Eravamo 100.000 testimoni

“Senza black bloc non avete più parole. Il vostro silenzio è la nostra vittoria”

Flavio Pintarelli

Se mi avessero chiesto di scrivere un resoconto della manifestazione No-Tav di sabato 25 febbraio probabilmente lo avrei intitolato “Senza black bloc non avete più parole. Il vostro silenzio è la nostra vittoria”. Questo sarebbe stato il titolo che avrei scelto prima di venire a conoscenza del vile agguato ordito da Polizia e Carabinieri agli ordini del macellaio Spartaco Mortola, funzionario di pubblica sicurezza pesantemente coinvolto nella vergognosa mattanza della scuola Diaz durante il G8 di Genova. Un “fallo di frustrazione” (l’espressione è estremamente indulgente, di questo mi scuso, ma rende bene l’idea) dovuto allo straordinario risultato ottenuto poche ore prima dal più incredibile movimento che ha attraversato, sta attraversando e attraverserà il nostro Paese in questi anni: il movimento No-Tav.

Simpatizzo per questo movimento fin dai fatti 2005-2006 e ho cominciato a conoscerlo e a seguirne le vicende approfonditamente a partire dall’estate del 2011, in concomitanza con la manifestazione del 3 luglio durante la quale vissi una giornata di impegno in Rete insieme a molti altri mediattivisti.

Ma la Rete non basta per capire certi fenomeni, alcune volte è necessario staccarsi dallo schermo del computer e calcare le strade, incontrare la gente e sentirsi parte di qualcosa che trascenda la propria dimensione personale. Sono stati questi motivi, oltre alla voglia di vedere da vicino il movimento No-Tav nel suo territorio, a spingermi a partecipare alla manifestazione di sabato 25 febbraio.

Insieme ad alcuni amici siamo partiti da Bolzano con l’automobile e verso mezzogiorno abbiamo fatto il nostro ingresso a Bussoleno, dove alle ore 13.00 era previsto il concentramento del corteo. Al momento della partenza rimaniamo perplessi, perché a prima vista non c’è molta gente, ma questa sensazione non ci disturba più di tanto e ci immettiamo in uno dei primi spezzoni del corteo che ci accoglie in un’atmosfera determinata e festante.

La giornata è splendida e le temperature sarebbero più adatte a una giornata di maggio che a una giornata di febbraio, ma nessuno si lamenta del caldo, anzi, siamo più che felici di riporre giacchetti e maglioni negli zaini e di farci baciare in faccia dal bel sole valsusino. Dopo circa un chilometro di camminata affrontiamo una piccola salita e quando arriviamo in cima ci voltiamo per la prima volta in modo da poter vedere il resto del corteo. Rimaniamo stupefatti quando ci rendiamo conto di non riuscire a vederne la coda e ci domandiamo da dove sia uscita tutta quella gente, visto che solo pochi minuti prima, quando eravamo partiti, avevamo avuto l’impressione di essere in pochi.

Riprendiamo la marcia e il morale è ancora più alto di prima: siamo tantissimi, non c’è tensione nell’aria anche perché le Forze dell’Ordine stanno a distanza e non si fanno vedere, eccezion fatta per l’elicottero che sorvola la valle e viene “salutato” spessissimo da diti medi alzati ed altri gesti apotropaici.

Colpisce la capacità di questo corteo e del movimento No Tav di proporsi come sintesi di molte delle resistenze che agitano questi tempi di crisi. Ci sono spezzoni del corteo che espongono bandiere greche in segno di solidarietà – Chiomonte come Atene cantano alcuni – con il popolo ellenico e la sua lotta contro le politiche di austerità imposte dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, c’è uno spezzone degli attivisti tedeschi contrari allo Stuttgart 21, un progetto di sviluppo urbano e ferroviario fortemente criticato dai movimenti tedeschi. Insomma un’istantanea ben diversa da quelle di chi vorrebbe questo movimento soltanto una protesta di “cortile”.

Ma tutto questo non lo vedrete sui giornali, perché ai giornali una manifestazione pacifica non interessa, i giornali vogliono un mostro da sbattere in prima pagina anche a costo di fabbricarlo ad arte. Ma, se posso essere provocatorio, penso che sia un bene che sui giornali non si parli di certe cose, perché un conto è leggere di questo movimento sui quotidiani e un altro conto è incontrarlo di persona, toccare con mano la dignità e la rabbia dei valsusini, fermarsi ad ascoltare le loro storie. Storie che raccontano di piccoli e grandi soprusi quotidiani vissuti nel clima di occupazione militare a cui i valsusini sono costretti da uno Stato che spende quasi 90.000 euro al giorno per mantenere il non-cantiere di un’opera sulla cui utilità sempre più persone esprimono dubbi di varia natura.

Chi sabato era in Val di Susa, dunque, è ben più che un semplice manifestante, chi ieri era in Val di Susa ha raccolto sulle sue spalle il ruolo del testimone e la sua presenza è diventata testimonianza: testimonianza nei confronti di un territorio e dei suoi abitanti ma anche nei confronti di tutti coloro che ieri in Valle non c’erano.

Ecco come mi sento oggi: oggi io sono un testimone e accetto questo ruolo e ciò che questo ruolo comporta.

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