Bologna come Cirenaica. Appunti dal diario di campo

La creatività urbana come lente per osservare e raccontare le trasformazioni della periferia mediana a Bologna.


Abstract

The aim of the article is to explain the work resulting from the observation and the analysis of some cases of urban creativity. The goal is to make observable some suburbs’ management models. These urban experiences are often defined as “spontaneous” and are perceived as “creative experiences” or “good practices”. Often in these formulas the significance of the semiotical articulation and immanent dispositifs is omitted or left aside.


La città e città possibile

Alla luce delle trasformazioni che il territorio sta vivendo – da “città tradizionale” a “città metropolitana” – Bologna si trova nella posizione di dover discutere il senso di multi-centralità del territorio urbano. Nell’articolo al termine popolazione si alternerà il termine abitanti, con cui si definiscono i frequentatori o gli avventori di alcuni nodi urbani dov’è possibile osservare l’abitante al lavoro. Attraverso la ricerca etnosemiotica1 è possibile individuare alcuni centri di aggregazione, dove la popolazione è, paradossalmente, sia soggetto che oggetto delle narrazioni del territorio urbano.2

Le narrazioni che scrivono oggi il territorio costruiscono Bologna come una città che ha investito in favore di un paradigma di gestione di tipo partecipativo,3 per la qualificazione o la riqualificazione di alcuni beni comuni nell’area del centro storico. C’è poi un’altra grande narrazione urbana, quella della Bolognina, una cittadella post-operaia, che occupa l’area a nord del ponte Matteotti al di là della nuova stazione ferroviaria. A detta del dibattito urbano, questa zona è attraversata sia da fenomeni di degrado (ad esempio lo spaccio), sia da fenomeni di pregio (nuovi edifici o stabili riqualificati, progressivamente reintegrabili nel tessuto urbano).

In una zona simile, attraverso contrasti apparenti e conflitti possibili, le relazioni e le trasformazioni di pertinenza dell’etnosemiologo potrebbero sembrare maggiormente osservabili. Parallelamente, per descrivere le trasformazioni che attraversano una città in base a una posizione etnosemiotica di analisi e ricerca urbana, si dovrebbe monitorare ciò che le narrazioni mettono in ombra.4

Per comprendere l’imageability5 relativa alla gestione delle aree periferiche, si potrebbe ragionare in merito a quelle aree che, dopotutto, non vengono percepite né come periferia né come centro. Lavorando su bordi e frontiere, l’etnosemiologo prova a definire “città” sempre in relazione alla “città possibile”. Lavorando per contrasto, tra le immagini condivise (Bologna come Bolognina) e quelle possibili (Bologna che “non è più” o “non è ancora”), l’etnosemiologo individua tasselli, utili a costruire una scrittura osservabile e manipolabile della città.

La Cirenaica è un effetto possibile del paradigma della multicentralità

Quali le similarità e i fattori che rendono possibile poter parlare di una “fascia” di periferia mediana? Come la Bolognina, anche la Cirenaica è in posizione separata rispetto al centro-città, trovandosi oltre la cinta muraria, chiusa tra due linee ferroviarie.

Tra “Bologna come Bolognina” e “Bologna come Cirenaica” riconosciamo reticoli ortogonali del tessuto viario, una topografia specifica, sviluppatasi tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. La Cirenaica ha origine nel fenomeno di sfondamento e ri-costruzione urbana ottocentesca di quella che oggi è definita “zona Irnerio”, a nord-est della città. Il quartiere, definito da una vocazione operaia, ospita edifici sul modello del comprensorio di cooperativa. La figurabilità di un’area come quella della Cirenaica, attraverso la definizione di enclave possibile, è data dal fatto che essa appare topologicamente orientata dai bordi verso il suo stesso centro. Se a volte le vie possono funzionare da piazza6, altre volte è l’idea di piazza che viene quali-quantitativamente frammentata in piccoli nuclei, attorno a cui l’edilizia e il vissuto si organizzano. Questo è uno dei fattori che caratterizza le scelte di progettazione spazio-temporale dell’area, sin dalle fasi di prima programmazione. Tra il labirinto ortogonale e la frammentazione dei nodi di accesso, tra la presenza di un mercato rionale e di cortili interni a mo’ di piazzette, la Cirenaica è costruita attraverso un tessuto urbano composto da: edilizia popolare con e senza cortili interni, abitazioni e villette bi- o mono-familiari, strade interstiziali e cancelli chiuse o semi-chiuse, muri di cinta, fitte siepi e un verde urbano appartato, condiviso fra pochi.

