Altri transiti. La figura sociale del femminiello

Pubblichiamo un estratto di “Altri transiti”, un libro dell’antropologa Carolina Vesce appena uscito per Mimesis.

Altri transiti  è la quinta pubblicazione nell’ambito del Premio Studi GLBTQ Maurice. Il Premio, nato nel 2010 grazie a una donazione privata e curato dal Centro Documentazione, si pone come obiettivi la promozione, lo stimolo e la valorizzazione degli studi in ambito GLBTQ. L’attività culturale ha per il Maurice GLBTQ valenza politica: per questo la decisione di sostenere, pur nella scarsità di mezzi a nostra disposizione, percorsi di diffusione e riconoscimento a quegli studi che contribuiscano al superamento di stereotipi e pregiudizi fondati su ignoranza e impoverimento culturale.

Femminella (pl. femminelle), femminiello (pl. femminielli) o ancora femmenella, fummeniell o femmenell’ sono termini di chiara origine meridionale, più precisamente napoletana, con i quali ci si riferisce ad un individuo biologicamente maschio che si sente, si comporta ed è riconosciuto come una donna e che assume, in modo più o meno evidente, comportamenti, atteggiamenti e ruoli normalmente attribuiti al genere femminile.

Da un punto di vista prettamente linguistico, l’accostamento della radice femmin- alle desinenze, -iello o -ella, sembrerebbe già rimandare alla commistione di due generi.

Nell’introduzione all’edizione italiana di un importante testo dell’antropologia di genere, Gabriella D’Agostino sottolinea come il termine femminiello, riferendosi ad una precisa condizione biologica declinata al maschile, faccia riferimento ad uno status di genere non risolto.

Dal punto di vista della storia linguistica, è molto probabile che il termine abbia conosciuto una certa diffusione a partire da un ambiente di gergalità, trovando impiego nella produzione saggistica della scuola positivista napoletana, per estendere, poi, il proprio raggio d’azione oltre i confini regionali grazie alla diffusione di testi letterari e teatrali.

In effetti, se la prima descrizione di un soggetto effeminato nel Regno delle Due Sicilie risale al XVI secolo, è solo alla fine dell’Ottocento che il medico e antropologo Abele De Blasio utilizza il termine femminella nel suo studio su Usi e costumi dei cammoristi.

La consultazione di dizionari e glossari del dialetto napoletano ha permesso di rilevare la forte predominanza della forma femminile del termine, a fronte di una scarsa presenza della flessione di genere maschile.

Come la maggior parte dei vocabolari della lingua italiana, ad esempio, il dizionario Garzanti non contempla alcuna voce per femminiello mentre alla voce femminella si legge: «s.f. 1. dim. di femmina; 2. uomo debole, pauroso (merid.) ragazzo, uomo effeminato». Il Glossario del gergo ottocentesco curato dal progetto “Biblioteca della camorra” riporta alla voce femminella una serie di citazioni da alcuni dei principali dizionari storici del dialetto napoletano, che si rifanno per lo più alle annotazioni del De Blasio.

Nel testo dedicato alla società dell’umirtà, o bella società rifurmata, infatti, il medico e antropologo sannita introduce con una sorta di definizione il capitolo sullo Spusarizo masculino di cui ci occuperemo a breve: «Accanto ai martiri della lussuria troviamo i pederasti passivi di professione, distinti nella mala vita coi nomignoli di ricchioni, femminelle o vasetti». Si tratta, con ogni probabilità, della prima attestazione scritta del termine.

Il Vocabolario napoletano-italiano compilato da Raffaele Andreoli e pubblicato nel 1887, cioè un decennio prima della pubblicazione del lavoro di De Blasio, fa esplicito riferimento all’estensione semantica del diminutivo di femmina:

Donna dell’infima plebe, Donnicciuola, Donnàccola, Donnacchera, Femminuccia e Femminucciola. In Firenze le dicono Ciane. – vezzegg. di bimba, Femminetta, ed anche Femminella. – Essere nu femminella, dicasi di un uomo vago di pettegolezzi e di scandali, Essere un pettegolo, un mettiscandali.

Più di recente è stato Ernesto Ferrero a fornire una definizione “aggiornata” del termine. Nel Dizionario storico de gerghi italiani, alla voce femminella, si riporta:

“Pederasta passivo di professione”, nella Napoli di fine-secolo (De Blasio). Oggi i femminielli sono i giovani travestiti, che spesso escono dal calvario di complesse operazioni chirurgiche, e rappresentano una delle più drammatiche piaghe sociali di Napoli.

Nel corso di un secolo, come è evidente già da queste prime considerazioni, i dizionari registrano significativi cambiamenti linguistici e sociali: se alla fine dell’Ottocento il termine femminella era associato alla parola pederasta, a ridosso del nuovo millennio è ai travestiti che si fa riferimento.

[…]

Femminelle si nasce, non solo, nascere femminelle significa qualcosa di preciso, che non è riconducibile alla sovversione, istituzionalizzata o socialmente accettata, dei ruoli di genere, né ad un’identità “di mezzo”, ma anzi ha a che fare con la riproduzione del modello eterosessuale dominante che, proprio nell’ambiguità del femminiello, si trova di fatto convalidato.

