Riflessioni a partire da un progetto di scambio universitario tra l’Università di Siena e quattro università palestinesi. Se ne parla sabato 4 giugno, a Siena, al Circolo Arci Lavoro e Sport (Via Pispini 18).

Sabato 4 giugno a Siena, alle ore 17, nel giardino del Circolo Arci Lavoro e Sport (via dei Pispini 18), si terrà un incontro inedito, particolare, organizzato dai soci del circolo insieme a il lavoro culturale e a Siena per Gaza. Il titolo è “Quando l’Erasmus è in Palestina” perché, stavolta, il famoso programma di scambio universitario non sarà in qualche capitale europea, in qualche famosa università del primo mondo, ma sarà, per gli studenti che lo sceglieranno, nei Territori Occupati, in Palestina, nel cuore del Medio Oriente.
Che cos’è l’Erasmus Plus Palestine Project?
Si tratta di un progetto Erasmus+, denominato Erasmus Plus Palestine Project e coordinato dall’Università di Siena, che prevede borse di mobilità per studenti dell’Università di Siena che intendono svolgere un periodo di studio in Palestina, nonché per docenti e studenti palestinesi che intendono fare altrettanto nella città del Palio.
Che io sappia (sarei molto felice di essere smentito…), si tratta di un’iniziativa unica nel panorama italiano, una sorta di programma apripista, volto a stabilire e far crescere delle relazioni accademiche di studio e ricerca con istituzioni universitarie della Palestina occupata. Un bel segnale di apertura da parte dell’Università di Siena, pioniera di nuovi ponti di pace e conoscenza verso il Levante.
Le università palestinesi partner sono quattro: Al Quds University (Gerusalemme), Birzeit University (Ramallah), An-Najah National University (Nablus) e Bethlehem University (Betlemme). Il programma, di durata biennale, prevede per il primo anno l’arrivo a Siena di otto docenti palestinesi, mentre per il secondo è la volta degli studenti. Da Siena, invece, partiranno solo studenti, con borse disponibili fin da ora sia per il primo che per il secondo anno.
Otto docenti palestinesi a Siena
Alcuni docenti palestinesi hanno già solcato “le lastre”, altri sono a Siena in questi giorni, come i tre che parteciperanno all’incontro di sabato. Il loro calendario prevede sia lezioni e seminari di carattere accademico, ognuno nelle rispettive discipline, sia eventi pubblici rivolti alla cittadinanza ed organizzati in diversi luoghi della città. D’altra parte, come non sfruttare la presenza di professori palestinesi per conoscere e approfondire questioni legate al conflitto arabo-israeliano, alla lotta contro l’occupazione, a temi cruciali per il futuro della questione palestinese?
Con Mazin Qumsiyeh, biologo dell’Università di Betlemme e direttore del Museo Nazionale di Storia Naturale della Palestina, abbiamo discusso della soluzione ad uno stato e della difficoltà di fare ricerca e gestire un museo sotto occupazione; con Amneh Badran, docente di Scienze Politiche all’Università Al Quds di Gerusalemme, abbiamo affrontato la questione del futuro di Gerusalemme, della condizione “sospesa” degli abitanti di Gerusalemme Est, residenti ma non cittadini, oltre ad altre interessanti tematiche legate alla storia della nascita di Israele e alle difficoltà e passi falsi di un processo di pace mai davvero perseguito da Israele. In questo senso, affermo cosa ormai nota, gli Accordi di Oslo del 1993 si sono rivelati inutili, se non controproducenti.
Gli studenti, i docenti e i cittadini di Siena hanno avuto e hanno la possibilità di capire e confrontarsi in modo diretto con ciò che accade in Palestina, con le difficoltà quotidiane di chi ci vive, con i molteplici volti di un’occupazione che si fa sempre più aggressiva.

