Business Anthropology

L’apporto etnografico al marketing e al management.

Business Anthropology

I ricercatori della Wayne State University definiscono la Business Anthropology :

a practice-oriented scholastic field where anthropologists apply anthropological methods to identify and solve business problems in everyday life. Business anthropologists are able to play key roles in the business world, such as to help corporations develop culturally appropriate ways of doing business with suppliers, business partners, or customers, and to promote smooth working relationships among employees who are more likely to represent different age groups, ethnic groups, and both sexes.

Le ricerche di Business Anthropology, sviluppate soprattutto negli Stati Uniti, si basano sul costante interscambio con settori di ricerca come il marketing, la consumer behaviour, l’organizational theory and culture, l’international business, l’international marketing, l’intercultural management e l’intercultural communication.

In generale però l’antropologia si è occupata in modo settoriale dei beni in commercio1 o, nel farlo, li ha colti soprattutto dal momento in cui smettono di presentarsi come merci, per apparire piuttosto come aspetti della cultura materiale.2 Le relazioni personali e istituzionali che rendono socialmente accessibile la merce sono invece rimaste sostanzialmente esterne al campo antropologico e gli spazi di vendita appaiono spesso agli antropologi come culturalmente opachi. Un’ulteriore resistenza da parte degli antropologi esiste verso l’etnografia online e nella formulazione di metodologie di analisi dei Big Data.

Da tali premesse, che costituiscono la culla in cui nascono le mie riflessioni, si sono delineate nel tempo due principali percorsi di ricerca su cui ho costruito la mia esperienza scientifica e che riguardano:

– l’antropologia mineraria, che può essere inserita nei più ampi filoni di studio dell’antropologia del lavoro e dei “works on communities of practice”;

– la business anthropology, che esplora le pratiche culturali di produzione, di consumo e di utilizzo di oggetti in contesti culturali differenti, senza trascurare gli stili di vita e dell’abitare, le forme artistiche, il design e l’artigianato, i mass media e la cultura di massa.

Dal punto di vista diacronico, la Business Anthropology trae origine dall’antropologia dei consumi, altro filone di ricerca piuttosto recente emerso alla fine degli anni Settanta del Novecento. Tra i maggiori contributi in tale settore vi è senza dubbio il lavoro di Mary Douglas e Baron Isherwood.3 Scritto da un’antropologa e da un economista, il libro incrocia i due punti di vista al fine di costruire un dibattito interdisciplinare sul concetto di prodotto. Un altro studio fondamentale all’interno di quest’ambito di ricerca, che ha fornito anche importanti spunti teorici alla Business Anthropology, è quello di Daniel Miller. Ripercorrendo le tappe storiche all’interno dell’antropologia dei consumi, soprattutto in relazione al dibattito scientifico sui concetti di dono e di merce, l’antropologo ha analizzato il crescente interesse accademico, negli ultimi decenni, verso la cultura materiale e lo sviluppo dell’odierna politica economica.

Oggi la produzione scientifica della Business Anthropology si orienta verso metodologie di ricerca e concetti interdisciplinari che, pur mantenendo un’impronta teorica antropologica, sviluppano soluzioni applicative con cui le aziende possono costruire percorsi appropriati per entrare in relazione con fornitori e clienti; la metodologia etnografica della Business Anthropology è inoltre applicata per migliorare le relazioni tra i lavoratori in un ambiente di lavoro. In tali contesti il business anthropologist incrocia lo studio di strategie di marketing fornite dall’azienda e la cultura di impresa, con il punto di vista emico dei consumatori e dei lavoratori.

Di seguito vorrei presentare degli esempi, ripresi sia dalla mia esperienza di ricerca sia da precedenti studi sviluppati da altri antropologi, al fine di inquadrare, più nel dettaglio, alcune possibili applicazioni teorico-metodologiche della Business Anthropology.

In particolare, il mio lavoro all’interno di quest’ambito di ricerca, si focalizza sulle rappresentazioni culturali che vari gruppi conferiscono al concetto di sostenibilità nel settore della luxury brand. Nel mio progetto Marie Curie Global Fellowship, intitolato Value transformations in a global interconnection. How sensory experiences and cultural interpretations shape concepts of “ethical diamond” and “ethical mining work”mi occupo infatti di diamanti etici estratti dalle miniere canadesi e dell’analisi delle interpretazioni culturali del concetto di etico conferite da diversi soggetti, come minatori professionisti e minatori appartenenti alle First Nations (Dene), venditori nelle gioiellerie e consumatori in Italia.

Business Anthropology

Nella mia ricerca, l’analisi del concetto di “etico” implica anche la considerazione di com’è interpretato culturalmente il lavoro minerario, quali sono le auto-rappresentazioni e le etero-rappresentazioni della figura del minatore, come sono veicolati i concetti di etico e di sostenibilità nella comunicazione pubblicitaria e nelle strategie di marketing sia da parte delle multinazionali minerarie sia da parte dei proprietari di gioiellerie italiane. Una particolare attenzione la rivolgo inoltre ai meccanismi culturali con cui i consumatori vengono convinti ad acquistare un diamante etico canadese piuttosto che un altro tipo di diamante. In questo caso il mio ruolo di antropologa consiste nel pormi nel crocevia di interpretazioni culturali locali inserite in un contesto globale e connesse tra di loro in un rapporto di mercato.  

