Il saggio fa parte del volume Premio Internazionale Alexander Langer alla Camera dei deputati dal 1997 al 2012. Dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratrici di frontiera edito dalla Camera dei deputati, in collaborazione con la Fondazione Alexander Langer-Stiftung. A cura di Grazia Barbiero. Del libro è stata pubblicata anche una versione in inglese.
Grazia Barbiero[1]
Quando, nel 1997, Khalida Toumi Messaoudi[2] entra per la prima volta alla Camera dei deputati è preceduta dalla sua fama e dalla condanna a morte che pende sulla sua testa. Da pochi giorni è finita la lunga clandestinità inflitta dal verdetto integralista. Ha trentanove anni e gli ultimi quattro li ha trascorsi costretta ad inventarsi un nascondiglio, a dormire, notte dopo notte, in un letto non suo per evitare di trasformarsi in un bersaglio troppo facile.
Eletta a dispetto di molti nel Parlamento algerino, aveva incassato una formidabile garanzia formale: per i suoi carnefici tutto, da lì in poi, sarebbe stato più difficile. Torniamo a quel giorno romano: dalla sua elezione è passato esattamente un mese e la donna più coraggiosa dell’area mediterranea varca la porta di questo nostro Parlamento con una immensa storia alle spalle e un piccolo premio da ricevere. Era sfuggita miracolosamente a due attentati: prima, nel marzo 1993, si salva da un agguato; il 29 giugno 1994, viene ferita da una bomba. È nel mirino del Fronte di salvezza islamico, che urla il suo nome dagli altoparlanti delle moschee controllate da un movimento integralista il cui obiettivo è chiudere l’Algeria nella gabbia di uno stato teocratico.
Cosa fa Khalida per meritare questa micidiale attenzione da parte dell’Islam più sanguinoso e retrivo? Laureata in matematica, ha un pensiero politico laico, si muove in difesa strenua dei diritti delle donne, lega questa sua vertenza al più generale processo di democratizzazione e di sviluppo del suo paese mentre infuriano morte e terrorismo e migliaia di donne vengono macellate nel sostanziale disinteresse della comunità internazionale. Nel 1992, il presidente algerino Mohamed Boudiaf – assassinato in quello stesso anno – la chiama a far parte del Consiglio consultivo nazionale. Khalida si batte, dagli inizi degli anni Ottanta, ancora studentessa, contro il Codice di famiglia, ufficializzato nel 1984, ispirato alla Sharia, che sancisce la subalternità delle donne sulla base di una lettura oscurantista del Corano. Lei, musulmana che non ha mai rinnegato la fede, sostiene che negando i diritti delle donne viene permessa la disintegrazione della cellula familiare e la destrutturazione della società algerina. Raccoglie un milione di firme, poderosa diga popolare che si oppone alla islamizzazione dell’Algeria e, qui alla Camera, afferma: “Il Codice algerino della famiglia è un assassinio del nostro essere giuridico e getta le fondamenta della Repubblica islamica”. La convocazione di Boudiaf le costa la condanna a morte definitiva e senza appello.
Khalida riceve una lettera datata 12 marzo 1993 firmata da Said Makhlouf e timbrata dal Movimento per lo Stato Islamico che le comunica la sentenza. Nel 1995 è tra le principali organizzatrici delle Assise Nazionali delle donne algerine. Il 18 giugno dell’anno successivo, si incontrano ad Algeri 450 donne provenienti da ogni angolo del paese. Danno vita al Rachda (Rassemblement contre la Hogra et pour les Droits des Algeriennes, dove Hogra è termine dialettale arabo che indica l’umiliazione subita ad opera del potere). Khalida ci fa assistere al suo coraggio in un contesto che ha già dimostrato di sapere violentare, bruciare, ammazzare chiunque resista al suo diktat. Il tre luglio 1997, nella sala del Cavaliere sontuosa ma senza cattedra né palco, dove tutti, dagli ospiti d’onore ai rappresentanti delle istituzioni stanno seduti in circolo a parlare e ad ascoltare allo stesso livello, la berbera Khalida, capelli rossi e pelle bianchissima, racconta: “In Algeria le donne sono per gli integralisti quello che gli ebrei erano per i nazisti, simbolo di una differenza da annientare con ogni mezzo. Diversità fisica ancor prima che mentale. Ecco perché gli integralisti pretendono di nascondere le donne, di velarle, di far scomparire la differenza nella loro fisicità”. Il giorno dopo l’incontro alla Camera dei deputati, il primo in ricordo di Alexander Langer, parte per Bolzano, dove va a ritirare il premio. Oggi è ministro della Cultura dell’attuale governo algerino.