Da un punto di vista etnosemiotico, la Cirenaica non si vede ma si intravede. In Cirenaica l’effetto di senso7 di intravisione del quotidiano è reso possibile da numerosi dispositivi topologici, che inibiscono o complessificano l’esperienza di visione e accesso. Quando si passeggia lungo i marciapiedi, da alcune finestre o dalle porte a piano terra si colgono voci e suoni di quotidianità. Dal punto di vista sonoro le frontiere si assottigliano, restituendo la pace di alcune strade interne e dei cortili, dove, con il caldo della giornata estiva si odono esclusivamente cicale. Altre volte il verde decorativo privato funziona da margine e cuscinetto, rispetto al trafficato ponte di via Libia o ai viali più ampi e rumorosi, dove è il rumore degli automezzi a fare quasi da barriera, mentre lo sguardo si apre a edifici importanti come il complesso del teatro Dehon.

Nell’osservazione dei comportamenti di chi abita questa zona di periferia mediana si possono rilevare alcuni fenomeni di creatività urbana. Pensiamo a tutti i nuovi abitanti delle nuove costruzioni, che costeggiano la zona di via Zanolini e della Rotonda Pietro Gherardini. In questo margine, che affaccia e da cui si intravede a sua volta la zona universitaria, vi sono nuove aree edificate alle spalle della ex-Stazione Veneta. Con la costruzione di nuove palazzine con cortili, scegliendo ancora una volta di non edificare ingressi diretti all’area e di mantenere un margine sviluppato in altezza, si è assistito a un progressivo ripensamento della viabilità, del transito e dello stazionamento.

Attraverso la fusione amministrativa tra enti territoriali, il ponte di via Libia, che fungeva da confine tra gli allora quartieri San Vitale e San Donato, cessa la sua funzione di limite territoriale, ma mantiene la sua funzione di transito. Nei suoi dintorni abitano numerose comunità. A ridosso della ferrovia c’è Vag61, una comunità che ha sede in un edificio nella parte alta di via Paolo Fabbri, attorno a cui ruota il presidio di Resistenze in Cirenaica, un progetto di lettura e discussione collettiva delle tracce, dei dispositivi coloniali e dei loro effetti sulla contemporaneità. Pensiamo alla scrittura toponomastica e al contrasto manifesto tra la fase dell’impero africano e la storia della resistenza partigiana, immagini possibili attraverso cui la Cirenaica è costruita dal discorso collettivo. Al di là del ponte di via Libia si trovava l’ex-caserma dei vigili, luogo di dibattito da parte di comunità variegate, attraversata da numerose pratiche di qualificazione possibile, ma recentemente abbattuta.

La Cirenaica si racconta attraverso alcune scritture sui muri. Poco lontano da Vag61 vi sono i murales dedicati al ferroviere anarchico Lorenzo Giusti e al partigiano Ilio Barontini. Attraverso questi pezzi le comunità abitanti scrivono il loro rapporto con il “passato di resistenza”, curando e restaurando dei muri esposti al degrado atmosferico. I murales, inoltre, sono eletti a supporto per un botta-e-risposta tattico conflittuale, tra il mantenimento della memoria e della cultura partigiana, e istanze in conflitto con essa.

Attraverso l’operazione Frontier. La linea dello stile alcuni enti amministrativi e una comunità di writer e curatori si sono posizionati nel quartiere, offrendo opere murarie fruibili sia pedonalmente, sia attraverso un viaggio sulla linea Bologna-Portomaggiore.

Se ci si addentra nel reticolo ortogonale, si apprezzano pezzi e muri appariscenti, che permettono di gettare luce sulle botteghe o sui cortili interni dei complessi di edilizia popolare, che si intravedono anche loro, il cui transito è paradossalmente riservato ai privati e che sono pensati per un modello di socialità appartata, per favorire gli scambi e le relazioni tra gli abitanti. Tra essi segnaliamo il cortile che ospita il museo villanoviano a cielo aperto, e il murale di Luis Gutierrez.

Nel Contesto

All’incrocio tra via Masia e via Libia, il reticolo stradale si divide tra la carreggiata principale, una strada privata protetta da una siepe, e una strada parzialmente chiusa al transito di auto, che costeggia il ponte. Nel 2014 un gruppo informale di abitanti chiede di poter occupare i locali sotto al ponte di via Libia per un’operazione di “riconversione di residui urbani”. L’operazione si muove sui bordi e sui confini, tra legalità e illegalità, appropriazione e concessione. I delegati della proprietà accettano, colpiti dall’esplicita durata temporanea dell’operazione InContext e, probabilmente, affascinati dai suoi sviluppi possibili. La comunità creativa si propone come un dispositivo di raccordo e si fa strumento del coinvolgimento nei confronti dei residenti per il processo di rigenerazione temporanea.

