Come sta il cinema italiano? L’abbiamo chiesto a Christian Carmosino

Pubblichiamo uno dei contributi che abbiamo ricevuto dai professionisti del cinema cui abbiamo chiesto di raccontarci come hanno iniziato il loro lavoro, qual è la loro formazione, in quali contesti operano, da quali enti ricevono supporto e da quali no, che cinema vorrebbero fare e cosa ne pensano della Riforma Franceschini.

La nuova legge sul cinema è stata approvata il 3 novembre scorso (qui gli articoli di Paolo Mereghetti sul Corriere e di Vincenzo Vita sul Manifesto). Alcuni dei contributi che leggeremo qui sono stati raccolti in ottobre, altri sono in arrivo. Christian Carmosino, regista e formatore, è stato il primo promotore dell’iniziativa Il Cinema Italiano per Il Baobab.

Ho iniziato ad occuparmi cinema ancora prima di iscrivermi all’indirizzo Spettacolo (oggi DAMS) della Facoltà di Lettere dell’università Roma Tre. Organizzavo rassegne sul cinema russo, sulla relazione tra cinema e Storia, sul giovane cinema italiano. Durante e dopo l’università ho iniziato a collaborare nell’organizzazione e nella selezione di alcuni festival di cortometraggi: Siena, Incurt (Spagna), Trevignano. Poi ho iniziato anche ad insegnare in scuole e associazioni.

Nel 2002 dopo un riconoscimento in un concorso di sceneggiatura ho iniziato un po’ per gioco a girare cortometraggi, sia di finzione che documentari. Uno di questi, Quien es Pilar?, girato con Andrea Appetito ha ricevuto molti premi ed è stato proiettato in oltre cinquanta festival, anche all’estero.

Nel 2005 ho fondato con alcuni amici e collaboratori OFF!CINE, cineclub e associazione culturale molto attiva al Pigneto sin dalla sua nascita. Con l’associazione insieme a Riccardo Biadene nel 2010 ho creato [CINEMA.DOC], il primo circuito per la diffusione del documentario nelle sale di prima visione in Italia.

Sempre nel 2005 ho iniziato a lavorare all’università Roma Tre come responsabile tecnico del Centro Produzione Audiovisivi. Da allora ho aiutato e visto la nascita di decine di piccoli e grandi progetti. Nel frattempo ho continuato a fare esperienze di regia ma mi sono sempre più orientato verso il documentario o, meglio, il cinema del reale.

Nel 2008 ho terminato sempre con Andrea Appetito un documentario, L’ora d’amore, anch’esso molto apprezzato, che è partito in concorso al Festival del Cinema di Roma e ha avuto decine di proiezioni e premi anche all’estero.

Tra il 2009 e il 2011 ho avuto un’esperienza negativa nel direttivo della FICC – Federazione Italiana Circoli del Cinema, dove ho inutilmente provato a proporre la circuitazione e distribuzione tra i circoli di film documentari e film abitualmente chiamati “difficili”.

Nel 2011 sono entrato nel direttivo di Doc/it – Associazione Documentaristi Italiani. Per l’associazione ho coordinato per quattro anni il Premio Doc/it Professional Award e ho ideato e diretto le prime due edizioni del Mese del Documentario – circuito/festival itinerante in ben 13 città italiane ed Europee (Parigi, Londra, Barcellona e Berlino).

Nel 2015 Emma e Maria, una mia sceneggiatura scritta con Andrea Appetito e Cosimo Calamini è stata finalista al Premio Franco Solinas, ma nonostante gli sforzi non siamo ancora riusciti a trovare un produttore per questo nostro primo lungometraggio di finzione.

Nello stesso anno però ho avuto la fortuna di terminare la versione breve del mio primo film con un produttore straniero, Pieds Nus (A piedi nudi – Cronaca della rivoluzione in Burkina Faso e della successiva transizione). Il film è frutto di una incredibile esperienza in Burkina Faso nella quale ho testimoniato in prima persona un’insurrezione popolare. Sabato 12 Pieds Nus sarà proiettato a Documentaria Noto. Grazie alla coproduzione tra Italia e Francia la versione lunga di questo progetto vedrà la luce il prossimo anno, grazie al finanziamento del fondo di coproduzione tra il CNC (Centre National de la Cinematographie) francese e il MIBACT italiano.

Nel frattempo, nel 2016 ho ideato e coordinato, con la direzione di Vito Zagarrio, la prima edizione del Master di I livello in “Cinema del Reale” presso l’Università Roma Tre. Un master in cui si studia cinema dal punto di vista insieme teorico e pratico e che mette in condizione gli allievi di diventare autonomi in tutte le fasi di realizzazione di un film documentario destinato alla sala cinematografica.

Sempre nel 2016 concludo in co-regia con Antonio Oliviero il mio primo lungometraggio documentario, La Lunga strada Gialla, vincitore del premio Ambiente e Società al Festival CinemAmbiente di Torino.

