10 febbraio: il ricordo che si prende le strade

L’uso dei corpi e la retorica del 10 febbraio nella “Corsa del ricordo”.

Nel Giorno del ricordo riproponiamo una riflessione sui tentativi di appropriazione politica della memoria che caratterizzano l’uso pubblico dei tragici avvenimenti del Confine Orientale alla fine del secondo conflitto mondiale, con una postilla pandemica dell’autrice.

10 febbraio
Logo ufficiale della Corsa del ricordo. Fonte: www.corsadelricordo.it 

“E allora le foibe”?

La nota citazione, passata alla storia grazie all’interpretazione di una militante di Casa Pound Italia da parte di Caterina Guzzanti, continua a farci riflettere in maniera approfondita e strutturale sulla dialettica pubblica utilizzata in materia dalle destre, nello specifico sul confine orientale italiano o, per avvicinarci più rapidamente al nocciolo della questione, sul 10 febbraio – Giorno del ricordo (Legge 92/2004).

Infatti, in prossimità della ricorrenza, sono numerose le iniziative organizzate da parte di associazioni, collettivi, partiti, istituti scolastici e universitari. E nella vastità della proposta è facile imbattersi in approcci differenti: dall’analisi delle fonti, quindi analizzando il contesto nel quale determinati fatti sono accaduti e si sono sviluppati, a chi si avvale principalmente della memoria privata (di un gruppo familiare) oppure collettiva (di una comunità che si è sentita colpita e stigmatizzata per anni). All’interno dell’allora di cui sopra, e del lato intimo del dolore legato a un riconoscimento di status di vittime ricercato in maniera esasperante, risiedono molti sentimenti di rivendicazione che, sempre più spesso, sfociano nell’aggressione verbale – e non solo – verso chi pone la storia e la sua analisi critica davanti al mero ricordo di un passato identitario. Assistiamo così all’attacco sistematico di ricercatrici e ricercatori che fanno dell’analisi critica delle fonti una questione etica, più che di “mestiere”. È di questi giorni il protagonismo del gruppo torinese di estrema destra Aliud, che ha minacciato di impedire un convegno sul tema della memoria e delle foibe al quale lo storico Eric Gobetti avrebbe dovuto prendere parte. Purtroppo non si tratta di un caso isolato, basti pensare alle innumerevoli polemiche e accuse nei confronti della storica Alessandra Kersevan, della giornalista Claudia Cernigoi o dello storico Sandi Volk solo per citarne alcuni. Nomi presi ed etichettati con la N, la lettera scarlatta del Negazionismo che identifica e rende nemico. “Negazionista” che, insieme a martiri e eroi va a completare di retorica – le idee senza parole esplorate da Furio Jesi – il famoso epiteto “…e allora le foibe?”. Retorica che compone le frasi degli striscioni dei militanti di estrema destra, oppure le locandine degli eventi dedicate “alle vittime delle foibe”.

È dunque interessante tenere alta l’attenzione sulle iniziative pubbliche organizzate in corrispondenza del 10 febbraio, e in quale contesto si generano. Uno degli eventi che si sta imponendo sul territorio romano è quello della Corsa del Ricordo, un’iniziativa arrivata al 7° anno di vita e dedicata, appunto, al Ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo Giuliano-Dalmata. La corsa è organizzata nella zona sud della Capitale, più precisamente in quello che viene chiamato “quartiere Giuliano-Dalmata”, area che nacque in pieno fascismo nel 1936 come Villaggio Operaio E42, destinato ad ospitare le abitazioni degli operai che avrebbero dovuto allestire l’Esposizione Universale di Roma del 1942. A seguito della guerra e dei risvolti che ne conseguirono, l’area fu abbandonata e presto occupata dai primi esuli Giuliano-Dalmati arrivati a Roma. La situazione venne poi ufficializzata e istituzionalizzata, dando vita al quartiere che divenne uno dei vari centri di arrivo degli esuli Giuliano-Dalmati in Italia.

In tale contesto urbanistico-sociale si inserisce la Corsa del Ricordo di Roma, che vede il patrocinio del CONI del Comune di Roma, della FEDERESULI – Federazione delle Associazioni  degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, e dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Inoltre, l’evento è gemellato con la Corsa del Ricordo di Trieste, che nel 2019 ha visto la tappa conclusiva del suo percorso alla Foiba di Basovizza, suggellando così il nesso “logico” fra Foibe e Esuli, due fatti e condizioni in realtà ben distinti, sia a livello temporale sia di contesto, ma che nella narrazione pubblica vengono sapientemente fusi e alimentati fra odi politici e ricordi privati.

Il monumento alle vittime delle foibe nel quartiere giuliano-dalmata a Roma. Fonte: Wikimedia

L’elemento di analisi non risiede nella corsa o nell’evento specifico in sé, quanto nella pretesa di utilizzare una corsa per narrare una verità storica parziale, poiché arricchita di retorica memorialistica e al contempo depredata dalla contestualizzazione e dalla ricerca basata sulle fonti appropriate.

Approfondendo le pagine del sito internet della Corsa del Ricordo, ci si trova davanti l’area “pillole di storia”, dove si apre un menù a tendina che riporta le seguenti voci: 1 – La storia; 2 – Le foibe; 3 –  Gli esuli; 4 – Sport è vita. L’introduzione alla prima voce, “La Storia”, cita:

Una terra italiana, romana ancor prima. Oggi un territorio dal quale il 90% degli italiani sopravvissuti hanno dovuto riscrivere le pagine della propria vita lontano dai luoghi di nascita. L’esodo giuliano-dalmata è un evento storico consistito nella diaspora forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e lingua italiana verificatosi alla fine della Seconda Guerra. Il fenomeno fu susseguente a eccidi di massa noti come i massacri delle foibe, perché in queste profonde caverne verticali, o pozzi tipici della regione carsica e dell’Istria, venivano gettati i corpi senza vita. In queste pagine ricostruiamo una storia difficile da raccontare. Fatta di grandi sofferenze e tanti perché. Lo facciamo in pillole e poi raccontandone tanti dettagli in un trattato scritto da un figlio di un esule, un giornalista, studioso della materia.

