Contra Fusarum: l’ideologia gender come costrutto politico

Una riflessione di Cristian Lo Iacono, apparsa in cartaceo sul numero 2/2015 de L’Ateo, bimestrale dell’UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.

Diego Fusaro: giovane filosofo rampante, piace a 24.654 persone. Ma nella vita ci sono sempre prezzi da pagare. Forse uno a cui piaccia esercitarsi in lunghe masturbazioni su Marx riuscendo al contempo a insegnare filosofia in un’università privata cattolica sente l’obbligo morale di fare atto di sottomissione al nuovo fondamentalismo. Di ipocrita ossequio si deve trattare, altrimenti non riuscirei a credere che una persona che abbia letto Marx, non dico che l’abbia capito, dico letto, possa schierarsi con le forze più retrive, con quelle che hanno sempre dominato e fatto da stampella legittimante del capitalismo. Da attento studioso quale dice di essere nelle schede biobibliografiche che scrive di suo pugno, egli non ha bisogno di intervenire in un dibattito culturale – poniamo, teorie di genere e sugli studi sulla sessualità – avendo letto i testi. Gli basta leggere altra spazzatura. C’è da dire, infatti, che quando egli interviene sulla cosiddetta “ideologia (mondialista) gender” nessun autore o autrice nel contesto della queer theory o del femminismo viene citata. Però egli sente l’irresistibile esigenza di ogni giovane youtuber, che è quella di intervenire e di dire la propria cazzata, purché sia. A differenza di altri “cazzari del web” però i suoi interventi monotoni e monocordi sono infarciti di nobilitanti pseudocitazioni: «capitalismo assoluto totalitario», «mutazione antropologica», «si dice di heideggeriana memoria».

Insomma, il punto è intervenire in un contesto, dicendo le stesse cose che dicono i reazionari, ma con il supporto citazionale di Hegel e Marx, Aristotele e Lukács. Definiamo “reazionari”: l’estrema destra, la nuova destra dei neofascisti di Casa Pound, dei neoclericali, delle Sentinelle in piedi, dei confessionalisti del Movimento per la Vita, dei leghisti à la Borghezio, dei neocomunitari e dei neoidentitari, più brandelli postmarxisti “rosso-bruni”. Si tratta di gruppi eterogenei che si ritrovano attorno a una retorica comune, a un discorso e un linguaggio condivisi. In particolare, l’etica sessuale religiosa rappresenta un sistema di valori a cui riferirsi e da sfruttare.

Dunque, 1) ignoranza delle condizioni reali del capitalismo; 2) uso strumentale e didascalico della filosofia; 3) ossequio al cattolicesimo; 4) partecipazione organica alla costituzione della nuova estrema destra europea. Manca solo un ingrediente: il capro espiatorio. Ma eccolo qua! È “l’ideologia gender”, questo mostruoso progetto in complotto con i “poteri forti” del capitalismo e dell’americanismo per frammentare i legami comunitari e sostituirli con i rapporti tra individui atomizzati e privi d’identità. Prima di analizzare questo costrutto discorsivo, arbitrario, ma non meno intelligente (infatti lo ha inventato la Chiesa Cattolica), dobbiamo venire un attimo ad alcuni fatti. Come dicevo, dietro la teoria c’è l’intervento in una congiuntura, lo schierarsi in un conflitto con una parte piuttosto che con l’altra.

Cerchiamo di ristabilire i fatti

Non mi piace buttarla sul patetico e sul vittimistico, ma i fatti stanno così. Nelle strade di Roma, nelle piazze di Padova, nei vicoli di Genova, nelle scuole di Napoli, nelle discoteche di Bari i ragazzi e le ragazze omosessuali sono spesso aggrediti e picchiati. Ci sono adolescenti che si lanciano dalla finestra perché hanno paura della reazione delle loro famiglie e dei loro amici alla scoperta della loro omosessualità. Alcuni adolescenti transessuali si tolgono la vita perché non sono accettati dai loro genitori cristiani. Al di sopra di questi fenomeni estremi di violenza si solleva un pulviscolo di insulti, doppi sensi, allusioni, forme più o meno esplicite di esclusione. Oltre alla violenza, che è la forma estrema della discriminazione, avviene che nell’Italia del XXI secolo esistano coppie omosessuali stabili, che agiscono più o meno sulla falsariga di quelle eterosessuali e che per questo richiedono lo stesso trattamento e gli stessi diritti, ad esempio quello alla genitorialità. E dato che queste coppie non sempre hanno figli nati da precedenti relazioni eterosessuali, in alcuni casi desiderano accedere alle tecniche di procreazione assistita. Infine, alcune persone transessuali richiedono allo Stato di un cambio anagrafico anche in assenza di un’operazione di riassegnazione anatomica del sesso. Questi sono i fatti sul terreno.

