“Charter in delirio!” Intervista a Marzia Grillo

Quando gli errori di traduzione diventano divertenti e godibili. Ovvero cosa succede se a tradurre le poesie di Emily Dickinson è un traduttore automatico.

Esce per i tipi della Elliot, curato da Marzia Grillo, un volumetto di poesie di Emily Dickinson. Il titolo del libro è Charter in delirio! ed è apparso nel mese di marzo di quest’anno. Niente di straordinario fin qui. Esistono già numerose e accreditate edizioni italiane dell’opera della poetessa americana. Il senso dell’operazione promossa da Elliot e realizzata da Marzia Grillo è però un altro.

Editore e curatrice si sono affidati a un traduttore “d’eccezione”: alcuni sistemi di traduzione automatica tra quelli disponibili in rete. Il tentativo è perciò quello di verificare cosa succede quando, in un processo assai complesso, come è la traduzione letteraria, ancor più quella poetica, si fanno incontrare, per così dire, l’uomo e la macchina. Il risultato è interessante sotto diversi profili. Come potete immaginare – perché ciascuno di noi ha usato almeno una volta questi traduttori e ne conosce le possibilità e i limiti – il testo italiano presenta a volte stravolgimenti del significato dell’originale inglese che hanno effetti esilaranti. Altre volte il traduttore automatico fa delle scelte che, con tutta la loro “creatività”, producono uno slittamento semantico significativo, ma non incoerente con l’originale. In altre parole il traduttore automatico – come ogni buon traduttore, ci insegnerebbe Umberto Eco – interpreta il testo originale e compie delle scelte che producono un nuovo testo.

Come si evince dalla conversazione con Marzia Grillo, non stiamo cedendo a facili trionfalismi e a utopie ipertecnologiche. Dell’operazione sono ben evidenti tanto gli aspetti produttivi quanto quelli più problematici. Ma si tratta di un esperimento.

Dario Checchi: Cara Marzia, il volume di traduzioni di poesie di Emily Dickinson che hai curato per Elliot è, come dice il sottotitolo, un “esperimento”: si tratta di “testi scelti con traduzione automatica a fronte”. Siamo, cioè, davanti a una selezione di componimenti dell’autrice, tradotti in italiano non da un traduttore umano ma da un traduttore automatico disponibile online: Google traduttore, per capirci, o un suo omologo. Intanto vorrei chiederti come ti o vi è venuta l’idea di questo esperimento.

Marzia Grillo: Da diversi anni lavoro come redattrice editoriale, perciò correggo testi italiani e traduzioni. Ognuno di noi, quando parla o scrive, compie degli errori lessicali o si appoggia su costruzioni sintattiche imprecise, e nel tempo ho imparato a riconoscere i tic e i difetti umani ricorrenti.

Quando mi sono accorta che alcuni amici francesi o americani, che preferiscono scrivermi in italiano con l’aiuto dei traduttori automatici, facevano degli errori altrettanto ricorrenti ma artificiali, ho iniziato a riflettere sulla natura meccanica e ripetitiva di questi sbagli così entusiasmanti, così coloriti e poetici. Per dirne una, dal francese all’italiano i soldi diventavano sempre “argenti” – e di qui la mia immaginazione spaziava in monili, forzieri, tesori! Le e-mail più banali o quotidiane diventavano ricchissime di spunti, la realtà stessa, solo perché filtrata da un traduttore automatico, appariva esotica. E tutto questo accadeva in scambi di mail colloquiali, tra coetanei, socialmente e culturalmente vicini.

Per cui mi sono chiesta cosa sarebbe accaduto spostando i confini nel tempo e nello spazio letterario, dal quotidiano al poetico – ho fatto alcuni tentativi e il risultato più apprezzabile l’ho ottenuto con una selezione di versi di Emily Dickinson.

D. C.: La scelta di Dickinson non è, quindi, casuale. Questo mi porta a chiederti qualcosa di più specifico sul progetto e sulla sua realizzazione. In particolare vorrei capire meglio come hai organizzato il lavoro.

Chi legge il volume si accorge subito che, mentre alcune traduzioni automatiche risultano perfettamente sensate e perfino aderenti all’originale (lasciamo da parte per ora la qualità poetica della traduzione) altre producono invece effetti comici, a causa dei fraintendimenti lessicali e delle incomprensioni sintattiche e grammaticali in cui incorre il traduttore automatico.

Così “The web of live woven” diviene “il sito web di tessuto vivo” (pp. 12-13); “Delirious Charter”, “charter in delirio” (pp. 20-21, come recita anche il titolo del libro); e così via discorrendo. Evidentemente questi cortocircuiti tra l’originale e la traduzione automatica costituiscono uno dei principali fattori di godimento del testo. A parte l’effetto comico, il lettore dotato di una qualche conoscenza dell’inglese può divertirsi a confrontare il non facile testo originale con la sua a volte improbabile traduzione, formulando lui nel corso della lettura ipotesi di traduzione.

