L’appetito vien leggendo. Sulla settimana della lettura alla Scuola Europea di Monaco

Pubblichiamo un resoconto della Settimana della lettura organizzata dalla Scuola Europea di Monaco fra il 17 e il 21 febbraio 2014 di cui abbiamo già parlato qui.
Hanno partecipato al progetto “L’appetito vien leggendo”: Alessandro Lattanzi (coordinatore del progetto e insegnante della classe III), Caterina Fundarò (insegnante della classe I), Maria Capozzi (insegnante della classe II), Vincenzo Brutti (insegnante della classe IV), Viviana Pizzanelli (insegnante della classe V), Lorenzina Lazzaroni (insegnante della scuola dell’infanzia), Enrica Cavosi (insegnante di arte), Valeria Giaquinto e Margherita Rubino (esperte bibliotecarie).

«Leggere, nel vero senso del termine, una pagina di Kant, una poesia di Leopardi, un capitolo di Proust, significa aver accesso a momenti di silenzio, alla salvaguardia dell’intimità, a un certo livello di formazione linguistica e storica pregressa. […] È sotto gli occhi di tutti che ai giorni nostri queste arti [della concentrazione] hanno ridotto il proprio campo d’azione, diventando un “mestiere” universitario sempre più di competenza degli specialisti. Tra gli adolescenti americani una percentuale superiore all’ottanta per cento non è capace di leggere in silenzio; nel sottofondo vi è sempre musica più o meno amplificata. L’intimità, la solitudine che rende possibile un incontro approfondito tra il testo e la sua ricezione, tra la lettera e lo spirito, oggi è una singolarità eccentrica, psicologicamente e socialmente sospetta[1]».

Le parole di George Steiner toccano la sensibilità dei lettori e risuonano come forti verità in coloro che hanno potuto, e saputo, godere di quell’intimità che permette l’incontro con il libro. Oggi le condizioni “ambientali” della nostra società non sono poi così favorevoli a questo “idillio”. La rapida evoluzione dei mezzi di comunicazione e il nuovo panorama che si trovano di fronte i sistemi di istruzione e formazione sembrano imporre un nuovo e diverso rapporto con la lettura e con il libro.

 

Riflettendo su questo nuovo rapporto, nella scuola Europea di Monaco si è svolto, dal 17 al 21 febbraio 2014, il progetto “L’appetito vien leggendo”. Abbiamo preso spunto dal lavoro di Roberto Casati Contro il colonialismo digitale, Istruzioni per continuare a leggere (Laterza 2013) e si è voluto offrire ai nostri ragazzi un’opportunità in più per “continuare” a leggere ed appassionarsi all’arte della lettura. Abbiamo sfruttato proprio quel vantaggio istituzionale proprio della scuola — e di cui parla Casati — per immergerci completamente, per intere giornate, in letture e attività con i libri. La risposta dei ragazzi è stata entusiasmante: accanto alla curiosità per un progetto che sovvertiva il normale orario scolastico, sospendendo le normali attività didattiche a favore della lettura, pian piano è sorto un autentico desiderio di viaggiare nel mondo dei libri.

La settimana era così strutturata: tutti gli insegnanti avevano organizzato le loro attività seguendo uno schema simile e adattando poi ad ogni gruppo classe specifiche attività; ogni giorno, dal lunedì al giovedì, sono stati dedicati uno o due momenti alla “lettura libera”, un’altra ora era riservata alle letture tematiche e il tempo rimanente era impiegato in attività e giochi con i libri. La settimana si è conclusa il venerdì con l’incontro, per tutte le classi, con lo scrittore e maestro Andrea Bouchard[2].Parallelamente alle attività didattiche, è stata allestita durante la settimana una mostra del libro dedicata all’editoria italiana per l’infanzia.

Come esempio più dettagliato del lavoro svolto, riporto quanto fatto nella mia classe, la terza. Per la lettura libera (che è stata intesa come palestra per sviluppare la curiosità e rinforzare l’attenzione) i bambini avevano scelto in precedenza due libri che avrebbero letto poi durante la settimana, ed il giovedì (il giorno prima della conclusione del progetto) hanno realizzato un disegno e una poesia ispirandosi a quelle letture. Per un’ora al giorno erano previste le letture tematiche, ovvero incontri in cui esperti della biblioteca scolastica hanno potuto presentare libri della biblioteca e dare un assaggio degli stessi attraverso la lettura ad alta voce. I libri sono stati selezionati in base alla loro attinenza a determinati temi sviluppati durante l’anno: “io e gli altri”, “la città”, “il tempo”, “l‘acqua” e si è anche colta l´occasione di parlare dell’oggetto libro, facendo notare la rilegatura, il formato, la presenza o meno delle illustrazioni. I bambini sono, poi, stati invitati a creare ciascuno un personale portafoglio di schede bibliografiche che permettesse loro di selezionare i testi ritenuti da ciascuno più interessanti, in modo da poterli successivamente prendere in prestito. Le attività e i giochi con i libri, accanto alle letture tematiche, hanno avuto l’intento di far sfogliare ai ragazzi decine di libri, così da insegnar loro a riconoscere un libro nei suoi vari aspetti, dal genere di appartenenza alle particolarità editoriali, e di portarli a conoscenza dei numerosi titoli disponibili nella biblioteca di classe e in quella scolastica. Siamo partiti, infatti, dalla convinzione che alla lettura, e all’oggetto libro, ci si appassiona in virtù di una stretta convivenza: più ne abbiamo a disposizione, e sappiamo come usarli, più cresce la curiosità e la voglia di leggere. Questa convinzione ha trovato conferma nell’entusiasmo crescente dei bambini.