È successo che un parlamentare gay del Partito democratico, nemmeno tanto amato dal movimento omosessuale e non particolarmente geniale nelle sue idee politiche, abbia proposto un’estensione della legge Mancino (L. 205 del 25 giugno 1993) sui reati di odio, incitazione alla violenza e discriminazione, anche alle manifestazioni di odio, incitazione alla violenza e discriminazione contro persone omosessuali, transessuali o presunte tali. È la cosiddetta “legge Scalfarotto”, che ha suscitato diverse critiche anche da parte del suddetto movimento GLBTQ (gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer). Ma teniamoci alle reazioni da parte delle “Sentinelle”, dei movimenti “pro-vita”, e dei vari Giovanardi e Adinolfi. Un totale capovolgimento. Il tentativo, ripeto, goffo, di estendere una protezione antidiscriminatoria verso fasce vulnerabili della popolazione identificate come gay, lesbiche e transessuali e per questo aggredite, veniva rovesciato in un tentativo di mettere il bavaglio alla libertà di esprimere la propria opinione e alla libertà di educazione della prole. Sì, perché il punto non è la tutela contro la violenza (non ci sarebbe bisogno di una tutela contro le manifestazioni di odio discriminatorio), ma è poter insegnare ai propri figli che “un bambino ha bisogno di un papà e di una mammà” e che le altre scelte sono difettose rispetto a questo sacrosanto ideale della famiglia basata sull’esistenza di due genitori (biologici) di sesso diverso (un maschio e una femmina).

Di fronte a questo presunto tentativo di messa in silenzio, le Sentinelle si sono inventate una forma molto postmoderna di manifestazione. Il movimento di per sé ricalca la “manif pour tous”, sembra un flash-mob, una di quelle mobilitazioni istantanee che sostituiscono le vecchie manifestazioni di massa, i vecchi cortei di operaia e sessantottesca memoria. Le persone in piazza si espongono in piedi, una vicino all’altra, e restano in silenzio. Non sapendo che fare hanno deciso di portarsi un libro. Un libro, qualunque. Basta leggerlo, o anche non leggerlo. Il messaggio è il silenzio. Quel silenzio a cui sarebbero condannati – secondo loro – se passasse una legge sull’omofobia. Il punto però non è di metodo, ma di merito: questo movimento non ha un’alta concezione della sacertà del diritto di espressione. Qui non si tratta di una battaglia di tipo formalistico-procedurale, perché se si va poi a scavare non è il fatto di poter esprimere una qualunque opinione che queste persone vedono minacciato. Vedono minacciata la possibilità di esprimere la loro opinione su argomenti che, guarda caso, hanno a che fare proprio con l’omosessualità e la transessualità, con i privilegi degli eterosessuali, con la genitorialità, la paternità e la maternità. Esiste cioè un contenuto precipuo, che è oggetto di discussione, e lo si copre con il problema della difesa del diritto di opinione. Tale contenuto ha un aspetto immediato, rappresentato dalle richieste di riconoscimento delle persone omosessuali e transessuali (no discriminazione, formare una coppia, avere figli, avere il proprio nome sulla carta d’identità). Ma ce n’è un altro, implicito e profondo, addirittura epocale.

Una battaglia epocale

Gli episodi di aggressione violenta, i tentativi legislativi per arginarla, tentativi di arginare questi tentativi, si trovano all’interno di un fiume, di un complesso di trasformazioni epocali dei rapporti tra i sessi, i generi, gli individui e le comunità; li trascina il corso impietoso della storia.

