Uno studio degli articoli usciti sui principali giornali italiani conferma uno degli stereotipi di genere più duri a morire: la conciliazione lavoro-famiglia è un problema esclusivamente femminile.
Tra le cause che maggiormente tengono le donne lontano dal lavoro rientrano a pieno titolo gli impegni familiari e domestici. È stato infatti ampiamente dimostrato che la presenza di figli piccoli in famiglia diminuisce molto la possibilità per le donne di lavorare1. Questi dati risultano particolarmente veritieri in Italia: infatti, nel nostro Paese, il tasso di occupazione femminile è del 52,5%, di 14 punti più basso rispetto alla media europea. Inoltre, il divario tra le donne occupate e gli uomini occupati è di circa 18 punti: il più alto nell’Unione Europea, subito dopo Malta. Data la peculiarità di questa situazione è interessante osservare in che modo la stampa italiana affronta il tema della conciliazione tra lavoro e famiglia. Applicando il metodo integrato della linguistica dei corpora e dell’analisi del discorso, ho analizzato trenta articoli pubblicati dal 2005 al 2016 sulla versione online di tre quotidiani: la Repubblica, il Corriere della Sera e la Stampa. Vediamo nel dettaglio le tendenze deducibili dai risultati ottenuti dall’analisi, che si è concentrata sui passaggi degli articoli in cui appare la sequenza “lavoro e famiglia”.
Innanzitutto, dall’analisi emerge che nella quasi totalità dei casi si parla della conciliazione tra lavoro e famiglia: si parte quindi dal presupposto che questi due ambiti siano in contrasto tra loro e si debba quindi trovare un modo per farli coesistere. Inoltre, quasi sempre, la conciliazione tra lavoro e famiglia viene trattata come un tema che tocca esclusivamente le donne, in quanto la famiglia viene molto spesso considerata una sfera di pertinenza femminile, e anche nella maggioranza dei casi in cui si propongono soluzioni per migliorare o risolvere la situazione attuale o in cui si evidenzia la problematicità dello status quo, quest’ultimo non viene messo in discussione. Gli uomini infatti vengono menzionati raramente e, laddove inclusi nel discorso, rientrano tra gli innumerevoli impegni a cui devono dedicarsi le donne che lavorano: raramente vengono presentati come soggetti partecipi al cambiamento. Il passaggio riportato di seguito da la Stampa è esemplificativo del ruolo marginale, o in alcuni casi del tutto assente, che ricoprono gli uomini nella rappresentazione dominante della stampa sul tema “lavoro e famiglia”:
Non è semplice riuscire a conciliare lavoro e famiglia, specie per una donna che, in genere, si deve occupare di più faccende che non l’uomo. Giostrarsi tra impegni lavorativi, mariti, figli – magari anche genitori – economia domestica e compagnia bella spesso richiede dei superpoteri che, due terzi delle donne oggetto di uno studio, dimostrano di poter tirar fuori all’occorrenza.
Sempre da la Stampa, ecco invece l’unico, isolato, caso in cui si fa riferimento esplicito al ruolo che gli uomini potrebbero avere per migliorare la situazione attuale, permettendo alle donne condizioni lavorative meno svantaggiose e una maggiore partecipazione all’interno del mercato del lavoro:
Per questo fino a che saremo le sole a occuparci di bambini e malati, le imprese si aspetteranno sempre da noi un minor attaccamento aziendale. La soluzione non è la conciliazione tra lavoro e famiglia ma la conciliazione tra donne e uomini all’interno della famiglia. Bisogna, quindi, reimpostare i ruoli dentro le case.
Ma vediamo meglio quali sono i soggetti coinvolti, le soluzioni, le cause, le conseguenze o, in alternativa, le manifestazioni inerenti a questo tema. Per quanto riguarda i primi, si tratta quasi sempre di donne, principalmente madri e lavoratrici; vengono in alcuni casi chiamati in causa istituti ed enti, in particolare l’ISTAT, che hanno il compito di pubblicare studi e rapporti che mettano in evidenza le criticità della situazione attuale. A volte vengono anche coinvolte istituzioni locali, nazionali ed europee il cui ruolo è quello di proporre e attuare soluzioni. In alcuni casi, ricollegandosi al ruolo delle istituzioni, laddove la conciliazione tra lavoro e famiglia viene considerata un problema risolvibile, vengono menzionate soluzioni che talvolta sono proposte proprio dalle istituzioni, altre volte sono adottate da donne di successo, come nel passaggio che segue da un articolo su La Repubblica:
La settimana corta della dirigente Facebook: così si conciliano lavoro e famiglia. Il caso di Nicola Mendelsohn, capo operazioni del social network in Europa, che lavora quattro giorni alla settimana per dedicare più tempo ai suoi quattro figli. Così la manager quarantenne risolve l’annosa questione dell’occupazione femminile ad alti livelli.
