La competenza narrativa in rete

La pertinenza semiotica dei fenomeni espressivi e di comunicazione generati dall’affermazione delle nuove tecnologie, e caratterizzati in particolare da multimedialità e da interattività, può essere esplorata attraverso la ripresa e la messa in gioco di un concetto classico come quello di enunciazione.

1.

La pertinenza semiotica dei fenomeni espressivi e di comunicazione generati dall’affermazione delle nuove tecnologie, e caratterizzati in particolare da multimedialità e da interattività, può essere esplorata – entre autre – attraverso la ripresa e la messa in gioco di un concetto classico come quello di enunciazione, come già attestano alcuni studi sull’argomento (Manetti 1998, Fontanille 2015, per esempio). In queste note ripercorrerò per sommi capi l’impianto di questa opzione, in vista dei necessari approfondimenti.

L’enunciazione è com’è noto una nozione elaborata in ambito linguistico (Benveniste 1966-74) e progressivamente “testata” – non senza criticità e adattamenti – in vari ambiti, dal cinema alla teoria dell’arte all’architettura al campo semiotico più in generale, che incontra con le nuove tecnologie della comunicazione una nuova occasione di impiego. Nella più nota formulazione, Benveniste concepisce l’enunciazione come quella istanza formale, di mediazione tra langue e parole, che permette al parlante di appropriarsi della lingua attraverso un atto individuale, mettendola in funzione e al tempo stesso enunciandosi come soggetto. Il suo dispositivo è ricostruibile a partire dalla rete di relazioni istituite nell’enunciato dai deittici – pronomi personali, locativi e indicatori di tempo – a partire da un foyer definito appunto dalle coordinate di riferimento dell’io/qui/ora di chi enuncia. L’enunciazione si identifica qui con la produzione del “discorso verbale”, quest’ultimo essendo collegato alla struttura del dialogo e alla necessaria presenza di due figure alternativamente protagoniste dello scambio linguistico. Ma negli scritti di Benveniste è ricostruibile anche una concezione più ampia e generica di enunciazione, vicina a una nozione di produzione tout court, che può essere riscontrata nei testi realizzati in sistemi diversi, o compositi rispetto a quello verbale: è la direzione da tempo assunta negli studi semiotici (Pezzini e Leone, a cura di, 2013).

Una prima lettura delle nuove tecnologie della comunicazione sotto il profilo enunciativo sposa la tesi secondo la quale nel loro sviluppo esse tenderebbero a riprodurre nel modo più fedele possibile la situazione di interazione comunicativa umana di base, cioè quella che si svolge tra due persone situate in uno stesso spazio, collocate in un medesimo ambito temporale e con la condivisione di uno stesso linguaggio, in grado di influire l’una sull’altra nel corso dell’interazione. L’enunciazione è qui intesa come atto linguistico e interazione comunicativa “in presenza”: pensiamo ad esempio a una conversazione – ma anche una lezione, una conferenza, un esame – tramite Skype o Facetime: attraverso telecamera e microfono i soggetti coinvolti si vedono e si sentono reciprocamente, e se la connessione internet è buona, l’incontro – salvo il contatto dei corpi – è del tutto soddisfacente. In questa prospettiva la situazione di enunciazione classica, anziché scomparire dall’orizzonte dei nuovi media, si configura come una sorta di modello di riferimento con cui essi confrontano la loro performatività, secondo l’apparente paradosso per cui il massimo della naturalità di interazione è ottenuto dispiegando il massimo dell’artificio simulatorio (Manetti 1998, p.128). In particolare, il dialogo tra gli utenti è assicurato dalle interfacce, i dispositivi informatici che consentono di accedere allo spazio della rete e ai suoi contenuti, visualizzabili sugli schermi ed esplorabili anche in forme testuali che come di consueto portano inscritte, sotto forma di simulacri, le tracce di enunciatori e di enunciatari.

