Barcelona Desnuda, una guida letteraria

Sbardella con la forma racconto scrive di Barcellona e del suo immaginario letterario.

Chissà se Amaranta Sbardella aveva in mente i Sei personaggi in cerca di autore, quando scriveva Barcelona Desnuda, raccolta di racconti uscita da pochi giorni per Exòrma. Si tratta infatti di una galleria di personaggi che prende forma da alcune schede catalogate da uno stagista in una stanza polverosa di archivio. Figure che ripercorrono la città catalana accompagnate dai propri pensieri e ricordi di vita, letteraria o reale; figure che chiedono di essere raccontate e che raccontano la loro città.

Un coro di voci umane e animali – gatti, pittori, salamandre, giovani e bambini, ballerine, amanti, prostitute – che attraversano le epoche, in particolare l’Ottocento, il Novecento con i bombardamenti e la dittatura di Franco e il Duemila, fino a dipingere un ritratto insolito, corrotto e suggestivo di Barcellona:

Barcellona è la magia, Barcellona è il carbone, Barcellona è la voce, Barcellona è il mare.
Barcellona è la locomotiva dell’intera Spagna.
E gli sbuffi di bianco squarciano la notte oscura di stelle.

Non è a caso il riferimento del titolo del libro al dipinto fine Settecento La maya desnuda di Goya: per quell’intento di «mettere a nudo», «svelare» l’anima della città.

I personaggi prendono voce più che prendere forma vera e propria, perché rimangono, forse volutamente, in una dimensione bidimensionale; lasciano così largo spazio ai luoghi: ai tetti, alle scale, i parchi, alle piazze e i monumenti, tanto che il lettore si trova effettivamente a camminare per le vie della città in compagnia di queste voci, che solo in alcuni istanti si trasformano in presenze nitide, per poi tornare evanescenti.

In primo piano sono i personaggi femminili. Conosciamo Andrea, nel racconto Dal tutto al niente. La libertà di Andrea, che arriva piena di speranze alla stazione di França in una notte di ottobre del 1939:

Esultante, Andrea trascina la grossa valigia verso l’uscita su viale del Marquès de l’Argentera. La brezza la coglie, assieme al baccano di chi arriva e il bisbiglio di chi sopravvive. Non lontano c’è il mare, sì, ma non il mare verde e cristallino delle sue Canarie, bensì quello fetido di capanne e magazzini industriali, di bambini scrofolosi e pistoni. Il mare non bagna Barcellona: glielo impediscono le fabbriche sventrate e le catapecchie di gitani e andalusi, dei morti di fame, che ricoprono e soffocano l’intera spiaggia. Barcellona vive di schiena al mare, lo dicono tutti lì, pure le case sonnolente e bombardate.

O Cecilia, prostituta nella Rambla, che in Squarci del Raval. Marta Cecília Carmen y otras chicas del montón ci racconta della sua infanzia:

Mi tenni in disparte. Mia madre doveva essere stata un’artista, una di quelle che cantavano sul palco. Del Liceu, certo. Mio padre invece doveva essere stato un musicista. Il signor Jaume ripeteva sempre che doveva per forza esserlo, perché io avevo le dita lunghe e affusolate.

[…]

Quella domenica, vicino a una ragazza dal profumo di garofano, mi ripetei che un giorno sarei entrata anch’io al Liceu con le piume di gazza marina e i sandali d’argento e, al mio passaggio, tutti mi avrebbero ammirato bisbigliando il mio nome, «Cecília Ce», «Cecília Ce», «Cecília Ce».

O ancora, in Una cieca passione, Clara Barceló, i cui desideri e i rimpianti scorrono per plaça Reial e per le vie di Barcellona:

Nonostante lei adori la letteratura, perché le spalanca le porte dell’anima e le permette di abbandonarsi al mistero. Solo la letteratura le restituisce la vista, lo aveva pure confessato trent’anni prima a Daniel Sempere. Ah, Daniel, perché non ti ho trattenuto a me? Perché ho lasciato che fuggissi via?

Quella di Barcelona Desnuda è una scrittura letteraria, otto-novecentesca, impregnata di suggestioni e citazioni dalla letteratura catalana: scrittori, intellettuali e poeti della letteratura del Novecento catalana e castigliana hanno ispirato la stesura di questi racconti. L’autrice li nomina a corredo di ciascun racconto, in didascalia subito dopo il titolo: troviamo così citati Manuel Vázquez Montalbán, Salvador Espriu, Carlos Ruiz Zafón, Joan Sales e Alicia Giménez-Bartlett e tanti altri.

