Simone Scafidi racconta il suo cinema e il suo punto di vista sulla Legge cinema.
Il cinema è per me come un demone. Non ho vizi, non ho dipendenze, non ho mai fumato una sigaretta in tutta la mia vita. Solo il cinema mi ha condizionato l’esistenza. Sarei un figlio, un marito e un padre migliore senza cinema, non ho dubbi.
Non ho avuto un momento specifico in cui il cinema è diventato la mia vita, niente rivelazione sulla spiaggia, niente epifania alla Stephen Dedalus. Ho avuto la fortuna di vivere un’infanzia, l’unica età in cui si può ambire alla felicità, assolutamente perfetta. Il cinema è sempre stato presente in un angolino, nei film di Billy Wilder, di Hitchcock, di Fellini che guardavo in tv con i miei genitori. Un’educazione silenziosa che poi è diventata predominante negli anni dell’adolescenza, anonimi e spensierati, in cui ho avuto bisogno di trovare una mia via personale. Amare il cinema e vederlo da una prospettiva differente mi ha plasmato e indicato la via. Mentre i miei coetanei discutevano amabilmente dei film di Nuti, Villaggio, Stallone, Schwarzenegger, io quattordicenne mi perdevo in Bunuel, Truffaut, Kubrick, Lynch, Cronenberg.
Ho iniziato a girare i miei primi filmetti con la camera Hi8 di casa, inseguendo subito un linguaggio personale. Il cinema è sempre stato, sia da spettatore che trasmette agli altri la propria visione, sia da regista, la mia urgente ricerca di una forma di comunicazione, l’unica via per trovare un’immagine di me stesso che mi appagasse.
Nel 2000, dopo diversi corti e lunghi amatoriali, ho deciso di cercare di farmi produrre il primo film professionale. Andrea de Onestis, attore diplomato al Piccolo Teatro e mio concittadino, ha scritto insieme me e poi interpretato Gli arcangeli. Con la sceneggiatura in mano, abbiamo fatto quello che ci sembrava più ovvio: inviarla alle case di produzione e distribuzione che avevano in listino i film che ci erano piaciuti e che sentivamo prossimi a noi.
Erano gli anni del Dogma 95, di Buffalo ’66, di Gummo e di Kids e noi, imbevuti delle opere di Bret Easton Ellis, vedevamo ne Gli arcangeli una sorta di racconto crudele di gioventù senza pari nel cinema italiano dell’epoca. Siamo stati vicini, o forse abbiamo solo pensato di esserlo, a vedercelo prodotto da diverse società importanti, ma non è accaduto. Nell’aria c’era la voce che Gli arcangeli sarebbe stato un piccolo film evento, capace di lanciare in un colpo solo un regista con uno sguardo potente e un attore di imprevedibile e toccante sincerità. Ma era un’opera prima infinanziabile, troppo inopportuna per poter essere presentata al ministero e alle televisioni.
Alla fine nessuno dei produttori che abbiamo incontrato l’ha voluto fare, dopo mesi e anni di belle parole. Non porto loro rancore, non è stato tempo perso, mi ha aiutato a crescere e a imparare. Come mi ha detto recentemente Andrea, probabilmente il nostro era cinema che queste persone sinceramente avrebbero voluto fare ma attorno a loro c’era solo un deserto inaccogliente per nuove fonti.
Alla fine, nel 2004, il giovane e coraggioso David Cartasegna, altro mio concittadino, ha investito soldi personali perché credeva in questo progetto e producendolo ha cercato di entrare nel mondo del cinema. Tre settimane di ripresa, poche decine di migliaia di euro come budget, due sony dvcam senza ottiche e tanta inesperienza hanno fatto sì che Gli arcangeli non sia diventato il film che poteva essere. Rimane un oggetto unico nel cinema italiano degli anni 2000, che non ha avuto seguiti, un po’ perché non è stato abbastanza compiuto da fare scuola, un po’ perché inimitabile. Iperbolicamente dico che sarebbe potuto essere il Prima della rivoluzione di quegli anni, ma molto più razionalmente so che è stato solo un tentativo ardito di proporre un cinema diverso.
Poco prima della tardiva, ma comunque fondamentale, uscita in sala nel 2008 de Gli arcangeli, ho girato, sempre con Andrea de Onestis come protagonista e cosceneggiatore, Appunti per la distruzione. Il film, che prende spunto dall’incredibile vicenda di Dante Virgili, scrittore di cui non esiste nemmeno una fotografia, è un anomalo misto di fiction e documentario che racconta l’impossibilità di definire il male.
L’abbiamo prodotto io e Andrea, con soli 8mila euro ottenuti dalla provincia di Milano. Ancora oggi, dopo anni che il dvd è fuori catalogo, è ricercato e stimato, penso anche per la maniera diretta con cui affronta Virgili, scrittore tacciato di nazismo che spaventa molto il ben pensare. Per me, che fin da ragazzo ho sposato idee progressiste, è stato molto amaro sentirmi anche solo sospettato di essere simpatizzante di un pensiero destrorso, che invece disprezzo e temo. Appunti per la distruzione è un film, infatti, che non è piaciuto agli ambienti di estrema destra italiana i quali, paradossalmente, hanno visto meglio di tanti altri quanto ogni forma di totalitarismo sia trattata negativamente nel mio film.
Dopo questi due film, ho continuato a lavorare nell’audiovisivo, nella didattica e nella realizzazione di filmati istituzionali, videoclip, piccoli spot. Ho cercato per anni il mio secondo esordio, ovvero una produzione canonica. Ma non è accaduto.