Dalla lettura dei passaggi analizzati, lo spazio dato alle soluzioni proposte o attuate sembra essere però poco incisivo e scarsamente orientato alla risoluzione dello status quo. La narrazione dominante sembra maggiormente orientata a mettere in evidenza quanto problematica sia questa condizione, con conseguenze negative sia sul piano personale per le donne coinvolte, che a livello macroeconomico.
Passando ora alle cause, quella più frequentemente individuata è il sovraccarico di lavoro domestico e di cura delle donne con famiglia che lavorano. La distribuzione di tali incombenze tra membri della coppia risulta infatti essere estremamente squilibrata anche a causa di una convinzione fortemente radicata secondo cui tali ambiti sono, ancora, di pertinenza femminile, come espresso nel passaggio seguente ancora da la Repubblica:
La cura dei figli, soprattutto in tenerissima età, in Italia continua a essere un compito da donne e la vita lavorativa deve necessariamente adattarsi alla condizione di madre anche in relazione all’indisponibilità di servizi di supporto adeguati alle proprie esigenze in termini di costi, orari, vicinanza alla zona di residenza e presenza di personale specializzato. La conferma arriva dallo studio Istat focalizzato su “La conciliazione tra lavoro e famiglia”.
Tra le cause ha inoltre un ruolo rilevante il welfare, che non fornisce servizi adeguati alla cura e alla famiglia; tale carenza viene messa in relazione con il fatto che la spesa pubblica italiana per questo settore è di gran lunga più bassa rispetto alla media europea, come viene evidenziato su La Stampa:
Il welfare italiano non aiuta le donne che lavorano a far nascere e crescere i figli. E nemmeno le aiuta a trovare e a mantenere un lavoro. Ma non basta. Se un lavoro le donne ce l’hanno, rischiano di scoppiare sotto la pressione eccessiva che lavoro e famiglia sommati sulle loro spalle determinano. Ce ne eravamo accorte da parecchio, e ora lo evidenziano due nuovi studi. Uno lo cura l’Osservatorio sull’imprenditoria femminile dell’Ufficio studi di Confartigianato. Rileva che la spesa pubblica per la famiglia, pari a 16,5 miliardi, è appena l’1% del Pil. Il basso livello di spesa per la famiglia colloca l’Italia al 22° posto tra i Paesi Ue: la media dei Paesi europei si attesta all’1,7% del Pil.
Per quanto riguarda i modi in cui la difficile conciliazione tra lavoro e famiglia si manifesta e le relative conseguenze, si menzionano: scarsa partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, difficoltà di trovare lavoro per le mamme, maggiore povertà femminile, scarsa presenza di donne in posizioni apicali, peggiore retribuzione e, infine, sovraccarico di impegni che investe le donne con famiglia che lavorano: Le conseguenze portano, tra le altre cose, a un aumento di stress, a un maggiore rischio di tumori e a una minore longevità. Nonostante gli innumerevoli ostacoli e problemi, ricorre il messaggio secondo cui la conciliazione tra lavoro e famiglia sia comunque realizzabile. Solo nel caso che segue – da La Repubblica – si afferma esplicitamente che questa non è possibile, con “l’inevitabile” conseguenza di abbandono del lavoro da parte delle donne:
Lavoro e figli ancora incompatibili – Il 37% delle donne lascia l’impiego. Il rapporto su “La conciliazione tra lavoro e famiglia” ribadisce come in Italia le attenzioni per la prole in tenerissima età resti un compito femminile, con conseguenti aggiustamenti nella vita lavorativa.
Dalle tendenze emerse sembra che nella stampa italiana, anche quando si propongono soluzioni per migliorare la conciliazione tra famiglia e lavoro, lo status quo che considera le donne le principali responsabili della sfera domestica e familiare rimane inalterato e indiscusso.
Gli uomini, anziché essere soggetti attivi e partecipi al cambiamento, rientrano nell’insieme di impegni a cui le donne devono far fronte. Tale resistenza culturale nei confronti del superamento dei ruoli tradizionali di genere, molto radicata nella stampa analizzata, si collega con i dati relativi al tasso di occupazione femminile in Italia che, ricordiamo, è tra i più bassi d’Europa. In particolare, tra le principali cause che tengono lontane le donne dal mercato del lavoro italiano troviamo proprio le incombenze familiari e domestiche.
Alleggerire il peso delle responsabilità familiari e domestiche sulle donne attraverso una disponibilità maggiore di servizi di cura, in particolare degli asili nido, ma anche attraverso una ripartizione dei compiti più equilibrata tra donne e uomini attraverso, ad esempio, un’estensione del congedo di paternità, andrebbe sicuramente a ridimensionare uno dei principali ostacoli all’aumento del tasso di occupazione femminile.