In questo spazio-tempo il collettivo creativo ha negoziato con gli abitanti del quartiere l’esposizione finale, della durata di circa due mesi, mettendo in atto un processo a metà tra una mostra, una serie di performance e un’installazione, esperienza complessa condotta attraverso le modalità dell’inchiesta partecipata, della con-ricerca o della ricerca-azione.8 Sulle volte e nei locali particolarissimi del sotto-ponte hanno abitato molteplici presenze, coinvolgendo i residenti in operazioni di mappatura e definizione del quartiere, le quali hanno evidenziato la percezione, da parte dell’abitante, di alcune fratture.9

Le fratture topografiche sono state esemplificate dal ponte di via Libia e dalle linee ferroviarie, dispositivi che “s-collegano” il quartiere rispetto al territorio circostante. Il senso di frattura e di “s-collegamento” ricorre in vari artefatti creativi esposti.

Inoltre la crisi che si percepisce è imputabile al contrasto tra due o più paradigmi di commercio, con effetti conflittuali sul mercato del lavoro, sulla socialità del vissuto quotidiano e sulle modalità di trascorrere il tempo libero. L’abitante si sente “in bilico”, diviso tra il paradigma del commercio “di bottega” e quello del commercio “di grande scala”. Il primo è in linea con la vocazione del quartiere, con le modalità di progettazione attraverso cui gli spazi commerciali erano stati programmati, e con una percezione della “vita della cirenaica” da parte della popolazione anziana residente. Il secondo è esemplificato dalla crisi del mercato rionale, incassato tra via Musolesi e via de Amicis, o dall’apparizione di supermercati, ipermercati e centri commerciali – tra cui quello che potrebbe sorgere al posto dell’ex-caserma dei vigili, da poco abbattuta.

La Cirenaica, quartiere post-operaio, vive il conflitto derivante dalla perdita della vocazione identitaria e la mancanza di una destinazione futura, che non sia né quella di “quartiere residenziale”, né quella di “luogo di transito”, né quella di “zona-oggetto di un programma di recupero o salvaguardia”. Il conflitto si esprime attraverso la necessità di rendere accogliente il quartiere. Su questo punto le proposte emerse erano differenti:

  • organizzare momenti di “socialità di strada”;
  • rendere maggiormente visibili le attività socio-culturali già presenti, ricucendo le micro-fratture comunitarie, agendo sui legami possibili tra i numerosi gruppi abitanti, formali e informali;
  • dotare alcuni incroci del limite di transito a 30km orari, per favorire la mobilità di anziani o minori non accompagnati.

Esperienze di condivisione ed effetti di inclusività

Al termine del progetto di riconversione del residuo-urbano-sottoponte, nessuna comunità ha espresso parere favorevole a continuare a gestire lo spazio. Al tempo stesso, tuttavia, è emerso il desiderio di esperire altre iniziative simili, purché volte a coltivare i legami comunitari, a patto che la comunità potesse assumere il ruolo di filtro nei processi di selezione, inclusione ed esclusione.

Come dicevamo, la Cirenaica non si vede ma si intravede. Per articolare maggiormente questo effetto, potremmo dire che la Cirenaica non si vede se non ci si entra, anche quando si è dentro non si ha mai una visione totale dell’insieme che, difficilmente, si dischiude. Piuttosto, allora, la Cirenaica si ascolta, come capita spesso quando si passeggia per le strade, quando si tende l’orecchio verso una finestra semi-aperta, attraverso cui fluttuano il vociare o musiche lontane.

Da dieci anni, nei locali di un ex complesso industriale, si è insediata la realtà urbana e creativa di Studio Sound Lab, un’associazione che ha come scopo quello di promuovere musica libera e accessibile, attraverso attività di registrazione, produzione e fruizione. Per “realtà urbana” si intende una realtà che non potrebbe non essere, se non in una dimensione cittadina. Per “realtà creativa” si intende un’esperienza che approfitta delle nicchie dismesse o inutilizzate e che, nei locali di via Sante Vincenzi 2/a, ha fatto spazio per un “vero co-working artistico”: due sale prove, uno studio di registrazione, un open space, un’etichetta discografica e diversi progetti all’attivo, tra cui quello di un luogo di incontro e una web-radio per minori e immigrati non accompagnati. A Studio Sound Lab ragazzi tra i 14 e i 18 anni – provenienti prevalentemente dal quartiere – hanno la possibilità concreta di prendere familiarità con la cultura musicale e di avvicinarsi alle pratiche condivise di produzione, diffusione e fruizione. Da questo punto di vista Studio Sound Lab funziona come una trading zone,10 dove mondi differenti costruiscono spazi e tempi di traducibilità vicendevole.