La mia città di base è Roma, ma mi sento un po’ legato nella capitale, perché sento che l’esperienza e ambizioni mi porterebbero fuori. Soprattutto perché in Italia non ho mai percepito il cinema come un’industria, semmai, al massimo come un’azienda familiare, dove conta più il rapporto col “papà” che non le capacità e gli slanci artistici. Nella mia esperienza di regista autodidatta, come in quella di organizzatore e di formatore invece ho sempre pensato e messo al centro la valorizzazione delle idee e la capacità di realizzarle senza aiuti esterni. Questa per me però non è un’arma vincente, semmai una necessaria difesa. Che però ci ha paradossalmente reso (molti come me) più liberi e creativi.

Certo però per fare il “salto di qualità” – che scrivo tra virgolette – perché per me significherebbe semplicemente poter essere pagato e pagare adeguatamente i miei collaboratori, oggi sento necessarie due cose: concentrarmi solo sulla regia e poter avere il giusto finanziamento per i miei due film più ambiziosi, che a differenza dei precedenti richiedono una quantità di denaro non reperibile individualmente.

Per questo vedrei bene ogni cambio di legge che andasse nella direzione di valorizzare il cinema indipendente. Purtroppo, per quel poco che ho potuto leggere, la legge Franceschini, pur introducendo concetti come film “difficile”, non sembra creare le condizioni di finanziabilità di questi film. Stando alle informazioni di cui sono in possesso, la nuova legge trasforma quasi tutti i meccanismi di finanziamento facendoli diventare automatici, lasciando solo una parte veramente piccola a quei progetti che invece non passano per questi automatismi. Insomma concettualmente giusta come legge, nella pratica però troppo sbilanciata verso le tante medie e grandi imprese che già producono cinema, spesso con grandi meriti produttivi, non sempre con meriti artistici/culturali.

Sarebbe invece opportuno partire dal principio che tutti i film che hanno e possono incontrare un pubblico e avere ritorno commerciale non debbano essere finanziati a livello produttivo, ma al massimo sostenuti nella distribuzione, soprattutto aiutando le sale, non i distributori. Mentre il Ministero dovrebbe concentrarsi a sostenere la produzione dei soli (o quasi) film “difficili” che magari non hanno grandi produzioni e attori già famosi che li sostengono, ma che sono ambiziosi artisticamente, politicamente e concettualmente. Le due fasi del film che comunque necessitano più sostegno sono a mio parere 1) la produzione (non lo sviluppo), 2) la distribuzione.

Le Film Commission dovrebbero essere solo complemento e sostegno locale alle produzioni, invece in troppi casi si sostituiscono quasi interamente alle carenze di finanziamenti nazionali, sempre più difficili, striminziti e limitati. In questo senso, pur sapendo che la nuova legge cinema dovrebbe avere una maggiore dotazione economica a sostegno della stessa e dello sviluppo del settore, credo che il Ministero dovrebbe fare uno sforzo non per dare poco a tutti, ma per dare di più, anche il 100% del budget, a quei film che incontrano più difficoltà nel mercato. Sì, questo, non il contrario. La logica andrebbe capovolta! Vorrei vedere più film drammatici, più film di genere, più animazioni, e invece vediamo sempre più (noiose) commedie e film di genere diciamo “sociale” che si scontrano spessissimo con la non conoscenza della nostra società dei nostri registi più affermati, che raramente vanno oltre il loro ombelico, e che per coprire il loro vuoto di idee spesso ci riempiono di inutili e fastidiosi movimenti di macchina e di banali citazioni di un cinema che fu.

Il cinema italiano ha a mio parere un problema per esempio a raccontare le diverse comunità che vivono nel nostro e negli altri paesi europei. A raccontare la diversità sociale e culturale di cui siamo intrisi, la differenza di genere. Conosciamo poco gli altri e viaggiamo poco. Facciamo i film solo in Italia! Ma è possibile che se facciamo coproduzioni le facciamo solo con Svizzera, Francia e Germania? Ma l’Africa, l’Oriente, il Latinoamerica? Per fare un esempio, nella mia recente esperienza con il film girato in Burkina Faso, mi sono imbattuto in troppe persone che non solo non sapevano cosa fosse successo in Burkina Faso – comprensibile dato il livello dell’informazione nel nostro paese – ma che non sapevano nemmeno dove fosse. Beh, per sopperire a queste carenze c’è ovviamente bisogno di una scuola migliore, ma anche di un cinema che viaggi di più e ci porti dove i nostri miseri mille euro mensili non ci consentono.

I miei film li ho sempre prodotti da solo e soltanto ora, in Francia, non in Italia, ho trovato qualcuno che mi dà fiducia. Speriamo di rientrare in Italia con più credibilità grazie ai cugini francesi. Buon Cinema.

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