L’anno dopo, mentre si contano ancora le vittime del genocidio in Ruanda, in questa sala che aveva ospitato Khalida arrivano Yolande Mukagasana di etnia Tutsi e Jacqueline Mukansonera, Hutu[3]. Due nemiche sulla carta della storia. Jacqueline aveva salvato la vita a Yolande, vicina di casa, tradendo la propria etnia. Si era messa davanti a lei per proteggerla dagli spari degli assassini. Aveva rotto la compattezza tribale in nome della nonviolenza, per amore della vita. Si prende cura di questa donna alla quale i fucili del suo gruppo etnico avevano da poco ucciso marito e figli. Yolande cerca rifugio in Belgio, trasforma il suo dolore in scrittura, pubblica un libro. Alla Camera, Yolande e Jacqueline espongono il loro punto di vista, che è breviario di esistenza: dicono che bisogna conoscere la verità, interrompere il silenzio e preparare la riconciliazione. Non chiedono sia riconosciuta la bellezza di un gesto, ma che sia apprezzato un programma culturale: pratiche di pace in tempo di guerra. Ma anche identità singole e collettive che non si blindano, si intrecciano, collaborano, solidarizzano.
Certo, sono belle persone, e dopo di loro tante altre belle persone sono entrate in questa sala. Individui che incarnano i principi motori delle società contemporanee complesse: il dialogo inter-etnico e inter-religioso, la ricerca delle compatibilità, il riconoscimento della ricchezza contenuta nella relazione tra le diversità. Volti e nomi sconosciuti al grande pubblico, soprattutto donne non per caso: allenate a tessere quotidianità fatte di relazioni da una posizione di non potere; rese forti da una subalternità che ha loro consegnato la titolarità di una doppia “lingua” perchè costrette ad apprendere l’alfabeto del potere per non venirne stritolate, per trattare, tenendo in vita uno spazio politico. Nasce dall’esercizio plurimillenario di questa vertenza di genere ciò che serve alle donne per emergere non solo come singolarità eccellenti.
Le assegnatarie del Premio sono quasi sempre non teoriche ma operatrici di pace, “costruttori di ponti”, come amava dire Langer, rintracciate nel pieno di questa azione rischiosa. Narges Mohammadi, iraniana, portavoce del Centro per i diritti umani, collaboratrice di Shirin Ebadi, destinataria del premio Langer 2009, non è mai riuscita a venire in questa sala: le hanno tolto il passaporto proprio alla vigilia del viaggio per l’Italia[4].
Poi, l’hanno incarcerata, condannata a sei anni di reclusione che sta scontando nonostante una gravissima malattia le consenta un precario e insufficiente ricorso ai permessi di cura.
C’era una volta Maana Suldaan: aveva fondato un villaggio non secondo i principi della ottocentesca benficenza. La comunità somala nata attorno a lei è un magnifico esempio di autonomia e autogestione. Il premio Langer 2008 viene destinato a questa esperienza; si attende l’arrivo dei rappresentanti della comunità, ma inutilmente[5]. Si saprà che sono stati rapiti alla vigilia della partenza per Roma e di loro non si è più avuta notizia. Tutte persone scomode e controcorrente. Come Alexander Langer. Come Ahlem Belhadj, Hédia Jrad, Saida Rached, tunisine che durante la dittatura nel loro Paese hanno difeso diritti e dignità. Per lunghi anni hanno preparato con generosità e pazienza l’avvento della Primavera araba e ora stanno lavorando alla fase Costituente che disegnerà la nuova Tunisia. Sono venute in questa sala pochi mesi fa a raccontarci storie bellissime e a darci il coraggio che a volte non abbiamo.
[Sul blog sono già apparsi diversi testi di Alexander Langer. A breve dedicheremo un focus all’intellettuale sudtirolese e alla Fondazione che porta il suo nome].
Note
[1] Grazia Barbiero è la curatrice di tutte le edizioni del Premio Internazionale Alexander Langer alla Camera dei deputati dal 1997 al 2012.
[2] Khalida Toumi Messaoudi ha ricevuto il Premio Internazionale Alexander Langer nel 1997. Qui le motivazioni del premio. Qui, invece, una selezione di articoli tratti dalla sito della Fondazione.
[3] Qui le motivazioni del premio.
[4] Qui le motivazioni del premio. Qui la lettera di Narges Mohammadi per la cerimonia di consegna del Premio
[5] Qui le motivazioni del premio premio internazionale Alexander Langer 2008 al villaggio somalo AYUUB. Qui una selezione di articoli tratti dalla sito della Fondazione.