È evidente che queste trasformazioni non sono estranee allo “spirito” del capitalismo. Siamo d’accordo sul fatto, già registrato da Marx nel Manifesto del partito comunista più volte citato dal Nostro che il capitalismo distrugge i rapporti patriarcali, distrugge le società tradizionali, sbriciola le istituzioni, produce le forme di soggettività che gli sono conformi, e quando non le produce, sono queste soggettività, che magari hanno anche altre origini, a dover entrare a patti con il capitalismo stesso (Foucault). Il capitalismo reale, però, è un ibrido e sopravvive mediante compromessi (da questo punto di vista è lungi dall’essere totalitario). Un conto è il modo di produzione, un conto sono le condizioni sociali entro cui tale modo di produzione si dà. Nel corso della storia moderna vi sono state diverse maniere in cui il capitalismo si è intrecciato, ad esempio, con le istituzioni religiose o con le forme della riproduzione biologica e culturale delle società. Se è falso quello che credevano i primi movimenti omosessuali e le prime femministe radicali – cioè che patriarcato e capitalismo vanno a braccetto – è altrettanto falso quello che credono oggi i detrattori del femminismo e della critica omosessuale – che il capitalismo vada a braccetto con il tipo di donna e il tipo di uomo postulati dalle rivoluzioni sessuali del XX secolo. Nell’un caso come nell’altro si tratta di aggiustamenti, approssimazioni, contraddizioni surdeterminate (Althusser).

L’errore tattico – o di malafede – commesso dai nouveaux philosophes classiques con aspirazione da vati di YouTube, è quello di farsi sostenitori e alleati dei cattolici reazionari, dei fascisti, di Putin, illudendosi di creare un così nuovo fronte anticapitalista e dimenticando che sia il cattolicesimo reazionario, sia il fascismo, sia l’autoritarismo russo non alzeranno mai un dito contro il capitalismo, non lotteranno mai contro il sistema dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; a loro non gliene frega niente dell’estrazione del plusvalore. Loro combattono alcune manifestazioni della modernità secondo una serie di connessioni complesse che si sono sviluppate all’interno del capitalismo, ma che non hanno nulla di essenzialmente conforme, o anche non-conforme al capitalismo stesso (aborto e divorzio, controllo delle nascite, esistevano anche nei Paesi socialisti “reali”). Quelle GLBT, come tutte, sono soggettività fluttuanti, che possono assumere ora ruoli di scardinamento, ora ruoli di consolidamento dello stato di cose esistente. Questo errore, dovuto forse a un ancoramento a una filosofia ontologica (ma io dico che c’è tanta malafede), fa sì che si vedano nemici negli omosessuali, mentre il vero nemico, il capitalismo, è indifferente sia verso gli omosessuali che verso gli eterosessuali, sia verso i ferventi cattolici che verso i sobri protestanti, sia verso i frugali ebrei che verso gli sperperatori musulmani.

Questi grandi marxisti per don Verzé, non vedono che a essere minacciato non è il rapporto naturale dell’uomo con la donna (peraltro, la nozione aristotelica di famiglia non c’entra un piffero con quella moderna, prima di tutto perché l’amore come lo intendiamo noi e la reciprocità come la intendiamo noi non erano delle priorità: la famiglia in Aristotele e nella grecia classica non è la sede dell’eros!), non è il fatto che esistano il genere maschile e il genere femminile (peraltro il tema del genere come costrutto sociale, e quello del continuum tra i generi è un patrimonio condiviso tra molte scienze), né tantomeno che si possano ancora usare i termini papà e mamma (che tragedia!).

Quello che oggi è minacciato, semmai, è il compromesso fra le istituzioni religiose, in primis quelle cristiane, e i regimi politici che a loro volta fanno da sostegno al dispiegamento del capitalismo nelle condizioni attuali della riproduzione sociale complessiva (per citare Marx). In Italia questo compromesso ha avuto prima il nome di fascismo e dopo la fine della seconda guerra mondiale ha preso il nome di Democrazia cristiana. Sempre ha avuto il carattere di un familismo amorale, e mai, ha minacciato seriamente il modo di produzione dominante. A essere minacciato è il vecchio adagio conservatore “lavoro, patria, famiglia” come surrogato di un compromesso epocale tra il capitalismo, il patriarcato e le religioni istituzionalizzate. Quello che fa rabbia a questi signori non è lo strapotere del capitalismo, il suo carattere totalizzante, ma che esso possa sopravvivere anche senza di loro, trovando forme di soggettività e di riproduzione social-simbolica altrettanto adeguate, o magari più adeguate… per ora, poi si vedrà.

