Un approccio socio-culturale ai disastri (prima parte)

Note comparative tra il sisma emiliano e i terremoti in Italia Centrale (Qui la seconda parte). A 5 anni dai terremoti che hanno colpito alcune zone dell’Emilia (20 e 29 maggio 2012), pubblichiamo una riflessione in due parti di Silvia Pitzalis sulla necessità di un cambio di paradigma nella gestione dei terremoti in Italia, a partire dall’analisi del carattere “ri-generativo dei disastri”, dall’Emilia all’Italia Centrale.

Mirandola (Mo), macerie fra le Scuole e il Comune. Foto di Silvia Pitzalis scattata l’8 aprile 2013

Sono passati diversi mesi dalle importanti scosse che il 18 gennaio hanno interessato l’Abruzzo. L’ultimo di una serie di eventi catastrofici che recentemente hanno sconvolto l’Italia centrale, sommandosi ad una situazione critica che già dal terremoto dell’Irpinia del 1980, passando per Umbria e Marche nel 1997, Molise nel 2002, L’Aquila nel 2009 e l’Emilia nel 2012, ha ribadito la vulnerabilità del nostro territorio e svelato l’incapacità, sia da parte istituzioni che della popolazione, di rispondere a situazioni climatico-ambientali avverse.

L’impreparazione ai terremoti (e ai disastri in generale) risulta ancora più lampante se si considera il fatto che le magnitudo comprese tra i 5 e i 6 gradi, alle quali sono notoriamente soggette alcune aree italiane, vengono generalmente considerate dai sismologi di intensità media. Questo dato avvalora la tesi portata avanti dagli studi socio-antropologici sui disastri secondo cui l’esposizione al rischio e il grado di vulnerabilità di una popolazione sono, non solo fisicamente, ma anche socialmente determinati. Uno sguardo analitico teso a far emergere gli orientamenti culturali che plasmano la vulnerabilità sociale di una comunità in riferimento ad un certo tipo di evento estremo1 risulta fondamentale per comprendere e affrontare questa tipologia di eventi.

Generalmente, quando si parla di disastri, l’opinione pubblica tende sempre a far leva sulla sofferenza delle vittime, sulla loro inerzia, sulla necessità di assistenza dall’alto, sui problemi nella fase emergenziale prima e in quella della ricostruzione poi, dettate unicamente dall’eccezionalità dell’evento. Giunti ormai al quinto terremoto importante nei soli anni Duemila, ha ancora senso parlare di “eventi eccezionali”? Concettualizzare il disastro unicamente in termini di “imprevedibilità ed eccezionalità” è un approccio che tralascia gli aspetti sociali e culturali di questi eventi, eclissandone le responsabilità politiche, che ne sono invece causa e conseguenza.

Manifestazione delle “Mille Chiavi” a L’Aquila 21 febbraio 2010. Foto da 6 Aprile.it

Negli ultimi decenni le scienze sociali, soprattutto di matrice statunitense, si sono interessate allo studio dei disastri con maggiore assiduità. In numerosi lavori2 è stata dimostrata l’importanza di abbracciare una prospettiva che comprenda anche gli elementi di matrice sociale, culturale e politica di questi eventi. In Italia, sebbene questo tipo di analisi sia ancora poco diffusa, esistono importanti lavori in questo senso. Il libro collettaneo curato dal sociologo Pietro Saitta Fukushima, Concordia e altri disastri (2015), vede dialogare tra loro numerosi studiosi tra antropologi e sociologi che partendo da diversi disastri (terremoti dell’Irpinia, dell’Aquila e quello emiliano, ma anche il disastro di Fukushima, lo tsunami in Sri Lanka e simili) hanno innescato differenti modalità di dialogo e discussione sul come rispondere alle catastrofi. Un altro lavoro collettaneo molto importante è Oltre il rischio sismico. Valutare, comunicare e decidere oggi (2015), curato da Fabio Carnelli e Stefano Ventura, nel quale, tramite il contributo di diversi studiosi, si è tentato di rispondere alle problematiche sul rischio sismico, coinvolgendo nell’analisi discipline che, oltre agli aspetti geologici, strutturali e urbanistici, prendano in considerazione anche la memoria storica, la geografia, l’antropologia, la pedagogia e la comunicazione. Fondamentale è anche il primo numero della rivista Antropologia Pubblica curato da Mara Benadusi (2015) sulle potenzialità e problematicità di engagement e ricerca applicata in questi ambiti.

Perché, allora, in Italia si fa ancora fatica ad abbracciare questo approccio multidisciplinare?

Le catastrofi sono eventi complessi altamente traumatici, che producono come primo effetto distruzione e morte, travolgendo la quotidianità di chi ne rimane coinvolto e provocano stati di profondo smarrimento ed incertezza assimilabili al concetto demartiniano di “crisi della presenza”3. La “presenza” – intesa come la tensione delle persone ad agire “nel” e trasformare “il mondo” – durante questi eventi catastrofici vacilla. Nasce un nuovo rapporto del soggetto con le condizioni materiali dell’esistenza che svela un mondo non dato aprioristicamente, ma costruito tramite processi socio-culturali.

La catastrofe ha anche il potere di mostrare il carattere reattivo-rigenerativo dell’essere umano, il quale, di fronte a simili drammi, non cede al vuoto, ma ripartendo da sé stesso prova a dare un senso al proprio trauma, passandogli attraverso e superandolo.

