Per un elogio anti-metodico dell’ascolto.
Abbandonare i tracciati consueti, le linee di pensiero che normalmente seguo senza interrogarne la validità, rappresenta una sfida che sollecita le strategie di produzione di conoscenza, il mio stesso situarmi e partecipare dell’azione collettiva, dunque la possibilità di intervenire progettualmente in essa. L’ascolto ha buone probabilità di aiutarmi in tale percorso.
In questo articolo intreccerò una serie di riflessioni che partono dall’idea di creazione come divergenza per rilanciare il ruolo che l’ascolto critico dell’ambiente sonoro può svolgere nel reinquadrare il mio – il nostro –universo di senso.
Michel Serres richiama l’importanza dell’esodo, più che del metodo, per produrre innovazione del pensiero proprio perché è lo scarto dall’equilibrio – lo zoppicare – a generare movimento. Ecco allora che rileggendo Lucrezio il filosofo francese riprende il concetto creatore di clinamen, secondo cui “eternamente gli atomi cadono nel vuoto parallelamente”. 1 La creazione invece, non rispettando questo precetto, emerge dalla divergenza, dalla deviazione di alcune di queste particelle che mutando rotta producono novità altrimenti irraggiungibili.2
La deviazione dal tracciato parallelo, che sia una semplice metafora o una strategia produttiva da mettere a lavoro, è di certo un invito non trascurabile a porre in discussione – a filtrare, a gerarchizzare, a trovare un ordine di priorità tra – i messaggi culturali che piovono dall’esterno sulla mia testa. Contenuti a cui mi abituo, che mi interessano o che rigetto, spesso istintivamente; prodotti di mercato tarati per il grande pubblico, o ritagliati sui gusti di una nicchia, facili e difficili, apocalittici e integrati. Alla cultura di massa si è rimproverato di non produrre contenuti di qualità, l’intrattenimento si è definito con le parole di Eco, trattenimento negli stessi binari già battuti; binari da cui è estremamente faticoso scostarsi proprio come per gli atomi è impensabile non cadere parallelamente.
Ancora una volta la necessità di divergere, di pensare l’impensabile. Superare i “livelli di cultura” non vuol dire soltanto accettarne la complementarietà e la comune fruibilità, ma soprattutto “riconoscere una pari dignità dei vari livelli”, da cui “un’azione culturale che parta dall’assunzione di questo presupposto”.3 Complementarietà e pari dignità agiscono in una direzione e nell’altra: dall’alto verso il basso e viceversa dal basso verso l’alto (ovvero da un grado di complessità all’altro), spinti dalla curiosità di percorrere in entrambi i sensi di marcia qualsiasi genere di manifestazione culturale. Ragionando provocatoriamente per schemi il direttore d’orchestra si appassionerà a una soap opera, mentre la casalinga sarà travolta dalla poesia della dodecafonia.