Un capovolgimento del concetto di ideologia

Il costrutto definito “ideologia gender” è il prodotto di una serie di appiattimenti e di fusioni a freddo tra psicanalisi, femminismi e teoria queer. Nello spazio residuo a mia disposizione mi concentrerò sul concetto di ideologia.

Innanzitutto, nessuno designerebbe se stesso come portatore di ideologia. L’ideologia ha sempre a che fare con l’avversario: è l’altro che sbaglia, che vuole mistificare la realtà. Secondo letture un po’ più raffinate, l’ideologia funziona ampiamente in modo inconscio, ha una dimensione immaginaria, diffusa e sempre incombente su tutti; quindi non è il prodotto di apprendisti stregoni, complottisti forti o deboli, geni del male. C’è però un aspetto meno raffinato che per così dire “precipita” da questa idea del carattere inconscio. Si può comodamente usare il termine ideologia quando si vuole attaccare non un insieme definito di teorie, con il loro “canone” più o meno riconoscibile (il problema è che bisogna conoscere, studiare), ma quando ci si voglia limitare a trincerarsi dietro un appellativo in fondo insultante: “ideologico”, per pigrizia analitica. Terzo aspetto interessante nell’uso del termine ideologia è che si applica una sorta di codice non scritto che sorregge degli atti. Quarto e ultimo aspetto è la strumentalità dell’ideologico al politico e soprattutto all’economico. L’ideologia, cioè, deve servire a giustificare e legittimare il dominio.

Venendo alla fattispecie quindi, l’ideologia gender sarebbe l’insieme delle asserzioni sbagliate, delle mistificazioni, che i “poteri forti” e i loro servitori fabbricano attorno al tema del genere e della sessualità. Cosa sostiene: che maschile e femminile non esistono, che il genere è un’invenzione e può essere moltiplicato a piacere. In pratica non esistono generi perché i generi sono infiniti. Ma se l’ideologia è non-verità, qual è la verita? Ovvio, quello che ci consegnano Aristotele, la Bibbia, la Scienza o chi per loro.

Mi preme molto nel momento in cui vengo ad affrontare questo costrutto, fatto di due semplici termini “ideologia” e “genere”, soffermarmi su quello che secondo me è stato il capovolgimento del concetto di ideologia che ha consentito di creare questo mostro concettuale. Se proprio vogliamo andare a scomodare Marx dobbiamo ricordarci che la sua definizione di ideologia prevedeva che si naturalizzasse qualcosa che era sociale, che si eternizzasse qualcosa che era storico.

Bisogna essere onesti: Marx ed Engels consideravano la famiglia come nucleo di relazioni naturali, primarie. Ma questo è stato il limite di Marx ed Engels, non della teoria marxista che essi ci hanno consegnato. Già Engels, nell’Origine della famiglia fa un lavoro prezioso di storicizzazione. A partire dal XX secolo, è stata possibile una lettura critica in termini femministi e socialisti della famiglia, che ci hanno condotti e condotte a determinarne la natura storica. È stato possibile sottrarre all’eternità quel nucleo atomico e borghese (ed edipico) formato dal padre dalla madre e dai figli, e ci siamo accorti, anche grazie agli studi antropologici, di quanto le strutture della parentela non avessero nulla a che fare, o comunque non si limitassero a quella che è la rappresentazione della famiglia che ci ha consegnato la società borghese.

Tornando al termine ideologia, quello che appare paradossale è che proprio sul concetto di genere ci sia stato questo capovolgimento. Se l’ideologia è la rappresentazione di ciò che è storico come fosse naturale, allora l’espressione “ideologia gender” dovrebbe designare quella rappresentazione del genere come qualcosa di naturale e non storico. Ora, secondo gli stessi oppositori fondamentalisti (religiosi o non) avviene il contrario. Quelli che sostengono che il sesso e il genere hanno una determinazione storica sono “ideologici”, mentre quelli che sostengano che sesso e genere sono fissati una volta per tutte, che non hanno una loro storicità e varianza sono non ideologici!
Di capovolgimento in capovolgimento, di deviazione in deviazione: tutto pur di mettersi dalla parte sbagliata. Complimenti professorino!

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