Nel 2013 è uscito il mio terzo lungo, La festa, in effetti il mio primo lavoro realizzato con una vera produzione, ma sempre girato con poche migliaia di euro e in soli 10 giorni di riprese. Ho tentato di realizzare un prodotto commerciale, una sorta di teen horror ambizioso, ma il risultato non è stato all’altezza. Alla fine rimane un lavoro interessante dal punto di vista formale, perché ragiona in maniera estrema sul point of view movie, che ha avuto un buon riscontro sul web – essendo stato girato appositamente come primo film a puntate sulle piattaforme dailymotion e youtube – ma che non ho saputo rendere incisivo come speravo.
L’insoddisfazione nei riguardi de La festa mi ha portato poi, paradossalmente, a girare i miei due film di maggior riscontro, Zanetti Story e Eva Braun. Il primo, che ho ideato, scritto e diretto con Carlo A. Sigon – grande regista e grande uomo da cui imparo sempre molto – è stato prodotto da Enormous Films e distribuito in sala da Nexo Digital. Uscito il 27 febbraio 2015, è stato al primo posto del box office di venerdì sera – scalzando dalla vetta 50 sfumature di grigio – incassando 500mila euro in un solo giorno e con un solo spettacolo. L’idea vincente, mia e di Carlo, è stata quella di capire che un film su un calciatore di fama mondiale e amato da milioni di supporter, avrebbe potuto avere un pubblico. Come è stato e come continua a essere, dato che il film è un bestseller anche in home video. La vera soddisfazione è che si tratta comunque di un film personale, che ha una cornice mockumentary talmente riuscita che non se n’è accorto quasi nessuno.
Eva Braun è invece un film che ho prodotto io – con il fondamentale aiuto della giovanissima e strepitosa Giada Mazzoleni come organizzatrice generale – con 30mila euro, ottenuti grazie a un bando per l’imprenditoria giovanile. Ho avuto la fortuna di trovare un cast e una troupe di grande qualità, che ha lavorato – 22 giorni di ripresa distribuiti in 2 mesi – ottimizzando il poco a disposizione. Ho girato il film che amo di più, quello in cui in maniera più compiuta ho espresso la mia visione. Eva Braun è un racconto spietato, dolente e non sense dell’Italia del corpo e delle menti in vendita. Siamo tutti alla ricerca della scorciatoia, io per primo, e ho raccontato esattamente questo. Senza moralismi, senza appigli, senza assomigliare ad altri film. Gianluigi Perrone, straordinario uomo di cinema a 360°, è riuscito poi a trovare un’ottima Sales Agency che ha permesso al film di essere distribuito in 20 nazioni, non poco per un’opera così insolita. La mia unica amarezza è che sia stato bocciato a tutti i festival a cui l’ho iscritto, ma forse è solo la conferma della sua inclassificabilità.
Non sono così ingenuo da pensare che dopo il discreto successo di due film diversi come Zanetti Story e Eva Braun sarei stato preso d’assalto dai produttori, ma davvero mi stupisce vedere quanto sia complicato mettere in piedi un nuovo film. Transito da una produzione all’altra, passando in pochi mesi dal sentirmi dire “Fantastico, che bella idea, lo facciamo di sicuro” a “L’avevamo detto subito che sarebbe stata dura. Peccato, era un bel progetto”. Non importa, il cinema è fatto di casualità, di quel non sense di cui è intriso Eva Braun. Basta unire la pazienza alla tenacia, e chiunque con queste qualità può farsi produrre un film.
Riguardo alla nuova legge sul cinema e sull’audiovisivo, posso dire che ho ascoltato il ministro Franceschini presentarla alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti (con la quale collaboro come docente) e mi ha fatto una buona impressione. Non credo che la politica possa fare molto di più di questa legge e, mi auguro, mostrarsi in grado di ascoltare i suggerimenti che possiamo portare – ad esempio sull’aumento del Tax Credit e sul rimodellamento dei contributi selettivi.
Penso che sia il mondo del cinema a dover fare una rivoluzione da solo. Gli autori e i produttori devono smettere di essere pavidi e invece investire tempo e risorse non nei film che si possono fare, ma in quelli che ha senso che vengano realizzati. Non nei film che possono trovare un pubblico occasionale, ma in quelli che possono creare uno nuovo. Questi anni, inutile negarlo, non saranno ricordati per il cinema, ma per la grande serialità.
Il prodotto televisivo un tempo era rigettato come la peste dal cinefilo, adesso invece è una delle poche realtà che ha trovato un equilibrio tra intrattenimento adulto e ricerca. Tutto ciò è iniziato quando canali come HBO hanno investito pesantemente in prodotti nuovi, sfacciati, senza precedenti, capendo che solo così potevano arrivare al pubblico dei trentenni colti, urbani e benestanti. Dobbiamo fare lo stesso anche nel nostro cinema, marginalizzare sia il provincialismo rassicurante di tante commedie sia, mi duole dirlo, quel cinema del reale che invade i festival ma che viene ignorato in sala. Visconti abbandonò il neorealismo quando comprese che stava diventando una gabbia opprimente. Facciamo lo stesso, il cinema del reale non può essere la sola forma degna di film.
Come diceva Frank Capra, «Non scendete a compromessi. Perché solo i coraggiosi possono creare. E solo chi è capace di osare dovrebbe fare i film».