Contro la didattica di quarantena

L’emergenza Covid-19 rischia di trasformare la formazione in confinamento sociale e politico: in un nuovo brutalismo.

Era il 12 marzo quando il nostro rettore ha annunciato, in piena pandemia e adeguandosi alla dottrina criminale dell’immunità “di gregge” del governo di Boris Johnson, che all’Università di Edimburgo l’insegnamento sarebbe andato avanti “as usual”, come se nulla fosse. Preoccupato, ho scritto subito al rettore chiedendogli di spostare la didattica online: “Devo confessare che andare avanti con il ‘teaching as usual’ mi preoccupa. Le aule sono enormi incubatori dove risulta difficile preservare qualsiasi distanza di sicurezza. La maggior parte delle università europee sta andando in una direzione diversa [da quella dell’Università di Edimburgo] e sta mettendo la protezione dello staff e degli studenti al primo posto”.

Nel Regno Unito il 12 marzo era anche il penultimo giorno di un lunghissimo sciopero nazionale di diverse settimane con cui il sindacato a cui aderisco—lo University and College Union, uno degli organi di rappresentanza sindacale accademica più grandi al mondo—aveva mobilitato decine di migliaia di docenti per il terzo lungo sciopero consecutivo in due anni. Nel 2018 il sindacato aveva guidato una protesta contro l’innalzamento dei contributi pensionistici e contro la prospettiva di un taglio di 200.000 sterline sulle pensioni dei docenti a contratto fisso. Queste misure si basavano su una proiezione di deficit dell’ente pensioni del settore universitario poi rivelatasi sbagliata.

Nell’arco di due anni la mancata soluzione della questione pensioni ha contribuito a un ampliamento del fronte di conflitto tra corpo docente e università. Così a inizio 2020, mentre il Covid-19 che stava dilagando su scala planetaria, la protesta si è trasformata in uno sciopero contro il neoliberismo accademico tout court. Docenti con posto fisso e precari/e si sono uniti/e e hanno incrociato le braccia per settimane, chiedendo la fine dello sfruttamento del precariato, la fine delle discriminazioni salariali sulla base di genere, razza, e disabilità (nel Regno Unito queste discriminazioni sono strutturali), l’innalzamento dei salari, e la protezione delle pensioni. Un’altra università è possibile!

Il paradosso è stato che in piena protesta contro lo sfruttamento, la discriminazione, e l’impoverimento prodotte dal modello neoliberista, io e molte altre colleghe e colleghi in sciopero, ci siamo trovati, senza alternativa, a fare richiesta alle nostre università di lasciare le greggi a casa e di operare una transizione a un altro marchingegno molto complicato del modello neoliberista: l’insegnamento online. Per cercare di limitare le dimensioni delle fosse da Covid 19, ci siamo scavati la fossa da soli. Ma andare avanti con il business as usual avrebbe avuto effetti disastrosi.

Dopo pochi giorni l’Università di Edimburgo ha annunciato lo spostamento di tutta la didattica online. Nel frattempo Johnson, con la morte alle porte di Downing Street (anzi dentro, visto che poi anche lui stesso è risultato positivo), aveva compiuto un’inversione totale, passando dall’iniziale neoliberismo epidemiologico del laissez infecter alla chiusura totale del paese. Inclusi gli asili, ovviamente. Mio figlio a casa. Passaggio al lavoro da casa e insegnamento online insieme. Un delirio, come per tutte le colleghe e i colleghi che si devono prendere cura di figli-e o loro persone care con cui vivono.

Una settimana di tempo per la transizione. Dentro di me mi chiedevo come fare a non fare funzionare il male minore della didattica online. Come non rendersi parte di un modello di insegnamento alienante senza privare studenti e studentesse rinchiuse in casa del diritto alla formazione? Come non rendere permanente la soluzione transitoria che abbiamo dovuto adottare per salvarci dal Covid-19?

Come molte altre situazioni di crisi, l’epidemia ha scatenato le forze del capitale pronte ad approfittarne. Ogni congiuntura è buona per dare una scossa. Proprio mentre mi arrovellavo nelle mie domande, un esperto di tecnologie dell’educazione della Goldman Sachs si sfregava le mani per l’enorme mercato che si apre davanti a una delle più grandi banche d’affari grazie alla morte di decine di migliaia e forse centinaia di migliaia di persone su scala globale. Secondo questi esperti l’apprendimento online sarà intellettualmente più arricchente e di maggiore qualità rispetto alla didattica classica. Esso consentirà di accumulare dati senza precedenti su studenti e studentesse, trasformando le università e il corpo docente in accumulatori di algoritmi attraverso cui ricostruire il “profilo completo di performance” delle persone che educhiamo.