È da sottolineare che il sistema che media la comunicazione fra gli utenti funziona come un co-enunciatore, dato che di fatto fissa le regole dell’interazione, le quali nella maggioranza dei casi sono accettate dagli utenti senza che essi siano in grado di modificarle. In questo senso, il sistema operativo progetta un tipo specifico di utente, che può fare certe cose e non altre «anche se il singolo individuo attualizza in maniera specifica le potenzialità del sistema, ed è proprio nell’interazione che la sua identità si definisce» (Manetti 1998, p. 126). Come osserva Bruno Latour, del resto, anche l’interazione faccia a faccia «non è mai pura» ma quasi sempre localizzata, attenuata e incorniciata da «attori che non sono esseri umani», il che vale per l’organizzazione spaziale e l’arredo di un ufficio postale che mantiene assieme, limita, canalizza e autorizza la nostra conversazione con gli impiegati come per la staccionata che aiuta il pastore a gestire il suo gregge di pecore. La complessità dell’interazione viene in questo modo scomposta, stratificata e dislocata, in componenti tecniche, non umane, con le quali ci associamo nel tempo e nello spazio per agire secondo modelli attanziali più o meno complessi, e dove i “corpi sociali” sono definiti in base allo scambio di proprietà fra attori umani e non umani (Latour 2002, p. 223-224).

È d’altro canto interessante notare che la progettazione delle nuove risorse mediali è strettamente legata alle pratiche e ai “modi di fare” degli utenti stessi, raccolti, sistematizzati e restituiti poi a tutti (spesso a pagamento, diretto o indiretto) in forme e programmi sempre più “amichevoli” e facilitanti. In questo senso il riferimento all’enunciazione non sarebbe più tanto da intendere come l’appropriazione individuale di forme già date, fissate una volta per tutte, come era per il singolo parlante la langue del modello benvenistiano, ma andrebbe anche inteso come riferimento al continuo lavoro di appropriazioni, trasformazioni e arricchimenti collettivi che a partire dagli usi hanno poi una ricaduta a livello di sistema. Questo in analogia con l’idea di prassi enunciativa elaborata (a partire da Greimas Fontanille 1991) per rendere conto della dinamicità dei sistemi semiotici, e dell’arricchimento delle forme e delle risorse che vi sono depositate e disponibili al riuso, come i generi, gli stili, e più in generale le tassonomie socio-culturali.

2.

A. J. Greimas riconosce in modo pieno la pertinenza e l’importanza dei dispositivi enunciativi nella costruzione e nell’organizzazione di testi e discorsi, a patto di darne una lettura “arretrata” rispetto all’atto linguistico vero e proprio, di intenderla cioè non in senso pragmatico – la situazione concreta di cui abbiamo sopra parlato – ma come un momento di passaggio interno alla generazione del senso. Greimas usa la metafora poco poetica dell’imbuto, che rende però l’idea di un convergere e incanalarsi in qualcosa di costrittivo e che “lascia il segno”: il percorso generativo è pensato come un modello generale della competenza semiotica, e non solo linguistica, organizzato in livelli – dagli strati più profondi e astratti a quelli più superficiali, dalle strutture generali e ai loro principi di trasformazione interni alle organizzazioni testuali e discorsive specifiche preordinate in vista della loro manifestazione e alla semiosi. L’enunciazione sarebbe dunque qui quell’istanza di mediazione che traduce la competenza in realizzazioni, enunciati. È quello spazio intermedio in cui si instaura l’ordine del discorso, in cui in particolare si converte la narratività fondamentale che caratterizza l’organizzazione del senso in narrazioni di superficie: si operano delle scelte, si programmano le organizzazioni spaziali, temporali e attoriali a livello sia semantico sia sintattico, destinate poi a orientarsi alla scelta di specifiche forme testuali e finalmente alla manifestazione in una o più sostanze dell’espressione.