Il portato politico di una simile affermazione è rivoluzionario perché tende all’orizzontalità culturale, che è poi orizzontalità estetica, ovvero capacità di leggere pienamente attraverso i sensi: il messaggio è trasversale e deviante proprio perché invita a procedere controcorrente, o meglio a inventare in continuazione nuove traiettorie di senso.4
L’invito alla deviazione di Serres e quello di Eco sono anche e soprattutto esortazioni a ripensare le modalità di produzione di conoscenza. In questo senso l’ascolto viene in aiuto come strumento divergente, acerbo e potenziale di trasformazione del sé: apre le porte a un linguaggio di cui si conosce a malapena l’alfabeto, di cui si trascura la grammatica, di cui si seguono spesso regole sintattiche istintive – come il piacere inspiegabile prodotto da una melodia, il disagio verso un lamento, o l’irritazione verso un rumore improvviso. Eppure, o grazie a quest’assenza di filtri conoscitivi, l’ascolto mi introduce a un codice in grado di coinvolgere emotivamente, evocare senza descrivere, incidere profondamente e con precisione sulle mie valutazioni. Intervenendo su un piano scivoloso e coinvolgente, l’ascolto può liberarmi dai tracciati consueti, trasformare la mia maniera di percepire e di agire. Può trasformare il mio rapporto con quella melodia, con quel lamento, con quel rumore, farmi risalire alla loro causa e alle ragioni della mia reazione: «La pratica dell’ascolto è capace di rivelare una realtà parallela – che giace al di sotto, oltre, dietro, o all’interno di ciò che è immediatamente accessibile».5
Purtroppo però l’ascolto non è esonerato dalle logiche di produzione culturale capitalista, dalla trappola dell’incomunicabilità tra i livelli di cultura, dunque dalla difficoltà di interazione tra alto e basso, tra massa e nicchie, tra ricchi e poveri. A questo proposito un punto su cui insiste Gaspare Caliri nella sua “Nuova Critica Ambientale” è lo scarto tra ascolto di “musiche ecologiche” e “musiche non ecologiche”. Le prime, che definiremmo a basso impegno cognitivo, sono destinate ai tracciati neuronali già consolidati, ai percorsi già battuti culturalmente, che rendono accessibili (o addirittura scontati) gli universi sonori più facilmente identificabili. Le seconde, viceversa, riguardano la costruzione di tracciati neuronali inediti, indispensabili per avvicinarsi a quegli ascolti non immediatamente riconducibili a un universo conosciuto, e dunque di non facile lettura (vedi l’esempio della musica elettroacustica del novecento, o la lettura critica dell’ambiente sonoro).
Con le parole di Caliri “I percorsi neurali dei comportamenti abitudinari sono autostrade dalle quali è difficile uscire per prendere un sentiero sconnesso. Così è difficile cambiare un’abitudine perché prima bisognerebbe avere il confort di una strada per lo meno battuta”.6 Spingersi verso l’inedito, allontanarsi da un quadro di senso già prefigurato, è una pratica indispensabile per leggere criticamente l’ambiente sonoro che ci circonda, e con esso le strategie capitalistiche di facilitazione, di continuo impoverimento dei contenuti, di costante dissuasione dalla divergenza. Ascoltare l’inedito non corrisponde allora alla ricerca di nuove sorgenti, ma alla rilettura critica delle stesse.7
L’ascolto di “musiche non ecologiche” coincide esattamente con la deviazione delle particelle di Lucrezio, e invita a un’interessante indifferenza tra la materia udibile che normalmente chiamo musica, e quella che in assenza di termini più specifici battezzo come suono, o peggio rumore. Si tratta di un’indifferenza strategica che mi avvicina allo studio dell’ambiente sonoro, all’analisi del paesaggio sonoro, come materie estetiche e insieme profondamente politiche. Perché nella sua contingenza l’ascolto mi offre la possibilità di spostare il significato di un’azione, di allargare o restringere la soglia di attenzione verso le produzioni immateriali della mia quotidianità. Può allora portarmi a riformulare il concetto e la soglia di fastidio e di rumore, può darmi nuove chiavi di accesso alla scoperta del linguaggio ambientale e sociale, può accompagnarmi nella comprensione dell’altro, del diverso, del non conosciuto, dello scomodo.
Mi accorgo così che l’ascolto interviene sul confine tra “trasmissione” e “produzione” di significato:
Se l’ascolto riguarda la produzione di significato piuttosto che la sua ricezione, allora tale processo sarà sempre compromesso, caotico, provvisorio e non finito, prenderà posto tra un assortito assemblaggio di corpi, materie, e spazi sonori. La questione è negoziare un seppur minimo accordo tra questi elementi, di costruire frammenti di senso a partire dal disordine di significanti udibili che, come mattoncini Lego, possono facilmente essere smontati e nuovamente riordinati”.8
Un ragazzo africano è all’angolo della strada ogni mattina, anche se distolgo lo sguardo la sua voce trema e mi fa tremare, la sua richiesta di aiuto è scomoda perché mette a nudo la follia dei tracciati di pensiero su cui mi sono comodamente adagiato. Come valuto, attraverso la sua voce, questi binari paralleli?