Dal 2016 Studio Sound Lab accoglie presso di sé il progetto Mintsound, che approfitta dei locali dell’ex complesso industriale per promuovere la cultura della musica da club attraverso la valorizzazione del vinile, l’utilizzo aperto delle consolle da dj e una dimensione di ascolto, individuale o collettiva, purché condivisa. Attraverso appuntamenti settimanali, MintSound trasforma gli spazi di via Sante Vincenzi, che non diventano “né un club né una discoteca, né un bar né un luogo di passaggio, ma un luogo di ritrovo, fuori dal centro città”, un centro di aggregazione possibile, dove è necessario puntare consapevolmente per arrivarci, in modo che non si reiteri una logica di inconsapevole consumo del luogo.11 Mintsound è una “nicchia”, nel senso più neutro o puro del termine, che punta all’inclusione a partire dalla costruzione lenta di una visione comune e di una esperienza condivisa. Mintsound è punto di arrivo e di partenza allo stesso tempo, dove il fruitore può aprirsi all’esperienza di nuovi orizzonti artistici, culturali e sonori, inseriti in un contesto urbano in continua ridefinizione.

Conclusioni e aperture

La Cirenaica, con le sue esperienze di creatività, in bilico tra tradizione e innovazione, offre spunti per meditare su nuovi approcci di ricerca, a fronte della mancanza di definizioni burocratico-amministrative. Il lavoro su aree grigie e non definite, l’articolazione dei dispositivi topologici di apertura e chiusura, delle pratiche di selezione, dei dispositivi e dei processi di inclusione ed esclusione, proietta nuova luce sul discorso per una città possibile.

L’etnosemiotica, in questo momento di discussione dei paradigmi di gestione territoriale, è in grado di rilevare i punti problematici quando i modelli realizzati sembrano attraversati da crisi e fratture, quando le fasi di progettazione di vision e concept,12 ad esempio, non riescono a concretizzarsi. Le “pratiche spontanee” e “gli abitanti al lavoro”, che attualmente si pongono a fianco e in maniera complementare ai modelli istituzionali di gestione governamentale, necessitano di orientamenti in grado di generare articolazioni delle problematiche percepite e delle prospettive situate emergenti.

Print Friendly, PDF & Email

Note

  1. Cfr. A.J. Greimas, Semiotica e scienze sociali, Centro scientifico edizioni Torino, 1991; Maurizio Del Ninno, Etnosemiotica. Questioni di metodo, Meltemi, Roma 2007; Francesco Marsciani, Tracciati di etnosemiotica, Franco Angeli, Milano 2007.
  2. Cfr. Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France 1977-1978, Feltrinelli, Milano 2005.
  3. Cfr. Luca Bizzarri, Carlo Andorlini, Fabric. Storie di visioni di contesti in cambiamento, Pacini, Pisa 2016; Alessandra Quarta, Michele Spanò, Beni comuni 2.0. Contro-egemonia e nuove istituzioni, Mimesis, Udine 2016.
  4. Cfr. Paola Donatiello, Osservabilità del senso ed etnosemiotica per la citta: uno studio a partire da Bologna, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
  5. Cfr. Kevin Lynch, L’immagine della città, Marsilio, Venezia 2006; Gordon Cullen, Townscape, The Architectural Press, London 1961.
  6. Cfr. Accardo et al, Via Mascarella. Declinazioni di uno spazio denso, Esculapio, Bologna 2015.
  7. Cfr. Francesco Marsciani, “A partire dagli effetti di senso. Le trasformazioni sotto l’apparire”, in Actes Sémiotiques, n° 120, 2017.
  8. Cfr. Romano Alquati, Per fare conricerca, Calusca Edizioni, Padova-Torino 1993. Per una discussione dei metodi di ricerca nelle scienze umane e sociali si veda la rubrica “Fare Ricerca”.
  9. Cfr. A.J. Greimas, Dell’imperfezione, Sellerio, Palermo 2004.
  10. Peter Galison, Image and logic. A material culture of mycrophysics, Chicago, University of Chicago Press, Chicago 1997.
  11. Cfr. Isabella Pezzini, I., (a cura di), Roma: luoghi del consumo, consumo dei luoghi, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2009.
  12. Cfr. Michela Deni, Gianpaolo Proni, (a cura), La semiotica e il progetto. Design, comunicazione, marketing, Franco Angeli, Milano 2008; Cinzia Bianchi, Federico Montanari, Salvatore Zingale, (a cura di), La semiotica e il progetto 2. Spazi, oggetti, interfacce, Franco Angeli, Milano 2010.
Close