Croniche cronache di vita interiore

A proposito di “Taccuino delle piccole occupazioni” di Graziano Graziani (Tunué)

Taccuino Graziani

Un uomo è un paesaggio. Ciò significa che, se visto in profondità, egli contiene dentro di sé i caratteri della propria presenza al mondo. Ma se dovessimo estendere l’affermazione oltre lo specifico individuo, ossia se dicessimo che ogni uomo è ogni paesaggio, non sapremmo esprimere altrettanta verità. Un paesaggio geografico, infatti, per quanto diversificato nella morfologia – che sia di mare o montagna, pianura o collina – è l’espressione di uno e un solo ambiente visibile; ossia, sostituendo in parallelo questa visione prospettica, uno e un solo uomo. Ecco dunque come sia disagevole definire la ricerca interiore di un uomo come paradigma dell’esistenza, perché l’estensione verso l’universale implicherebbe lo sforzo estremo di ridurre all’uno le contraddizioni dell’intera umanità.

Questo pensiero ben si accorda all’idea compositiva che Graziano Graziani ha inteso nel Taccuino delle piccole occupazioni (Tunué, 2020), tentativo ben riuscito di manualetto per leggere l’avventura di un uomo – uno e uno soltanto – all’interno del più vasto ambito che gli sia possibile: la vita.

Girolamo, questo il personaggio che Graziani accompagna lungo tutto il libro, vaga per la propria vita come ne fosse ospite, come non gli appartenesse. Attraverso le occasioni in cui si trova coinvolto, Girolamo esplicita la profondità della propria ricerca filosofica al cospetto del più concreto quotidiano, con il risultato di saperci stare dentro solo in parte, accettando un po’ per pigrizia meschina e un po’ per indulgenza che poco degli sforzi fatti gli ritorni indietro. Quello di Girolamo è dunque uno sguardo, privilegiato, sul mondo, a partire da sé stesso; ed è possibile, dunque, soltanto perché egli non ammette altro mondo che quello entro cui si muove lui, come se il confine del corpo e quello delle cose coincidessero. Ed è allora che riesce, proprio perché evita che questo sia il proponimento e riconduce tutto a sé, proprio perché rifiuta di essere ideale, a rappresentarsi come uomo per tutti gli uomini.

Il libro è una raccolta numerata di eventi esemplari (55 per la precisione) che prendono ogni volta il nome del protagonista e la circostanza che offre il campo d’indagine all’analisi occasionale, soltanto separati da una congiunzione (“Girolamo e…”) che mette a nudo proprio la scelta di innescare un confronto in cui siano chiari i termini: da un lato l’uomo, dall’altro le cose, ciò che compone la società e ne articola la storia. Con abilità e brillantezza Graziani dirige le vicende del narcolettico Girolamo attraverso un ricorso continuo allo scavo di profondità, considera il protagonista una sorta di sonda nella civiltà d’intorno, giusto il tempo perché ciò che vede lo conduca alla riflessione più intima, utile a sé ma con una confezione adatta a ognuno; Girolamo si aggira per il proprio quartiere considerandone l’evoluzione urbanistica in relazione unicamente a sé, riflette sull’inopportuna coesistenza storica di passato presente e futuro, si ripete di non divertirsi perché è un’attività senza ritorno o scopo, si appassiona di materie complesse di cui continua a non capire nulla, vede i rari amici solo in posti che abbiano conservato un legame nella loro storia passata, ripensa con nostalgia a Viola, l’unica donna amata fino all’estenuazione di amarla troppo perché avesse un senso restarle accanto. Ecco come allora la corsa in parallelo tra individuo e società prende un ritmo più incisivo, Girolamo schiude sé stesso per trarne assunti universali nell’illusione scolastica che siano buoni per tutti, ma nella sua solitudine crescente e pneumatica si avverte sempre più forte il senso di dispersione, come se le sue idee pur buone finissero appena sul ciglio della relazione, del confronto, là dove non trovano l’altro capace, nello stesso tempo, di accoglierle o disarmarle.

A intervallare la narrazione che porta il protagonista a confrontarsi con gli eventi, c’è un impianto più sottile che dalla terza persona configura la più intima scelta della prima: è Girolamo stesso che si misura con un problema identificativo, del personaggio e del libro stesso, ossia la complessa situazione della sua memoria, incapace di compitare la sequenza dei ricordi; ecco allora che Girolamo, il quale dialoga opportunamente solo con un medico e con un orologiaio, non ha più possibilità di afferrare il quando delle cose, come fosse avvolto dal tempo in una forma universale e gli fosse impedita la durata, ossia quel meccanismo di salvezza che l’uomo mette in atto perché dal tempo, dal tutto filosoficamente non pensabile, non sia risucchiato. In lui la meccanica di confronto con le cose assume dunque i caratteri di un dialogo con ciò che non è finito, che non ha un prima o un dopo, o che forse ce l’ha ma non è più percepibile; ecco allora che il tempo, della vita come del romanzo, risulta distrutto, destrutturato proprio nella sua informazione più certa: lo scorrimento, la sequenza logica; così facendo Graziani si confronta allora con scritture estreme e si mette in dialogo con gli esperimenti che portano sia al Nouveau Roman francese degli anni Sessanta e al Palomar di Calvino, sia alla maniacalità di Georges Perec o del Bartleby di Melville, sia soprattutto alla scrittura stratificata e labirintica, magica e allo stesso tempo realista, di Julio Cortázar, autore argentino che tra le pagine di Graziani affiora con particolare evidenza e che ricorre in trasparenza nelle avventure di Girolamo, alle prese con un mondo che non riesce a leggere, che non riesce ad abitare mai del tutto e da cui, pure, avrebbe tutto il diritto di vedersi riconosciuto, ammesso, accolto. Nello stesso Cortázar di Storie di cronopios e di famas (Einaudi, 1971) si legge tra i frammenti – precisamente in Racconto senza morale – un dialogo che sembra rivolto proprio a Girolamo: «Lei vorrà sicuramente dire le sue ultime parole quando sarà arrivato il momento, ne avrà bisogno per configurare facilmente un destino storico retrospettivo»; e il tempo, dunque, smette di essere per gli uomini confine alla vita, si decompone e si tradisce nella sua maggiore evidenza, segno ben tracciato che anche vivere o morire non sono poi altro che occasioni, le sole, forse, non mancate.

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