La pagina prosegue proponendo una contestualizzazione storica che vede la sua genesi nel 221 a.C., con la presa della penisola istriana da parte dei romani e terminando con l’entrata della Croazia nell’Unione Europea nel 2013. Nel mezzo duemila anni di storia che, fra un passaggio di dominio e l’altro, andrebbero a determinare la presenza italica sul territorio dell’Alto Adriatico. Senza la necessità di riportare la completezza del testo, facilmente consultabile online, è tuttavia importante sottolineare che nella ricostruzione storica, fra il termine della Prima Guerra Mondiale e il 1943, non vi è alcuna traccia dell’italianizzazione forzata e poi fascistizzazione della popolazione; delle persecuzioni, degli espropri, delle violenze; ancora, degli incendi per mano italiana e fascista nei confronti di tutti i non italiani, che non significa esclusivamente slavi. Come non vi è riferimento alcuno al campo di concentramento italiano costruito nel 1942 sull’Isola di Rab, a seguito dell’occupazione italiana della Jugoslavia. E sembra inoltre rilevante mettere in luce che nessuno dei fatti elencati nella sezione “pillole di storia” ha riferimenti a fonti di archivio o bibliografiche.

Nel proseguire la lettura del sito non si può sorvolare sul punto denominato “Sport è vita”, un omaggio agli atleti di origine giuliano-dalmata che, nonostante le difficoltà incontrate nelle vite da esuli, o figli, o nipoti di esuli, hanno conquistato glorie e trofei. Ma Sport è vita riporta alla mente anche altre glorie del passato, quando la forma fisica forgiava l’immagine dell’uomo nuovo, e quando lo sport veniva utilizzato come mezzo di propaganda per dare un’immagine costruita e iconografica del regime fascista. Oggi come allora, la propaganda passa per le immagini, per i corpi, per le verità narrate dall’uomo della strada che, attraverso il proprio sentito e il proprio credo, si fa mezzo, a volte inconsapevole, di un messaggio comunicativo più ampio e complesso.

Così il 9 febbraio prossimo numerose persone si riverseranno nelle strade del quartiere Giuliano-Dalmata di Roma e racconteranno, attraverso la loro corsa e i loro corpi, la verità che è stato chiesto loro di narrare ad altrettante persone intente ad osservarle, senza però avere la possibilità di un confronto.

Nell’attuale clima politico di estremizzazione delle identità nazionali, che amplificano vittimismi e giustificano la violenza in nome della provenienza geografico/culturale, da osservatrici e osservatori del presente appare fondamentale monitorare eventi che potrebbero apparire virtuosi, invece pretendono di farsi portavoce della Storia senza possedere gli strumenti necessari.

10 febbraio
L’ex Presidente del Consiglio Renzi e la strumentalizzazione via Twitter della foiba di Basovizza

Come ci ricorda Edward H. Carr, in quel classico sul metodo che è Sei lezioni sulla storia, la relatività è parte integrante della storia, e dal momento in cui l’uomo osserva se stesso, la storia è necessariamente soggettiva, ed è dunque compito degli storici esaminare le fonti ed esporle in maniera critica e scientifica. Tutto il resto è solamente un bel racconto.

Postilla. Febbraio 2021

Le condizioni sociali, economiche e intimamente umane sono cambiate molto rispetto alla prima stesura di questo articolo, che vedeva al centro i corpi, gli incontri e gli scambi diretti legati alla narrazione dominante sul tema delle foibe e delle complesse vicende del confine orientale italiano. Considerate le limitazioni alla libertà di movimento per prevenire la diffusione del virus, i metodi comunicativi sono necessariamente diversi, ma non i contenuti propagandistici che riproducono in forma online ciò che si faceva dal vivo. Ad esempio, la Corsa del Ricordo diviene un contest giocato in privato ma condiviso sulle piattaforme social per amplificarne l’eco, portando paradossalmente a rafforzare ancora di più il sentimento di “vittime inascoltate” che adesso, complice la pandemia, avrebbero rischiato di trovare minore spazio nel discorso pubblico.

Allo stesso modo, e forse ancora più forte, si fa urgente la necessità di raccontare la Storia da un punto di vista scientifico, per cercare di fare emergere l’analisi del contesto storico rispetto al racconto memoriale, i fatti rispetto al sentito comune.

Un anno fa, durante la stesura di questo articolo, stavamo assistendo ad una vera e propria campagna mediatica che attaccava in maniera bieca storiche e storiche, definiti per l’occasione “negazionisti”, rei di esporsi in prima persona nella titanica lotta di ricerca vs luogo comune. Tuttavia, a differenza della ricerca, il luogo comune diviene molto più velocemente narrazione ufficiale e liturgia pubblica.  A distanza di dodici mesi, Eric Gobetti – uno dei ricercatori al centro di questa débâcle pubblica – ha pubblicato per Laterza un testo breve, chiaro e incisivo intitolato E allora le foibe?, che ci auguriamo possa divenire uno dei capisaldi della produzione storiografica attorno questo argomento, e che pubblicazione dopo pubblicazione l’analisi storica possa prevalere sulla propaganda politica.

 

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