Capita che l’ascolto mi riporti in vita, mi sostenga nella scelta di slittare fuori dalle linee bianche della carreggiata, quelle linee che spostano l’interpretazione di un tono di voce dal fastidio al tentativo di comprensione. Capita che l’ascolto metta in gioco la mia capacità di penetrare un esodo, una diversità così rumorosa.
Bibliografia
Pierre Boulez, Jean-Pierre Changeux, Philippe Manoury, I neuroni magici. Musica e cervello, Carocci Roma 2018.
Gaspare Caliri, Nuova Critica Ambientale.
Angus Carlyle, Cathy Lane, On listening, Uniformbooks Axminster, Devon 2013.
Umberto Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani Milano, 1977, 2016.
Michael Gallager, “Listening, Meaning and Power”, in Angus Carlyle, Cathy Lane (a cura di) On listening, Uniformbooks Axminster, Devon 2013.
Michel Serres, Il mancino zoppo. Dal metodo non nasce niente, Bollati Boringhieri, Torino 2016.
[Le fotografie che accompagnano questo articolo solo del suo autore,Nicola Di Croce]
Note
- Lucrezio, De rerum natura, cit. in Michel Serres, Il mancino zoppo. Dal metodo non nasce niente, Bollati Boringhieri, Torino 2016, p. 93.
- “Il pensiero inclina. Senza preavviso, in luoghi e tempi incerti, cambia bruscamente direzione, a volte in maniera minima. Scopre, trova, crea, soltanto mediante questa deviazione, ramificazione, biforcazione, rottura di simmetria. Omogenea, la caduta ripete; la declinazione, divergente, ha buone probabilità di inventare.” Michel Serres, Il mancino zoppo. Dal metodo non nasce niente, Bollati Boringhieri, Torino 2016, p. 94.
- Umberto Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano 2016, p. 57.
- “Il problema, lo si è detto, è anzitutto politico (un problema di scolarità, anzitutto, e poi di tempo libero, ma inteso non come “regalo” di ore da dedicare alla cultura e all’ozio: inteso come nuovo rapporto nei confronti del momento lavorativo, non più sentito come “estraneo” perché di fatto ritornato sotto il nostro controllo), ma viene facilitato dal riconoscimento di una parità di dignità dei vari livelli, e da un’azione culturale che parta dall’assunzione di questo presupposto. In quanto, accettata questa parità, si accentuerà un gioco di passaggi reciproci tra i vari livelli.” Umberto Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano 2016, p. 57.
- “The practice of listening can operate to reveal a parallel reality – one that lies below, beyond, behind or inside that which is immediately accessible.” Angus Carlyle, On listening, Uniformbooks, Axminster Devon 2013, p. 9, (trad. it. mia).
- Gaspare Caliri, “Nuova Critica Ambientale”.
- Vedi: “I neuroni magici”, conversazione tra il neurobiologo Jean-Pierre Changeux, il compositore Pierre Boulez e il musicologo Philippe Manoury, pubblicato da Carocci nel 2018 (riferimenti in bibliografia).
- «If listening is about making rather than receiving meaning, then the process will always be compromised, messy, provisional and unfinished, taking place amidst a motley of assemblage of sounding bodies, materials and spaces. It is a matter of negotiating some brief consensus amongst these various elements, building snippets of sense from a clutter of auditory signifiers which, like Lego bricks, can easily be pulled apart again and rearranged.” Michael Gallager, “Listening, Meaning and Power», in Angus Carlyle, Cathy Lane (a cura di) On listening, Uniformbooks Axminster, Devon 2013, p. 43, (trad. It. mia).