Lo stile di questi racconti è inoltre limpido, espressivo e teatrale e ha il suo massimo condensato negli incipit. Questo lo si può notare, per esempio, leggendo l’attacco di Gràcia dei Colombi:

L’occhio rosso, vivido, acceso. Veccia, bevitoio, piolo, colombaia: fuori! Tutto a spasso! Vola via il colombo, fugge da quella forsennata, scatta nel vuoto, come un grido. Le penne si distendono verso i pinnacoli di Palau Güell e poi le lontane baracche gitane di Somorrostro, virano ancora verso le punte in ferro battuto della Casa de les Punxes, i boschi di Collserola, la ruota panoramica del Tibidabo, la torretta di un quartiere signorile e verde dove, più di vent’anni prima, era nata in un bel palazzetto fiorito Mercè Rodoreda i Gurguí.
Aspetta agitato, attende che lei, Natàlia, si allontani, se ne vada dai suoi figli smunti, che lo faccia tornare alla cova. Assieme agli altri, ai cappucci, ai monaci, ai colombacci. Tutti assieme. Quieti, anche se affamati. Uniti, anche sotto le bombe. Sereni, come un tempo.
Era già cambiata, lei, pure se Quimet non se n’era ancora andato a combattere in Aragona con moto e rivoltella. Aveva preso a odiarli. Lo capivano, lo sapevano: dal modo in cui li toccava, li feriva con i mazzetti di ortiche o rigirava l’acqua allo zolfo, da come li fiutava nauseata, da come li scrutava, con gli occhi rossi, vividi, in fiamme.

Ma c’è un racconto che colpisce in vivacità, ritmo, oltre che per la sua protagonista, ed è Fughe moderniste. La salamandra di Gaudí, dove il sottotitolo al racconto recita: «sui rocamboleschi tentativi di fuga della famosa salamandra del Park Güell, inviperita vittima dell’invasione turistica».

Questo breve racconto, che ha il sapore del Witz ed è narrato in terza persona dal punto di vista di una salamandra testarda e combattiva, contiene una divertita, ironica e garbata critica alla presenza massiccia, negli ultimi anni, di turisti della capitale catalana, oltre ad illustrare simbolicamente il destino della città.

È un racconto «da assaporare con lentezza, a voce alta, e con approccio giocoso. Ancor più gradito un bicchiere di vino». Dunque, non si può fare altro che lasciare la parola all’irrequieta bestiola, regina della città:

La salamandra grugnisce.
Tra le fronde del parco, sotto il sole cocente, il suo mosaico di colori si infiamma, e la salamandra grugnisce. Pian piano quel sordo bramito si sparge nel parco, foglia per foglia, gemma su gemma, spaventa le gazze e dissolve le nubi. La salamandra grugnisce e bofonchia a tutte le ore, al mattino, alla sera, con la nebbia, la brezza o la pioggia. Sepolta sotto le mani di ogni colore, fattezza e sudore, grugnisce.
Grugnisce.
Guaisce.
Mugugna.
Bofonchia.

[…]

Accecata dai flash, punta da tutti gli stick, stonata dalla confusione dei look: non ne può più. Tra il fruscìo croccante dei sari, il vociare chiassoso maori, il lino grezzo d’estate, i peli di ogni lunghezza, i dialetti, le lingue, le urla, i latrati, le corse, le pose, i lucenti piumini di oca e gli scatti infuocati dei flash: è davvero un inferno.

Ma è al tramonto che la bestia geme oltremodo, ancora più triste del giorno: com’erano belli i tempi passati! Che nostalgia degli anni ormai andati. Allora quasi nessuno saliva da lei, in quel parco bizzarro. Colonne, smalti e arabeschi? Nessuno, davvero, sapeva chi fosse la salamandra. Dove fosse. Perché fosse lì. Chi era quel tipo, chi era Gaudí, morto persino come un cencioso, sotto i binari di un tram? E quel Güell, non era soltanto un ricco e bislacco borghese?

Ci ripensa la salamandra, adirata, stizzita, frustrata, ripensa ai lunghi anni di pace: un paio di gambe ogni tanto, uno sguardo sfuggente e distratto, una smorfia anodina e annoiata. Non c’era molto di più… Finché quel paio di gambe è diventato un bel mazzo, una fascina, una macchia, un boschetto, una foresta, una selva e infine una giungla fremente di selfie e di crocs.

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