Un’altra componente fondamentale di tale filone di ricerca, particolarmente importante nel mio lavoro, è stata la creazione di metodologie costruite nel dialogo interdisciplinare partendo dall’approccio bottom up che è tipico dell’antropologia. Collaborando con esperti di altri settori di ricerca, ho infatti realizzato una metodologia che sistematizza, in un linguaggio comprensibile al marketing, alcuni concetti antropologici. All’interno delle mie analisi mi è quindi possibile, grazie a tale metodo, mettere in luce i gap culturali tra vari contesti sociali inseriti in un ambito di mercato e diventare mediatrice di diversi punti di vista emici. Come business anthropologist, posso interpretare l’attrito etnografico tra il punto di vista di un’azienda e quello del suo target al fine di avvicinare la prima all’universo culturale del secondo. L’antropologia fornisce così al marketing la consapevolezza dell’esistenza di diversi punti di vista emici e la messa in luce di gap culturali intesi come interspazio di incontro creativo tra le persone e l’azienda.

Già dall’esempio appena spiegato si può comprendere quindi come la Business Anthropology sia svincolata da alcuni pregiudizi che ancora oggi sono vigenti all’interno della comunità antropologica accademica, a volte preoccupata di un possibile inquinamento di tipo economico e commerciale rispetto alla purezza dell’antropologia. L’atteggiamento della Business Anthropology è invece fondamentale al fine di applicare lo sguardo etnografico nel crocevia interdisciplinare. Altri ambiti di ricerca, come il management ed il marketing, riconoscono infatti l’importanza dell’analisi antropologica nella comprensione delle relazioni tra i lavoratori all’interno di un particolare ambito professionale al fine di migliorare la produzione oppure nell’interpretazione antropologica sulle idee culturali costruite su un determinato prodotto. Soprattutto in riferimento a quest’ultimo esempio, la consistenza oggettiva di un prodotto è certamente accompagnata da idee, percezioni e valori culturali che, in prima istanza, appaiono sfuggenti e proteiformi nonostante siano tremendamente importanti. Cogliere le idee che accompagnano un oggetto inserito in un contesto di mercato e rielaborate in specifici mondi culturali, consente di comprendere come un prodotto si faccia portavoce e simbolo di particolari sistemi nativi di significato. Inoltre, analizzare la filiera di un prodotto significa interpretare le narrazioni costruite, per fini pubblicitari, sul prodotto stesso che, partite da un dato contesto (come quello dell’azienda), possono giungere ad altri mondi culturali che interpreteranno tali narrazioni in modi profondamente diversi rispetto alla narrazione di partenza. Alcuni esempi possono risultare efficaci.

James Watson, antropologo all’Università di Harvard fino il 2011, notò, nei primi anni Duemila, l’impatto che McDonald suscitò in alcune città asiatiche come Hong Kong, Seoul e Tokyo. L’inserimento di fast food in tali contesti fu decisamente diverso rispetto a quello prospettato strategicamente a monte dall’azienda. Piuttosto che analizzare il processo di omogeneizzazione culturale che una società commerciale come McDonald determina dal punto di vista internazionale, Watson esaminò come McDonald – sia in quanto brand sia per i prodotti che offriva – veniva interpretato localmente e modellato sincreticamente nei vari contesti culturali. Tale esempio non implica metodologicamente l’esistenza di due sistemi opposti, uno globale ed uno locale, che si scontrano tra loro. È certo che l’insediamento di McDonald nelle città asiatiche ha determinato un cambiamento nelle precedenti categorie culturali di tempo e di spazio legate al consumo di cibo, ma allo stesso tempo non si sono potuti ignorare gli habitus locali e le interpretazioni culturalmente condizionate del concetto di fast food.

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Un altro esempio è quello relativo a ciò che comunemente viene inteso come brand. 4 In questo caso è importante chiedersi, dal punto di vista antropologico, che cosa incorpora un marchio? Esso è costituito da un logo che deve essere accettato culturalmente, attraverso strategie pubblicitarie e di marketing, da parte di un gruppo sociale.5 Il logo, similmente ad un simbolo, deve farsi portavoce di valori culturali e di comportamenti socialmente approvati. Lo scopo di un’azienda è di costruire e di rinforzare la relazione tra persone e l’oggetto di cui il brand diventa il promotore. Con il marchio un oggetto acquisisce un valore culturale che va oltre all’aspetto materiale dell’oggetto stesso. Quest’ultimo, grazie al brand, riunisce in sé una visione d’insieme di tratti culturali approvati socialmente da un gruppo, riuscendo così a farsi promotore di valori culturali, di norme e di comportamenti condivisi.

Bibliografia

L. Armano, Self-branding femminile. Tra autenticità ed artificio nella “cultura del brand”, in Dialoghi Mediterranei,  2018.

Id., Slouching toward utopia». Quando il marketing è la società, in Dialoghi Mediterranei, 2017.

J. G. Carrier, Occidentalism. Image of the west, Claredon Press, Oxford, 1995.

M. Douglas, B. Isherwood, The world of goods: Towards an anthropology of consumption, Rev. ed. London: Routledge.

D. Miller, The Dialectics of Shopping, University of Chicago Press, Chicago, 2001.

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Note

  1. Cfr. J. G. Carrier, Occidentalism. Image of the west, Claredon Press, Oxford, 1995.
  2. Cfr. D. Miller, The Dialectics of Shopping, University of Chicago Press, Chicago, 2001.
  3. M. Douglas, B. Isherwood, The world of goods: Towards an anthropology of consumption, Rev. ed. London: Routledge, 1996.
  4. L. Armano, Self-branding femminile. Tra autenticità ed artificio nella “cultura del brand”, in Dialoghi Mediterranei, 2018.
  5. Id., Slouching toward utopia». Quando il marketing è la società, in Dialoghi Mediterranei, 2017.
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