futuro (progetto duraturo): un “balzo di tigre nel passato” porta alla creazione di una nuova storia, di un “arresto messianico”, ovvero una chance di cambiamento radicale nella «lotta per il passato oppresso». Aspetti che si trasformano ciclicamente l’uno nell’altro.

Qualche mese fa, non causalmente, i Wu Ming hanno parlato da noi di “Ritorno al pensiero utopico”, dove l’utopia diviene possibilità di immaginare un futuro strutturato, una visione completa, un mondo differente e che non sia semplicemente un “oggi invecchiato”, figlio di una visione placida della storia, che subiamo e a cui siamo anestetizzati: il che pone il problema di una politica dei tempi, di una maniera differente di vivere (e raccontare/esperire) la temporalità.

Forse gli sviluppi attuali mostrano proprio la possibilità di far cortocircuitare tra loro memoria lunga e memoria breve; di riuscire a trasformare le percezioni momentanee in una storia, in un racconto (e qui i tentativi di storifying a partire da Twitter, i dibattiti “a caldo” sui blog, o siti come #ioricordo Genova sono l’esempio); e dall’altra, la possibilità di ripercorrere in un lampo un periodo anche lungo della storia, di ripensarlo secondo una nuova ottica, e ritrovarsi straniati a riconoscere le differenze e le somiglianze (e qui penso al valore “memoriale” che le raccolte satiriche di “Spinoza” possono avere; o ai “salti nella storia” che le chiavi allegoriche presenti in romanzi come Q permettono).

Questi tentativi, allora, sembrano germi possibili di svilupparsi in diversi campi, intrecciati: come riflessione sull’uso non neutro delle forme mediatiche; come possibilità di rileggere il passato recente in maniera funzionale al presente; come nascita di forme autonome di memoria e di cronaca, che giungano unendosi a sviluppo di forme compiute di autonarrazione dei movimenti.

Note


[1] Lisiat, in F.Fortini, Saggi ed epigrammi, Meridiani Mondadori

[2] W.Benjamin, Tesi di Filosofia della storia, in Angelus Novus, Einaudi

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