In altre parole, la cooperazione interpretativa richiesta da questo testo è niente affatto banale, richiede un lettore esperto, con molte competenze linguistiche e letterarie e disposto a lavorare sul testo mettendo al suo servizio un forte impegno creativo.

Hai scelto le poesie che formano l’antologia perché pensavi che si prestassero a produrre gli effetti sopra descritti? O hai compiuto una scrematura, avendo messo alla prova il traduttore automatico su un corpus di testi poetici più ampio?

M. G.: Prima di arrivare a Emily Dickinson, ho provato a tradurre con Google i poeti maledetti, e poi Conrad, Whitman, Shakespeare. Ma con il francese il gioco non funzionava (i traduttori dal francese non sono ancora all’altezza), e parimenti con la narrativa o il teatro, perché ogni testo lungo richiedeva uno sforzo di comprensione eccessivo, si trattava di spingere il lettore a un ragionamento a catena, a una rivelazione a catena, significava tirare troppo la corda.

Eppure nel corso dei miei esperimenti provavo dei momenti di estrema euforia, ad esempio in Romeo e Giulietta, ogni volta che entrava in scena un personaggio, veniva introdotto da ENTER, che diventava INSERISCI. L’effetto comico, seppure reiterato, continuamente mi sorprendeva. Anzi, più si andava avanti verso l’ineluttabile epilogo, più questa formula acquisiva forza: inserisci Romeo, inserisci Giulietta. Una voce fuoricampo inconsapevolmente sgraziata, impareggiabilmente fuori luogo.

Per quanto riguarda Emily Dickinson, invece, ho fatto centinaia di tentativi, acquisendo familiarità con il sistema fallibile della traduzione automatica nel contesto dei versi brevi ad alta percentuale di metafore – la misura ridotta e il sistema di frasi spezzate mi permetteva di concentrarmi maggiormente sugli slittamenti di significato dei singoli vocaboli, all’interno di frasi che perlopiù funzionavano a dovere. È lì che mi sono diretta, e i numerosi tentativi mi hanno permesso di capire il meccanismo che sta alla base degli errori più “felici” compiuti dai traduttori automatici.

A quel punto il gioco è stato facile: una volta assodato che l’aggettivo GAY veniva sempre frainteso, per il libro ho scelto la poesia in cui l’effetto straniante risultava più vistoso (l’associazione con le bandiere creava un magnifico scenario Pride ante-litteram), e lo stesso vale per termini come ECSTASY o WEB – la maggior parte delle volte la comicità della raccolta nasce dalle incursioni della contemporaneità nell’universo poetico della Dickinson, e quindi da uno slittamento dei significati sul piano temporale.

D. C.: C’è un altro elemento che vorrei chiarire con te a proposito del lavoro di costruzione del testo. Come hai usato i traduttori automatici? I testi da tradurre erano sottoposti al sistema di traduzione automatica verso per verso, a blocchi di periodi di senso compiuto, o integralmente? Anche questo è evidentemente un aspetto importante per capire come reagisce il dispositivo tecnico a una sollecitazione creativa non programmata.

M. G.: I traduttori automatici consentono di inserire porzioni molto ampie di testo, offrendo una traduzione immediata. Perciò nella fase iniziale della mia ricerca, per capire bene cosa andava bene e cosa no, ho inserito nel riquadro di traduzione intere sezioni di testo, capitoli di opere di narrativa, raccolte di poesie, per poi scorrere velocemente il risultato e farmi un’idea. Oltretutto, avevo bisogno di un autore fuori diritti, per il quale gli eredi non avrebbero potuto muovere obiezioni… Generalmente i testi di questi autori sono disponibili integralmente su Internet, e copiare e incollare porzioni di testo è facile e veloce.

Nella seconda fase del lavoro, quando oramai avevo scelto Emily Dickinson, il lavoro è diventato più metodico. Ho preso il Meridiano Mondadori come testo di riferimento e ho fatto tradurre a Google molte poesie della prima parte, segnando i risultati più efficaci. Quindi ho selezionato alcune parole chiave che si prestavano al gioco e le ho cercate nelle altre poesie, facendo ulteriori tentativi.

A quel punto ho schierato altri tre traduttori, inserendo i testi scelti o singoli versi, per combinare i risultati e gli effetti. Ogni traduttore sbagliava in modo differente, e tuttora non saprei dire quale sia il migliore o il più affidabile. Combinare i risultati di programmi diversi credo abbia dato spessore e varietà al gioco.

