Beni comuni. Un Manifesto

Sceglie il pamphlet politico Ugo Mattei per riflettere una serie di esperienze di lotta sulla questione che più di ogni altra ha contraddistinto il dibattito sui nuovi movimenti sociali dell’ultimo anno. Beni Comuni. Un manifesto è il titolo del contributo (115 pagine, Edizioni Laterza) che segna una prima tappa sistematica di una sorta di nuova critica dell’economia politica. Più che ricerca è agile resoconto più che un’analisi è una cassetta degli attrezzi: un utile, critico strumento di lotta. Si fa storico il giurista di professione Ugo Mattei, quando nei primi due capitoli racconta di un dualismo insieme concettuale e politico – il combinato disposto pubblico-privato – che si afferma gradualmente in Occidente scalzando quella che Santi Romano, giurista palermitano degli inizi del novecento, ha definito la pluralità degli ordinamenti giuridici.

Si parla della nascita dell’idea di Stato e di come questa abbia influito nel determinare modi di governare (le popolazioni e i territori, le risorse naturali e i saperi) costitutivi di una rottura nei confronti di pratiche di autogoverno non regolamentate, anarchiche, comunitarie. Gli usi civici dei terreni per il pascolo, i boschi per la raccolta del legname, i rifornimenti dalle fonti d’acqua, sono solo alcuni degli esempi citati da Mattei per esemplificare alcuni degli ambiti in cui il mercato in formazione e lo Stato nella sua parabola ascendente non avevano ancora un ruolo per lo meno definito. Erano pratiche quotidiane e comunitarie che governavano alcune risorse: non vi era regolamentazione scritta, era una giuridicità viva scaturita dalle relazioni dirette fra gli uomini e fra gli uomini e le cose. “Il mondo medievale europeo […] appariva caratterizzato da un sistema sociale pluralistico e a potere diffuso” (Mattei, p. 25) sostiene l’autore ed è proprio il potere diffuso il punto di partenza e l’ideale punto d’arrivo, mutatis mutandis, della sua riflessione. Lo Stato da una parte ed il Mercato dall’altra hanno sottratto alla comunità questo potere costituendosi storicamente in un doppio monopolio, una tenaglia all’interno della quale i beni comuni e soprattutto il loro modo di governo sono rimasti schiacciati.

Nel terzo e nel quarto capitolo Mattei formula la sua proposta in senso giuridico e filosofico insieme: si esce dal doppio vincolo Stato/Mercato (e cioè Pubblico/Privato) solo attraverso una sorta di epoché fenomenologica che ha l’obiettivo di denaturalizzarlo. Ci sono alcuni beni sostiene l’autore – che vanno dalle risorse naturali fondamentali, alla cultura, al sapere – che non possono essere governati attraverso l’istituto della delega sia essa allo Stato come organizzatore burocratico e centralizzato della vita dei cittadini, sia al mercato come modo di autoregolamentazione della domanda e dell’offerta di beni e servizi. Il diritto che è lo strumento chiave del governo ha subito nel corso della modernità il doppio vincolo Pubblico/Privato: ma se la legge scaturisce dai rapporti di forza che si costituiscono in base a questo doppio vincolo, continua Mattei, è proprio sul diritto che bisogna agire. Con il concetto chiave di pratiche costituenti si arriva agli ultimi due capitoli in cui l’autore cerca di connettere alcune esperienze di lotta, come quelle del movimento referendario per l’Acqua Bene Comune, con la proposta di costruzione di un diritto che sia vivo e che si fondi proprio su quelle pratiche costituenti che fanno di un luogo lo spazio d’esercizio di una comunità. I cittadini devono prendere in carico responsabilmente ed in maniera diretta gli strumenti dei saperi, la cura per le risorse fondamentali, i tempi e gli spazi del loro lavoro in una concezione definita da Mattei ecologica (il senso va oltre al riferimento ambientalista e viene contrapposto alla visione economica dei rapporti fra gli uomini e le risorse).

La comunità che s’intende investire di questa responsabilità di governo dei beni comuni è il punto nodale, a nostro parere, del ragionamento di Mattei, ma forse anche quello meno sviluppato nel libro. Sicuramente nella sua formulazione teorica non è un’idea di comunità contraddistinta dall’appartenenza ad un gruppo sociale, ad un ente statuale, a identità etniche religiose o sessuali. Ci chiediamo però quale debba la sua composizione reale e quali le reti di relazioni che da essa debbano essere attivate. Ci chiediamo in che modo ad esempio il dispositivo giuridico della cittadinanza abbia o meno un ruolo nell’idea di comunità che si propone visto che la sua azione di inclusione ed esclusione, con le leggi vigenti, impedisce l’esercizio dei diritti politici a donne e uomini che attraversano i confini degli stati privi delle caratteristiche giuridiche dei cittadini per legge. Il grande contributo di strumentazione teorica e di resoconti di alcune delle pratiche costituenti che si profilano nel nostro tempo forniteci da Mattei dovrebbe stimolare analisi di situazioni specifiche in cui di volta in volta sia l’idea stessa di comunità a dover subire quella scomposizione e denaturalizzazione fenomenologica di cui l’autore ci parla a proposito dei concetti di Stato e Mercato.

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