Antonio Fanelli, antropologo, in occasione dei lavori di ricerca e delle riprese per un documentario su Caterina Bueno traccia un profilo storico musicale della “raccattacanzoni” toscana, una figura fra le maggiori del canto popolare e politico nel panorama nazionale.
Il film prodotto da Kiné è realizzato con la collaborazione dell’Istituto De Martino, l’Associazione Culturale Bueno e l’Archivio Etnografico di Storia Sociale della Regione Lombardia. Nei prossimi giorni il lavoro culturale proporrà un’intervista al regista, Francesco Corsi.
“Perché ricercare, studiare, riproporre canti popolari”?. Il primo scritto di Pietro Clemente sulla cultura popolare toscana si intitola così ed è dedicato a Caterina Bueno. Si trova nel libretto allegato al disco “Canti popolari toscani di amore e di lotte di Caterina Bueno” e non credo sia una casualità. In quel momento, nel 1973, Caterina rappresentava un importante anello di congiunzione tra la ricerca territoriale, la sperimentazione artistica e l’attivismo politico. Gli enti locali guidati dai partiti di sinistra, come, in questo caso, la provincia di Siena, avevano sposato la causa della ricerca demologica e della valorizzazione della musica popolare. Molti studiosi erano implicati in progetti di documentazione e valorizzazione, in chiave variamente antagonistica, della cultura popolare. La stagione del folk revival degli anni ’70 era in connessione abbastanza stretta con gli studi demologici e Alberto Cirese aveva collaborato a lungo con Gianni Bosio nella fase di lancio del progetto del Nuovo Canzoniere Italiano, dei Dischi del Sole e dell’Istituto Ernesto de Martino. Sulle pagine dell’«Unità», per un lungo periodo, teneva banco un acceso dibattito sul folk e la tv, sulle tradizioni delle classi subalterne e il loro ingresso nella moderna cultura di massa1. La musica folk aveva mutato pelle ed era entrata a pieno titolo nella cultura giovanile militante. Ben altra cosa rispetto al folklorismo in costume – tuttora vivo e vegeto – e, per restare a Firenze, alle ‘popolaresche’ canzoni fiorentine di Riccardo Marasco. Caterina Bueno era tra i protagonisti di questa epopea.
Era entrata in contatto con il Nci grazie a Roberto Leydi e aveva iniziato da par suo a documentare la musica tradizionale della Toscana meno nota, ancora oggi periferica e per certi versi marginale. Il Mugello, l’Amiata e la Maremma diventano i terreni di ricerca per questa insolita e bizzarra ragazza che con la sua Fiat 500 si inerpica lungo strade di montagna per incontrare mezzadri, pastori, minatori, boscaioli. “Icché la vole signorina?”, così si sentiva rispondere da uomini, perlopiù anziani, quasi tutti comunisti, dediti al loro quartino di vino in osteria e sbigottiti dall’ingresso nel tempio della socialità maschile di una ragazzina curiosa di ascoltare storie lontane e canzoni che molti di loro ritenevano “cose vecchie ” 2. Anche negli “Strumenti di Lavoro” delle Edizioni del Gallo dirette da Gianni Bosio, dove vi sono ampi stralci di verbali delle riunioni di lavoro del Nci, troviamo una raffigurazione bizzarra di Caterina Bueno. Arrivava alle riunioni con un sacco pieno di bobine alla rinfusa, segno di un lavoro incessante di documentazione e, soprattutto, dei problemi enormi di catalogazione che ne scaturivano. Ma, cosa ancora più originale e per il tempo quasi ‘eretica’, pensava a dei questionari da sottoporre al pubblico giovanile del Nci per sondare più a fondo i gusti del movimento e verificare gli esiti del loro lavoro di divulgazione.
Da queste poche righe si intuisce che non sarebbe durato a lungo il suo sodalizio con il Nci. Dopo lo ‘scandalo’ e il successo di “Bella Ciao” a Spoleto nel 1964, Caterina lascia il gruppo alle prese con i problemi organizzativi e le polemiche interne durante il “Ci ragiono e canto” con Dario Fo. Si creano allora due “correnti” che per anni si faranno una lenta e feroce guerra: da un lato il fronte guidato da Leydi, propenso a una istituzionalizzazione accademica degli studi etnomusicologici e degli archivi della ricerca, dall’altro, il movimento guidato da Bosio e dal Nci che propugnava un approccio storiografico-militante. Caterina era e resterà sempre fuori da questi schieramenti. Troppo originale la sua vocazione artistica e la sua passione politica per restare chiusa negli schemi a volte asfittici e corporativi delle due cordate. Per i vecchi compagni del Nci sarà una ferita dolorosa che alimenterà una sottile polemica verso Caterina e le sue scelte personali, ritenute ‘individualistiche’ e opportunistiche, a scapito della collaborazione al grande progetto collettivo “per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario”, come recita la denominazione completa dell’Istituto Ernesto de Martino.