Quando oggi parliamo di “nuove forme di narrazione”, quindi, dovremo indagare le modalità specifiche offerte dai nuovi media di questo passaggio dalla narratività profonda alle varie realizzazioni. Oggi sembrano appunto moltiplicarsi delle “utilità” che traducono in termini di istruzioni e materializzano in forma di comandi le procedure e i procedimenti tipici dell’enunciazione: scelta di modi, di generi, punti di vista, di effetti eccetera. Tanto che le nuove produzioni testuali che beneficiano di questi “aiutanti” vanno definendosi nei termini di una commistione fra comandi e testualità, nuovi oggetti in cui tutta una serie di proprietà un tempo ritenute genericamente “testuali” hanno la tendenza a materializzarsi, sotto forma ad esempio, di comandi (Zinna 2002), in un processo generale di ibridazione tra soggetti, testi e oggetti, di cui diventa interessante indagare le distribuzioni in termini di ruoli e di interazioni.

Il movimento intrinseco alle nuove tecnologie verso la materializzazione e la traduzione in dispositivi alla portata di tutti dei risultati della riflessione metalinguistica, era stato a suo tempo intuito e ben detto da Landow, quando la grande novità era costituita dalla forma ipertestuale. Nel suo libro Ipertesto. Il futuro della scrittura, Landow allora insisteva molto nel presentare l’ipertestualità come il prodotto di una singolare ed effettiva convergenza tra «le affermazioni dei teorici della letteratura (Barthes, Derrida, Bachtin, ecc.) e quelle dei teorici dell’informatica»: «la teoria letteraria sembra teorizzare l’ipertesto – scriveva – e l’ipertesto sembra incarnare, e dunque poter sottoporre a verifica, vari aspetti della teoria, in particolare quelli che riguardano la testualità, il racconto e i ruoli o funzioni dell’autore e del lettore» (Landow 1992, p. 4 tr. it.).

Nel corso del tempo si sono forse divaricate le due opposte tendenze insite in questo movimento: una alla facilitazione come ricorso ai formati prestabiliti, che dietro all’apparente opportunità si configura spesso come un dover fare acriticamente subito, l’altra alla massima apertura e allo sfruttamento creativo delle possibilità a disposizione, dunque all’opposto come un liberatorio poter fare. A ben vedere rientriamo nel campo di una semiotica delle interazioni, di cui nella specificità dei nuovi media sarebbe certo produttivo esplorare le dimensioni della routine e viceversa del rischio, nelle loro articolazioni fra i grandi poli della programmazione vs l’accidente; della manipolazione vs l’aggiustamento, secondo le proposte di Eric Landowski (2005).

Riferimenti bibliografici

Emile Benveniste, Problèmes de linguistique générale, voll. I-II, Gallimard, Paris 1966 e 1974.

Algirdas Julien Greimas, Jacques Fontanille, Sémiotique des passions, Seuil, Paris 1991.

Jacques Fontanille, “L’énonciation pratique à l’oeuvre dans l’intermédialité et la remediation”, in Migliore T. (a cura di), Rimediazioni, Aracne, Roma 2015.

Latour Bruno, “Una sociologia senza oggetto?”, in E. Ladowski e G. Marrone (a cura di), La società degli oggetti, Meltemi, Roma 2002.

George Landow, Ypertext. The convergence of contemporary critical theory and technology, The Johns Hopkins University Press,Baltimore 1992 (trad. it. Ipertesto. Il futuro della scrittura, Baskerville, Bologna 1993).

Eric Landowski, Les interactions risquées, Pulim,Limoges 2005.

Giovanni Manetti, La teoria dell’enunciazione. Le origini del concetto e alcuni recenti sviluppi,, Protagon, Siena 1998.

Isabella Pezzini, Massimo Leone (a cura di), Semiotica delle soggettività, Aracne, Roma 2013.

Alessandro Zinna, Les objets et leur interfaces, in Jacques  Fontanille, Alessandro Zinna (a cura di ), Les objets au quotidien, Pulim,Limoges 2002.

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