Oggi, 93 anni fa, moriva Franz Kafka; per questa occasione vi riproponiamo un estratto dell’ebook “Di chi è Kafka” di Judith Butler, pubblicato da il lavoro culturale a febbraio del 2016.
Come è possibile che Kafka sia stato trasformato in una merce e in un nuovo “peso d’oro”?
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Il più potente avversario della Biblioteca nazionale è l’Archivio della letteratura tedesca di Marbach che, curiosamente, ha assunto avvocati israeliani per il processo. In questo modo, hanno pensato all’Archivio, il tutto non sembrerà una questione ebreo-tedesca e non richiamerà alla memoria l’altro processo – il processo Eichmann del 1961 – in cui il giudice all’improvviso passò dall’ebraico al tedesco per rivolgersi direttamente a Eichmann. Quel momento del processo creò una controversia su quale lingua fosse la più appropriata per un tribunale israeliano e sull’opportunità o meno di fare una cortesia a Eichmann rivolgendosi a lui nella propria lingua. Diversi studiosi e quotidiani israeliani hanno recentemente sostenuto che Marbach è il luogo opportuno in cui conservare gli scritti di Kafka appena ritrovati, visto che ospita già la più grande collezione di manoscritti di Kafka nel mondo, incluso quello de Il processo, che l’Archivio ha acquistato nel 1988 per tre milioni di marchi tedeschi. Gli stessi studiosi si oppongono all’ulteriore frammentazione dell’opera di Kafka e fanno leva sulle capacità di Marbach di conservare i materiali. Pare che vi sia consenso tra loro sul fatto che la Germania sia un posto più sicuro di Israele, e ovviamente avanzano anche l’argomento secondo cui Kafka apparterrebbe alla letteratura tedesca e, più specificamente, alla lingua tedesca. Anche se questi studiosi non cercano di dire che Kafka appartiene alla Germania come uno dei suoi cittadini virtuali o del passato, qui la germanicità trascende la storia della cittadinanza e si basa sulla competenza e sui risultati linguistici del lavoro di Kafka. Il punto di vista dell’Archivio della letteratura tedesca cancella il ruolo del multilinguismo nella formazione e negli scritti di Kafka. (Infatti, come spiegare le parabole di Babele senza il multilinguismo, e i frequenti tentennamenti espressivi nei suoi lavori senza la combinazione di ceco, yiddish e tedesco?).
Focalizzandosi su quanto perfetto fosse il suo tedesco, l’Archivio si accoda a una lunga e curiosa tradizione di studi che celebra il tedesco puro di Kafka. Ad esempio, George Steiner ha lodato «la trasparenza del tedesco di Kafka e la sua calma immacolata», sottolineando che il suo «vocabolario e la sua sintassi sono tra quelli che più si astengono dagli sprechi». John Updike ha fatto riferimento alla «entusiasmante purezza» della prosa kafkiana. Hannah Arendt ha scritto che il suo lavoro «si esprime nella prosa più pura del secolo». Dunque, anche se Kafka era ceco, sembra che questo fatto diventi irrilevante a cospetto del suo tedesco scritto, che a quanto pare è tra i più puri – o forse purificati? Data la storia del valore della purezza all’interno del nazionalismo tedesco, incluso il nazional-socialismo, è curioso che Kafka venga rappresentato attraverso questa norma rigorosa ed esclusiva. Come purificare il multilinguismo di Kafka e le sue origini per farlo sembrare un puro tedesco? Il fatto che sembra essersi purificato quasi come un Ausländer è davvero l’elemento più importante e degno di ammirazione in Kafka?
È interessante che queste tesi sul tedesco di Kafka siano nuovamente in circolazione, proprio quando Angela Merkel ha annunciato il fallimento del multiculturalismo in Germania, portando come prova l’argomento secondo cui i nuovi immigrati e i loro «figli e nipoti» non parlano tedesco correttamente. Merkel ha chiesto con forza a queste comunità di liberarsi di qualsiasi accento e di «integrarsi» alle norme della comunità linguistica tedesca (la lamentela di Angela Merkel è stata prontamente contrastata da Jürgen Habermas). Senza dubbio Kafka potrebbe essere l’immigrato modello, anche se visse solo brevemente a Berlino e non si identificò con gli ebrei tedeschi. Se i nuovi lavori di Kafka saranno inclusi nell’archivio di Marbach, la Germania ne uscirà rafforzata nel suo sforzo di spostare il proprio nazionalismo sul piano della lingua; l’inclusione di Kafka avrebbe luogo per la stessa identica ragione per cui gli immigrati che parlano peggio il tedesco vengono stigmatizzati. È possibile che il fragile Kafka diventi una norma per l’integrazione europea?
Nello scambio epistolare tra Kafka e la sua amata, Felice Bauer, originaria di Berlino, la donna corregge costantemente il tedesco di Kafka, il che lascia pensare che lo scrittore non si sentisse completamente a casa in questa seconda lingua. E un’altra donna che egli amava, Milena Jesenská, la quale tradusse i suoi lavori in ceco, gli insegnò costantemente frasi in ceco a lui sconosciute e parole che non sapeva come pronunciare, il che lascia pensare che anche questa fosse una seconda lingua. Nel 1911 Kafka si avvicina al teatro yiddish e cerca di capirlo, ma lo yiddish non è una lingua con cui ha a che fare spesso in famiglia o nella vita quotidiana; per lui rimane un elemento importato dall’est, interessante e strano allo stesso tempo. Dunque esiste davvero una lingua madre per Kafka? E non possiamo forse affermare che anche il tedesco formale in cui Kafka scrive – ciò che Arendt ha chiamato il tedesco «più puro» – porta i segni di qualcuno che è entrato nella lingua dall’esterno? Questo era l’argomento di Deleuze e Guattari nel saggio Kafka. Per una letteratura minore.
In effetti, tale controversia pare riferirsi a una questione precedente che lo stesso Kafka evoca in una lettera a Felice nell’ottobre del 1916, riferendosi al saggio di Max Brod sugli scrittori ebrei, I nostri autori e la comunità, pubblicato da «Der Jude».
E, tra l’altro, prova a dirmi cosa sono veramente; nell’ultimo numero di «Neue Rundschau», La metamorfosi è citata e respinta sulla base di motivazioni ponderate, e l’autore della recensione afferma: «C’è un’eco profondamente tedesca nella narrativa di Kafka». D’altra parte nell’articolo di Max si legge: «Le storie di Kafka sono fra i più tipici documenti della cultura ebraica del nostro tempo».
«Un caso difficile» scrive Kafka. «Sono un fantino da circo che corre su due cavalli? Ahimè! Non vi è alcuna corsa, solo me stesso prostrato al suolo».
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