D. C.: Mi pare che stiamo entrando nel vivo della questione tecnica relativa all’esperimento. Il libro da te curato esce dopo due raccolte di poesie di Emily Dickinson tradotte per Einaudi dalla poetessa Silvia Bre, la quale traduce peraltro il distico che fa da esergo alla tua Introduzione.

Da una parte, c’è il massimo della creatività umana in senso tradizionale: il talento poetico messo al servizio della resa in italiano di un altro “genio” poetico. Nella Postfazione a Charter in delirio! l’editor e traduttrice Martina Testa mette molto l’accento sulla diversità radicale (anche qualitativa) del lavoro creativo umano rispetto ai dispositivi tecnici.

Dall’altra parte, assistiamo al tentativo di vedere se la tecnica, opportunamente sollecitata, esibisca tratti creativi propri, irriducibili alle forme tradizionali della creatività artistica, almeno per come l’abbiamo finora pensata. È una questione che ti sei posta? Ritieni che in futuro sempre più spesso dovremo rinegoziare le nostre risorse creative con le nuove tecnologie?

M. G.: Ho chiesto personalmente a Silvia Bre di tradurre i due versi in esergo (non erano inclusi nelle raccolte Einaudi che citi) e di permettermi di pubblicarli in apertura del libro – come a sottolineare che la “vera” traduzione della Dickinson è altrove.

Allo stesso modo ho ritenuto necessario aggiungere al testo una Postfazione in cui una delle migliori traduttrici dall’inglese riflettesse su un esperimento come quello di Charter in delirio! e sugli errori più divertenti e godibili compiuti da un’intelligenza artificiale rispetto a una umana. Eppure, l’esperimento portato avanti nel libro non è fatto di soli errori, ma di poesia. Indubbiamente il risultato di queste traduzioni è poetico, e non solo perché si crea un sistema (anche se involontario) di rime baciate o interne, di assonanze e soluzioni “felici” dal punto di vista musicale e ritmico, ma anche perché le immagini che si vengono a delineare, per quanto infedeli, risultano a tutti gli effetti potenti: i “charter in delirio”, “i treni d’auto su piste di peluche”, “il sito web di tessuto vivo”, così come la mia preferita, la “zuppa inglese definita mortalità” – cosa sono se non visioni che si collocano sopra il reale, e che lo ridefiniscono?

Mi viene da pensare alla robopoesia, ovvero la poesia composta dalle macchine: perché scandalizzarsi o privare di valore il prodotto di una “fantasia” artificiale solo perché non si basa su una sensibilità umana e risulta per noi astruso? Del resto, come ho letto di recente in un articolo riguardo alla poesia automatica, perché dovremmo aspettarci di capire la poesia di un computer? Le poesie delle api non sono forse destinate alle api stesse?

D. C.: L’ultima questione che vorrei porti riguarda la collocazione culturale e teorica che immagini per questo genere di progetti. Da una parte, infatti, le cosiddette digital humanities sembrano aver rappresentato fino a oggi più che altro un lavoro volto alla digitalizzazione e conservazione del patrimonio culturale ereditato dal passato. Dall’altra parte, invece, il progetto di un “web semantico” (il web 2.0), di cui parla già Tim Berners Lee, non ha mai preso concretamente forma. Continuiamo a impostare il nostro “dialogo” con la rete attraverso singole parole-chiave o stringhe di parole-chiave. Non abbiamo con essa un’interazione capace di riconfigurare in qualche misura il significato dei nostri discorsi e l’orizzonte della nostra esperienza condivisa. Il progetto che hai curato forza le possibilità di comprensione di enunciati linguistici complessi, come sono le poesie, da parte di un dispositivo di rete.

M. G.: L’esperimento operato in Charter è di per sé teso a sottolineare l’errore commesso dalla macchina. Ovviamente si è trattato di forzare un sistema ancora imperfetto, ovviamente si è preteso troppo. Del resto la poesia di Emily Dickinson è tanto lapidaria quanto ambigua, e anche nelle sue migliori traduzioni può dire una cosa e l’opposto, a seconda dell’interpretazione che se ne dà – un esempio è nei versi già citati in esergo, che per Silvia Bre hanno il segno positivo, laddove nella versione di Silvio Raffo del Meridiano hanno un segno negativo.

L’obiettivo di questo libro è proprio quello di creare un corto circuito tra due universi lontanissimi, la poesia e il traduttore automatico. È vero, ne nascono scintille, si sfiora il ridicolo quanto l’impossibile, eppure non oso pensare a un mondo in cui le intelligenze artificiali e tutto quanto le riguarda non siano in grado di comprendere i versi, e se possibile rispondere a tono. Come questo accadrà, per quanto mi riguarda, rientra nel campo della magia.

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