Caterina proseguirà per lungo tempo nel suo lavoro di “raccattacanzoni”, incontrando e formando giovani artisti di talento (da Francesco De Gregori a Riccardo Tesi), passando dalle esperienze televisive alle feste di paese, dai teatri alle feste dell’Unità. Anche negli anni più bui per la musica popolare Caterina non demorde e non prende altre strade, resta fedele alla sua vocazione artistica e politica, correndo il rischio dell’isolamento. Negli anni ’90 quando esplode una nuova fase di riscoperta delle musiche tradizionali Caterina è in grado di muoversi a tutto campo, dalle iniziative volte a riscoprire le tradizioni contadine, come il Maggio lirico che si riattiva nelle campagne senese e grossetane, ai centri sociali occupati dove i giovani militanti creano nuove sonorità antagoniste in connessione con il patrimonio storico delle classi popolari. Caterina ritrova in quel momento anche una profonda sintonia con l’Istituto de Martino che nel frattempo è giunto in Toscana e la sua voce sarà tra le colonne portanti della festa del 1° maggio a Sesto Fiorentino e delle prime edizioni del festival “InCanto”3.
Per Ivan Della Mea, che me ne parlava spesso, Caterina restava uno degli esempi più validi e coerenti di divulgazione e di valorizzazione delle musiche tradizionali. Non perché si attenesse al famigerato – quanto inutile – “ricalco filologico”, ma perché riusciva a comunicare le fonti storiche del suo lavoro con grande forza narrativa e, soprattutto, forniva sempre nelle sue incisioni i dati relativi alle ricerche di terreno. Inoltre, riusciva a restare in collegamento con le realtà locali dove aveva svolto le sue ricerche, collaborando con associazioni e gruppi locali, fra cui il Collettivo Folkloristico Montano del Pistoiese, il Coro degli Etruschi in Maremma, il gruppo del Maggio di Sovicille e l’associazione “Le radici con le ali” e il gruppo di suonatori e ricercatori della “Leggera” della Val di Sieve, che più di tutti considerava come suoi eredi ideali . Al tempo stesso esercitava una forte carica autoriale nella interpretazione dei brani e degli arrangiamenti musicali, avvalendosi di collaboratori preziosi, come Alberto Balia, Valentino Santagati, Giovanni Bartolomei e Jemie-Marie Lazzara.
Nelle occasioni pubbliche in cui l’ho sentita cantare magistralmente – tra le tante ricordo un intenso duetto tra lei e il gruppo dei Les Anarchistes al primo salone dell’editoria anarchica a Firenze e l’emozione per la festa in suo omaggio al Saloncino della Pergola per la consegna del Fiorino d’oro – non sono riuscito a vincere la mia timidezza e a parlarle. Era una figura esile ma a suo modo imponente perché possedeva un carisma irresistibile, inoltre, per me incarnava una sorta di monumento e non osavo superare la soglia della venerazione. Oggi mi rendo conto che per renderle omaggio davvero dobbiamo uscire da questo atteggiamento di devozione e di ossequio per scandagliare più a fondo le sue scelte stilistiche e i nodi critici del suo decennale lavoro. Per fare ciò il film di Francesco Corsi è la prima fondamentale tappa per riaccendere i riflettori su Caterina la “raccattacanzoni”. Il lavoro minuzioso di scavo archivistico avviato da Francesco Corsi ha suscitato molta attenzione nel nostro piccolo ma virtuoso e coeso circuito e ha rilevato la presenza di un consistente corpus di documenti audiovisivi nelle teche della Rai. Per utilizzarli è necessario attivarsi dal basso per rendere possibile questa meritevole operazione documentaria. Altri materiali d’archivio, documenti, fotografie, e, soprattutto, interviste inedite ai tanti compagni di strada di Caterina (da Dario Fo agli antropologi toscani che le fornirono materiali di ricerca) andranno a comporre un mosaico di storie e di avventure musicali che vedono al centro la vita e l’opera di Caterina. L’Istituto de Martino che sostiene questo progetto con tutte le sue forze – e il sottoscritto – vi invitano, pertanto, a partecipare generosamente al crowdfounding.
Note
- Una antologia vasta e ben articolata dei dibattiti degli anni ’70 si trova nel volume di Goffredo Plastino (a cura di), La musica folk. Storie, protagonisti e documenti del revival in Italia, Milano, Il Saggiatore, 2016. Tra le interviste e i materiali storici vi sono anche diversi articoli dedicati a Caterina Bueno.
- Su Youtube è possibile ascoltare alcuni frammenti tratti dai materiali preparatori del regista Luca Pastore, in vista della realizzazione del bel documentario “I Dischi del Sole” (Fandango, 2004). Caterina rievoca gli inizi del suo percorso di “raccattacanzoni” in un luogo affascinante, il vecchio carcere delle Murate di Firenze
- Vedi il triplo cd “Vivo. Vent’anni di musica all’Istituto Ernesto de Martino”