Contestazione a Gianni Letta a Mirandola (Mo), 30 maggio 2013. Foto di Silvia Pitzalis.

Un esempio di questa attitudine reattivo-rigenerativa è stato riscontrato tra alcuni abitanti di Norcia componenti del gruppo Montanari testoni Norcia-Cascia. Nonostante il silenzio mediatico da loro denunciato più volte riguardo ai danni subiti dalla loro città in seguito alle scosse del 2016, in modo particolare quella del 30 ottobre, queste persone hanno mostrato la loro volontà di essere attivi nel post-disastro, costituendo un campo base alla periferia del centro storico. Composto da un prefabbricato, un container/magazzino e alcune roulotte, il campo funge da smistamento viveri per le staffette, distribuzioni di generi vari ai terremotati che ne fanno richiesta, gestite da una decina di volontari di età compresa tra 25-35 anni e supportati dalle Brigate di Solidarietà Attiva (BSA). Durante un mio breve soggiorno, malgrado abbia percepito un fortissimo senso di delusione nei confronti delle autorità (Protezione civile) e delle istituzioni nazionali e locali (il Governo Renzi/Gentiloni e sindaco di Norcia, Nicola Alemanno), ho potuto riscontrare che il senso di abbandono non ha ceduto il posto alla rassegnazione.

All’interno dello Spazio sociale 24, con fatica e impegno, alcune persone motivate dalla volontà di volersi emancipare in maniera attiva dal potere centrale all’interno della fase post-disastro, hanno dato vita a diverse iniziative ludico-ricreative, come il cineforum settimanale il Nuovo cinema montano, alcuni laboratori indirizzati ai bambini, diversi dibattiti su questioni connesse al territorio (ultima si è tenuta il 13 maggio e verteva sul rapporto tra gasdotti e terremoti); fino alla realizzazione di uno sportello legale gratuito rivolto a tutta la cittadinanza.

Per il loro carattere altamente culturale, i disastri non dovrebbero essere interpretati unicamente in senso fisico e tecnico-ingegneristico, ma come complessi fenomeni poliedrici e multifattoriali. Lanternari (2003)4 ci ricorda che da sempre nella storia umana, momenti di crisi (economica, sociale, culturale e politica) sono spesso causati e acuiti da fattori di origine esterna, come appunto i disastri, in grado di modificare gli equilibri interni al sistema sociale. Se da un lato questa alterazione determina tra la popolazione stati di profondo disagio, insoddisfazione per la propria condizione, dall’altro ne veicola la speranza e l’attesa di una reale e radicale trasformazione delle condizioni generali dell’esistenza e del sistema socio-politico di riferimento.

Questo è ciò che potremmo definire il carattere “ri-generativo dei disastri”, un fenomeno che, come è stato recentemente evidenziato (si vedano ad esempio i lavori di Saitta e Benadusi precedentemente citati) all’Aquila e in Emilia, sta iniziando ad emergere anche in centro-Italia. Pensiamo alla nascita di numerosi comitati e associazioni nei diversi post-terremoto: per certi versi, alcune associazioni nate a L’Aquila, Sisma.12 in Emilia, Amatrice 2.0 Terre in Moto in centro-Italia. Sebbene con criticità rilevanti, questi “spazi del politico”5 – eterogenei e mutevoli in base alle tendenze trasformative del posizionamento dei soggetti che li abitano e del contesto politico nel quale si sviluppano sono fenomeni che definiscono processi specifici6. Seguendo le argomentazioni di Tarrow7 potremmo affermare che per il loro stesso esistere, sebbene fallimentari nei loro propositi espliciti, questi gruppi compositi sono in grado di mettere in moto cambiamenti sociali, culturali e politici. Per questo motivo analizzarli unicamente secondo la dicotomica fallimento-efficacia rischia di eclissare la loro complessità e potenziale.

Di conseguenza, l’esistenza delle realtà sociali prima menzionate rappresenterebbero già  un risultato considerevole nella misura in cui, nella maggior parte dei casi rappresentano una reazione all’evento, il tentativo di scardinare la realtà imposta come data e di porsi in maniera critica all’interno del complesso contesto post-disastro. Questi specifici corpi sociali portano avanti le loro rivendicazioni sul principio primo della partecipazione attiva dei terremotati stessi all’interno del percorso decisionale sulla ricostruzione e a qualsiasi scelta venga operata sul loro e futuro e su quello del territorio a cui appartengono.

 

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Note

  1. Ligi G., 2009, Antropologia dei disastri, Laterza, Roma, p. 48
  2. Uno degli ultimi importanti contribute G.V. Button e M. Schuller Contextualizing disaster, Berghahn, New York-Oxford, 2016.
  3. Ernesto De Martino, Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1959.
  4. Vittorio Lanternari, Movimenti religiosi di libertà e salvezza, Editori Riuniti, Roma, 2003.
  5. Riprendo questa definizione da un contributo scritto a quattro mani (2015) La catastrofe come occasione. Etnografie dal sisma emiliano tra engagement e possibile consulenza, (co-autrice Rita Ciccaglione), in Antropologia Pubblica, n. 1, pp. 81-102
  6. F. Khosrokhavar e A. Touraine, La ricerca del sé. Dialogo sul soggetto, il Saggiatore, Milano, 2003.
  7. S. Tarrow, Power in Movement, Cambridge University Press, Cambridge, 1994.

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