A titolo di esempio dei giochi con i libri si riporta un’attività, tra le altre, che ha riscosso molto successo: la camminata pensante[3]. Ho distribuito a ciascuno bambino un libro della biblioteca di classe, poi tutti hanno avuto cinque minuti a disposizione per memorizzare l’autore, il titolo e l’incipit dell’opera. A quel punto i bambini sono stati invitati a camminare liberamente tenendo il libro appoggiato sulla testa. Chi faceva cadere il libro veniva eliminato. Poi ho iniziato a chiamare il nome di un autore e chi aveva quel libro doveva recitare il titolo e l’incipit dell’opera (oppure leggevo l’incipit e il bambino doveva ripetere autore e titolo); anche chi non riusciva in questo compito veniva eliminato. Il vincitore, l’ultimo rimasto, ha dimostrato buon equilibrio e buona memoria! Infine, in previsione dell’incontro con Andrea Bouchard avevamo letto Acqua Dolce. Prima della settimana della lettura, i ragazzi hanno costruito un libro-teatro riadattando ed illustrando la storia di Acqua Dolce e poi il libro è stato esposto nella mostra del libro insieme alle opere di tutte le classi.

Il progetto è stato accolto con entusiasmo dai bambini e dai genitori, come è risultato anche dai questionari di valutazione distribuiti agli alunni e alle famiglie. Il progetto, inoltre, si è arricchito durante il suo percorso di preziosi contributi e riflessioni che sono stati stimoli preziosi per il lavoro dell’insegnante. Il punto di partenza è stato la necessità di interrogarsi sul contesto della scuola oggi e di valutare quali possono essere gli aspetti positivi e quelli critici del nuovo panorama dei mezzi di comunicazione, del passaggio verso una scuola digitale. Possiamo affermare che, in generale, le nuove tecnologie impongono nuovi ambienti di lavoro e stili di vita. In quanto cittadini, siamo chiamati a delle scelte – come e quanto usare le nuove tecnologie – che ridisegnano i luoghi e i tempi della nostra esistenza. Come afferma Sherry Turkle, docente del MIT,

noi creiamo nuove tecnologie e queste a loro volta ci trasformano. Di ogni tecnologia dovremmo chiederci se questa serve ai nostri scopi e, di conseguenza, dovremmo interrogarci [nuovamente, come esseri umani] su quali siano i nostri scopi[4].

In qualità di insegnanti rispondiamo della formazione dei ragazzi contribuendo, insieme ai genitori, alla loro istruzione; a questi ragazzi dobbiamo, almeno, un agire quotidiano sostenuto dalla nostra consapevolezza e dalla nostra riflessione razionale. In questo momento, quindi, non possiamo esimerci da una responsabilità morale che ci obbliga ad indagare ciò che sta cambiando il nostro luogo di lavoro e a chiederci dove vogliamo guidare le nuove generazioni.

Prendiamo ad esempio la nuova categoria dei nativi digitali: a chi sostiene che gli insegnanti dovrebbero parlare il linguaggio dei “nativi digitali”[5] – una popolazione che parla un idioma completamente nuovo, nata addirittura da una rivoluzione antropologica – per andare incontro ai loro interessi e coinvolgerli maggiormente nelle attività didattiche, si può ribattere, in primo luogo, che per un insegnante «educare non è adeguarsi allo stile di vita degli allievi, bensì guidare questi ultimi a qualcosa di altro da se stesso e da loro»[6]. Inoltre, nell’era del colonialismo digitale, la capacità che più rischia di atrofizzarsi è quella dell’attenzione e in compenso “nuove forme di intelligenza” non sembrano così robuste da compensarne la perdita. Così su questi argomenti sarebbe auspicabile un rigoroso confronto nel mondo della scuola, che invece frequentemente assimila concetti senza un’accurata indagine. È veramente utile traghettare il sistema scuola sulla corrente delle tecnologie digitali ed adeguarsi a quello che si trova all’esterno della scuola? Siamo sicuri che ridisegnare l’aula scolastica in senso digitale corrisponda esattamente all’esigenza, che si avverte nella scuola, di una nuova organizzazione dello spazio e del tempo[7]?