Le “operazioni” militari di Israele
Il contributo del percorso Siena per Gaza, nato nel 2014 per denunciare ed opporsi all’ultimo attacco militare israeliano a Gaza, denominato dallo stato sionista “Operazione Margine di Protezione”, e che ha poi proseguito la propria attività di sensibilizzazione, informazione e solidarietà internazionale, è stato decisivo per l’organizzazione di questi incontri rivolti alla cittadinanza e per la realizzazione del progetto.
Le operazioni militari israeliane nella Striscia, ma anche nei Territori Occupati della West Bank, sono quotidiane e costanti. Tra esse, spiccano per ferocia e dimensioni l’operazione “Margine Protettivo” del 2014 e quella denominata “Piombo Fuso”, avvenuta tra dicembre 2008 e gennaio 2009, entrambe contro la popolazione della Striscia di Gaza.
Queste aggressioni militari, eufemisticamente denominate “operazioni”, hanno anche un rilevante impatto economico legato alla produzione ed al commercio di armi, come descritto in Sette anni di Piombo Fuso, oltre a causare la morte di migliaia di civili e la distruzione di case, infrastrutture e servizi. In ultima analisi, la morte di una comunità, la cancellazione di una popolazione. Quella che spesso è stata chiamata, anche dallo storico israeliano Ilan Pappé, la “pulizia etnica della Palestina”.
La campagna internazionale BDS e il boicottaggio accademico
Per fermare la politica di occupazione e violenza, di mancato rispetto delle risoluzioni internazionali e dei diritti umani, di soprusi e oppressione, sono tante le iniziative internazionali che in questi anni sono state messe in campo. Tra esse, la più efficace e diffusa è senz’altro la campagna internazionale BDS (Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni) che ha incontrato l’appoggio di singoli, associazioni ed istituzioni in tutto il mondo, dando risultati tangibili e mettendo in difficoltà il governo israeliano, la cui popolarità nel mondo è ai minimi storici.
Un ramo sempre più diffuso della campagna BDS, che vede il sostegno anche di molti ebrei e che si declina a tutti i livelli e in specifici ambiti, è il boicottaggio accademico delle università israeliane, come ci racconta Omar Barghouti nella sua intervista.[1] Il boicottaggio accademico, tuttavia, è oggetto di un acceso dibattito tra chi lo sostiene, chi lo critica e chi, pur magari condividendone le ragioni, lo approva solo parzialmente, se non con ampie riserve.
Recentemente è uscito un appello firmato da numerosi docenti e ricercatrici/ori di università italiane che chiede la revoca degli accordi che alcune università italiane hanno stretto con il Technion, a sostegno della campagna palestinese per il boicottaggio accademico delle università israeliane, le quali “collaborano alla ricerca militare e allo sviluppo delle armi usate dall’esercito israeliano contro la popolazione palestinese, fornendo un indiscutibile sostegno all’occupazione militare e alla colonizzazione della Palestina”.
Il Technion è l’Istituto Israeliano di Tecnologia, coinvolto più di ogni altra università nel complesso militare-industriale israeliano, che “sviluppa programmi congiunti di ricerca e collabora con l’esercito israeliano e con le principali aziende produttrici di armi in Israele, tra cui Elbit Systems”.

Oltre il boicottaggio accademico
Se da un lato quindi la campagna BDS si è rivelata uno strumento utile per fare pressione su governo e società israeliani affinché cessino le politiche di espansione, occupazione e violenza, ed il boicottaggio accademico un aspetto sostanziale di tale campagna, dall’altro credo sia necessario conoscere, riconoscere e sostenere l’attività scientifica e la funzione socio-educativa delle istituzioni accademiche palestinesi. Se le istituzioni universitarie partecipano del corpo politico-culturale di uno stato, per quanto in questo caso non si possa parlare di “Stato Palestinese”, mi sembra essenziale mettere in campo risorse ed energie per attivare progetti di collaborazione e scambio con le realtà accademiche presenti ed attive nella Palestina occupata di oggi.
I progetti che ci sono o che, auspicabilmente, verranno attivati in questa direzione sono, a pare mio, da intendere come complementari alla campagna di boicottaggio accademico, come la pars construens di un processo di riconoscimento internazionale del diritto ad esistere dello stato palestinese, per quanto chi scriva, come alcuni palestinesi ed alcuni israeliani progressisti, coltivi il sogno di un unico stato, democratico e laico, per la Palestina. Ma sulla questione di quale sia la strategia da perseguire, che vede da un lato la “soluzione a due stati” e dall’altro la “soluzione a uno stato”, per il momento sospendiamo il giudizio, poiché all’ordine del giorno vi è la cessazione della politica di colonizzazione ed il rispetto delle convenzioni internazionali e dei diritti umani da parte del governo israeliano, oltre al fatto che a questo tema complesso spero dedicheremo altri approfondimenti in futuro.
La questione, tuttavia, è stata affrontata in alcuni incontri avuti a Siena dai docenti palestinesi, spesso sollecitati in tal senso dalle domande degli stessi studenti. Anche la giornata di sabato sarà l’occasione per tornare, tra i molti temi sul tavolo, anche su queste cruciali domande di fondo.
Molto più di un Erasmus
L’evento di sabato al Circolo Arci Lavoro e Sport sarà quindi un’occasione per riflettere collettivamente sull’importanza e le ricadute politiche delle relazioni accademiche, sul ruolo dell’Europa di oggi, messa a dura prova dalle politiche di austerità e dalle migrazioni di massa, e sulle possibili risposte internazionali al conflitto israelo-palestinese, anche se quest’espressione molto diffusa mi pare contenga in sé una grande mistificazione. Tutto ciò a partire da un caso concreto, il progetto Erasmus+ Palestine Project, che volentieri supportiamo e contribuiamo a far conoscere.
Lo faremo con il contributo di tre docenti palestinesi, in questi giorni a Siena: Tariq Dana (Birzeit University, Ramallah), Abdul Karim Barghouti (Birzeit University, Ramallah) e Said A. Zeedani (Al Quds University, Gerusalemme). Sarà l’occasione per interloquire con loro, fare domande e proporre punti di vista, ma anche per conoscere il progetto e, perché no, per gli studenti di Siena di informarsi su come, quando e perché decidere di voler fare un Erasmus proprio laggiù, nella Palestina occupata.
Alcune fotografie dell’evento
Note
[1] L’11 maggio, il ministero dell’interno israeliano ha rifiutato di rinnovare i documenti di viaggio dell’opinionista e attivista palestinese Omar Barghouti, uno dei fondatori della Campagna per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (Pacbi) e del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e sanzioni (Bds). [Fonte: Nena news]