Studentesse e studenti (e docenti) catturati e calcolati dalla macchina, fatte e fatti tutt’uno con essa, nello spazio individualizzato e confinato dell’insegnamento e dell’apprendimento da casa.

Con lo spettro di questo cambiamento epocale sullo sfondo, ho iniziato a preparare le mie due ultime lezioni del semestre. Ho rifiutato di usare le tecnologie che ci mette a disposizione l’Università di Edimburgo. Mi sono detto: se l’amministrazione vede che le tecnologie della didattica online hanno successo e sono molto in uso, questo giustificherà la trasformazione di questa didattica alternativa in un nuovo regime irreversibile.

Ho preferito usare roba primitiva, dei Power Point su cui ho registrato sopra la mia voce. Niente video con me che parlo, così da ridurre l’effetto interattivo della didattica online al minimo. Niente diretta e dunque niente sincrono. Mi sono detto: molti studenti e studentesse potrebbero non avere accesso alle buone connessioni che servono per una diretta, per via di condizioni economiche svantaggiate o altri impedimenti.

Sì perché la didattica online presume che internet ad alta velocità abbia costi affrontabili per tutte e tutti. Ma ho scelto Power Point con la mia voce registrata anche perché, una volta esclusi la registrazione video e il sincrono, questa mi sembrava la soluzione migliore per potere cancellare abbastanza agilmente le mie lezioni dal portale su cui le carico. In questo modo l’Università non potrà renderle accessibili a nessuno o riutilizzarle.

Questi ultimi due punti sono importanti. In un paese come il Regno Unito in cui è in vigore un programma dal nome Prevent, istituito nel 2015 per “prevenire la radicalizzazione” nelle università ma in realtà utilizzato per sorvegliare il corpo docente e studente, l’istituzionalizzazione della didattica online significherebbe la creazione di un enorme archivio accessibile da chi amministra programmi come Prevent e la possibilità di trasformare le università in uno spazio di sorveglianza e repressione, soprattutto per chi lavora su certe questioni politiche e con approcci critici.

La questione del possibile riutilizzo delle lezioni registrate è altrettanto delicata. Proprio qui a Edimburgo durante lo sciopero del 2018 era emerso come la Facoltà di Giurisprudenza fosse pronta a utilizzare le lezioni registrate per sopperire all’assenza del corpo docente in sciopero. Un docente sciopera, e allora click, play e gli studenti e studentesse possono guardarsi nella solitudine di casa la lezione che lo stesso docente ha registrato l’anno prima. In altre parole la didattica online rischia di mettere a repentaglio un diritto fondamentale come il diritto di sciopero e di neutralizzare qualsiasi protesta.

Di qui i miei Power Point primitivi. Rifiuto di entrare nell’era del profilo algoritmico della performance dei miei studenti e studentesse. Rifiuto di produrre nuove disuguaglianze (la questione dell’accesso) attraverso la didattica online. Rifiuto di produrre materiale che poi potrebbe essere utilizzato a fine repressivo e anti-sindacale. Ma anche rifiuto di abolire l’idea di università come spazio di incontro collettivo.

Chi vuole fortemente il passaggio alla didattica online ci dice che questa è una grande occasione di democratizzazione dell’accesso alla conoscenza. Le persone svantaggiate potranno accedere meglio al sapere. Ma dallo spazio isolato e individualizzato di una lezione registrata chi è emarginato ne esce emarginato. Si pensi anche a chi con problemi di salute mentale verrà privato di certe interazioni.  A chi è emarginato/a si nega proprio un elemento democratico fondamentale: l’accesso a uno spazio comune, lo spazio di una aula “in carne e ossa”, e la possibilità di trasformare la prossimità che questo spazio offre in una chiacchierata, e chissà in una voglia di organizzarsi, di contestare.

La didattica online è una macchina anti-politica che, per dirla con il filosofo Achille Mbembe in un libro appena uscito, riduce ulteriormente la differenza macchine e viventi. Visto l’impeto con cui viene promossa in questo momento congiunturale prodotto dal Covid 19, essa rischia di diventare un nuovo capitolo di quel regime politico contemporaneo che Mbembe chiama “brutalismo”. Il brutalismo di una didattica di cattura con corpo studente e docente ulteriormente e radicalmente trasformati in comportamenti online che corrispondono a dati. Il brutalismo della cancellazione dello spazio di incontro comune della classe e della sua trasformazione da spazio di potenziale liberazione a spazio di confinamento da casa. Il brutalismo dell’istituzionalizzazione della didattica di quarantena.

 

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