Se vogliamo difendere la lettura, perché crediamo nei benefici che ne possono derivare, possiamo pensare a quali occasioni la scuola ci permette di sfruttare proprio in quanto istituzione, che afferma la propria identità senza rincorrere i rapidi sviluppi tecnologici della società. Manfred Spitzer – che attacca la nozione di nativi digitali dal punto di vista di un neurobiologo, affermando che sarebbero soltanto un mito, in quanto nei giovani la profondità del lavoro mentale necessaria all’apprendimento  sarebbe invece stata sostituita dalla superficialità digitale – mette in evidenza l’inganno sotteso all’idea di competenza digitale:

l’aspetto ingannevole del concetto di competenza digitale è che per utilizzare il computer o Internet non è necessaria alcuna capacità specifica […] Ciò che serve è invece una solida cultura di base o generale. Chi già ne dispone […] potrà informarsi in maniera approfondita. Chi invece non conosce (ancora) niente non diventerà più colto tramite i media digitali. Perché è necessario avere conoscenze preliminari di un determinato contenuto per poterlo approfondire”[7].

Il progetto “L’appetito vien leggendo” non ha inteso certamente  lanciare un’offensiva contro le nuove tecnologie, o screditare le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione. Si ritiene, invece, che sia necessario imparare a convivere con le nuove tecnologie facendone un uso ragionato. Casati stesso invita ad impiegarle attivamente, sostenendo che è utile che i ragazzi sappiano come si aggiorna Wikipedia, piuttosto che ricorrervi soltanto per copiare delle informazioni. Per quanto riguarda internet, ad esempio, l’attenzione si è concentrata sui bambini più grandi che sono stati guidati nella creazione di una pagina di Wikipedia. I ragazzi della classe quinta hanno reperito fonti cartacee e digitali relative all’autore che avrebbero incontrato a coronamento della Settimana della lettura; quindi hanno redatto una biografia che – dopo un’opportuna riflessione linguistica – è stata, appunto, inserita nell’enciclopedia online.

Concludo con una riflessione sul percorso che ha portato alla realizzazione del progetto: come insegnante ho vissuto il lavoro con impegno e passione crescente, ho sentito la partecipazione autentica dei ragazzi e questo è stato in un certo senso rigenerante. Si è attivato un circolo “virtuoso” che ha permesso la buon riuscita del lavoro: il contatto con Roberto Casati ha offerto uno spazio di riflessione prezioso garantendo le basi epistemologiche del progetto, e abbiamo visto, strada facendo, che il nostro progetto poteva alimentare interessanti confronti. Si è trattato di un progetto che, partendo dal basso e con l’aiuto ed il sostegno di esperti è cresciuto proficuamente. È stata la dimostrazione di come la scuola può trarre beneficio da una collaborazione allargata, dove sono necessari tanto l’impegno attivo degli insegnanti quanto la volontà di interagire con la realtà scolastica da parte degli specialisti che devono saper declinare le loro riflessioni teoriche per renderle buone pratiche. Una scuola migliore forse può nascere più facilmente da una diversa “geometria” del lavoro, dove si stringe la collaborazione tra chi è in classe e chi può elaborare una riflessione più ampia e allo stesso tempo più “scientifica” sull’insegnamento, che da una generica innovazione tecnologica.

Note

[1] George Steiner, I libri hanno bisogno di noi, Garzanti, Milano 2013, pp. 19-20.

[2] Di Andrea Bouchard, le classi I, II, III e IV hanno letto il romanzo Acqua Dolce (Salani 2010), la V Il pianeta senza baci (e senza bici) (Salani 2013).

[3] Cfr. C. Carzan S. Scalco, Ri-animare la lettura. 55 giochi per divertirsi con i libri, Edizioni La Meridiana, Bari 2009, p. 75.

[4] Cfr. Sherry Turkle, Alone Together. Why We Expect More from Technology and Less from Each Other, Basic Books, New York 2011, p. 19.

[5] La definizione di nativi digitali è di Mark Prensky, che la presentò nel 2001 in due articoli: “Digital Natives, Digital Immigrants Part I”, in “On the Horizon” (MCB University Press), vol. 9, n. 5, Ottobre 2001; “Digital Natives, Digital Immigrants, Part II. Do They Really Think Differently?”, in On the Horizon, MBC University Press, vol. 9, n. 6, Dicembre 2001. La prima traduzione italiana di entrambi è di Francesca Nicola, “Nativi digitali e Immigrati digitali, La mente nuova dei nativi digitali” in La ricerca, Ottobre 2013, Anno 2, n.4 Nuova serie, pp. 56-66.  In Italia l’autore di riferimento che si colloca sul solco di Prensky è Paolo Ferri: La scuola digitale. Come le nuove tecnologie cambiano la formazione, Bruno Mondadori, Milano, 2008; Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2011. Sempre allineato su queste posizioni è il lavoro dell’epistemologo Michel Serres, Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere, Bollati Boringhieri, Torino 2013

[6] Gian Paolo Terravecchia, “Il dibattito italiano sui nativi digitali”, in La ricerca, cit., p. 75.

[7] Un interessante confronto su questi temi è apparso sulla rivista La ricerca (cit.) dell’editore Loescher, con un provocatorio titolo “Contro il digitale”: viene presentata un’accurata sintesi sul dibattito italiano attorno ai nativi digitali e si mette a confronto l’opera di Paolo Ferri “Nativi digitali” (Mondadori, 2011) e  quella di Roberto Casati  Contro il colonialismo digitale.

[8] Manfred Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio, Milano 2013, p. 269.

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