L’affermazione dell’estinzione diviene qui il presupposto, oltre che la posta in gioco, per la produzione di un discorso legittimo sulla femminella. Si tratta, potremmo dire, di un topos, che tuttavia non va a sua volta ipostatizzato, ma considerato in relazione all’affermazione dell’esistenza di una femminella vera, d.o.c.

«La femminella “originale” esiste nel momento in cui la si deve studiare» dice Ciro (Ciretta) Cascina[1]

Non ha una restrizione fisica, come non ce l’hanno la virilità o la femminilità… non ce l’ha. Però gli studiosi ci hanno fatto fare questo e noi abbiamo dimenticato che erano studiosi e gli abbiamo creduto per appartenere a quel genere. E allora tutte quelle che dicono della classicità, del d.o.c., sono dei probabili assassini, perché c’è una variabilità.

Il tentativo di definire ed oggettivare l’identità delle femminelle napoletane, com’è evidente in queste testimonianze e come mette in luce l’attore Ciro Cascina, si scontra con la pluralità fluida delle rappresentazioni, con posizioni e punti di vista che sono il prodotto, storicamente determinato, dei discorsi sulla differenza sessuale, sui ruoli di genere e sulle modalità con cui ci si relaziona alla differenza. 

Il processo di valorizzazione e riscoperta della figura della femminella, d’altra parte, ha sensibilmente alimentato la produzione di discorsi che riproducono un’immagine ideale o idealizzata di questi soggetti sociali, ricollocati a pieno titolo in quell’umanità colorata e scomposta che costituisce uno dei più radicati stereotipi della napoletanità.

E, dunque, chi è – o chi era – la femminella? È possibile scattare delle istantanee che tentino di rappresentare la variabilità a cui faceva riferimento Ciretta Cascina? Quali figure ci restituiscono le retoriche e le poetiche dell’estinzione?

Nell’introduzione a una delle storie raccolte nel suo Tra le rose e le viole, Porpora Marcasciano sintetizza bene, a mio avviso, il senso della parola femminiello quando lo descrive come un termine con cui si indicano «omosessuali, travestiti, transessuali e tutte le sfumature che stanno oltre la maschilità». Nelle parole di Antonello, che per Marcasciano potrebbe essere considerato un femminiello dei giorni nostri, l’esperienza sociale del femminiello è descritta in modo suggestivo.

Egli veicola una rappresentazione perfettamente in linea con l’idea di una figura pre-moderna, una soggettività del passato, che apparteneva ad un mondo che ormai è sparito. Antonello dà voce alla parte più intima del femminiello che – dice – si sente donna mamma sorella, assumendo l’identità femminile nella dimensione che dovrebbe esserle più propria: quella domestica.

Il femminiello napoletano si sente donna nel senso classico della parola, ma non una donna moderna, indipendente, che lavora, vive da sola, non ha figli ma solo qualche amante no assolutamente! Il femminiello si sente moglie, mamma, sorella, levatrice, ottima cuoca, buona casalinga, fedele, religiosa; tutto quello che non potrà mai essere cerca di farlo meglio e di più, costi quel che costi […] La storia del mondo trans è un pezzo di storia di Napoli, che è l’unica città dove ci sono sempre state… fin da in mano a Pappacone! Le femminelle avevano i loro usi, i loro costumi e le loro tradizioni: uso il passato perché ormai quel mondo è sparito… e tutte siamo diventate più moderne![2]

Irriducibile alle identità omosessuali e transessuali, la femminella incarna una femminilità alla vecchia maniera, uno stile corporeo ideale.

Definita per opposizione, a partire da ciò che certamente non è, la femminella è divenuta un soggetto ideale, protagonista negli ultimi anni di un’intensa richiesta di sapere che ha dato vita ad una mole crescente di pubblicazioni e produzioni video-documentarie. Il presupposto a partire dal quale è stata possibile questa riscoperta sembrerebbe essere proprio la lapidaria affermazione dell’estinzione del femminiello.

Dice Gina, donna trans sulla cinquantina che ho incontrato all’inizio della mia ricerca di campo:

Le femminelle oggi non esistono più, perché non sono più femminelle. La femminella, prima, era una persona che sentiva di essere donna dentro, con un sentimento da donna, con questo corpo che non è mai stato accettato, con questi sentimenti liberi, amorevoli, ricchi di passioni… passioni a volte anche non ricambiate, però era importante, si viveva di sguardi. Era una persona che viveva in un corpo che non gli apparteneva, che non sentiva suo e che quindi loro potevano modificare, ma con la loro mente però, senza nessun meccanismo, senza nessun ormone. Le femminelle erano questi maschi esili, con questi visi un poco effeminati, con delle piccole cose, cioè io non dico che erano trucchi ‘e camufflage, però addirittura si strofinavano le labbra, per farle diventare più rosse, con dei petali di geranio che loro impastavano tra le dita e veniva questo colore rossastro che passavano sulle labbra… E allora la femminella riconosce per forza l’altra femminella. Quelle là che non si volevano fare gli ormoni, che non volevano fare la vita di strada, quelle erano le femminelle.[3]

Vive un mondo antico il femminiello, un mondo fatto di sguardi e gesti impercettibili, di sogni e fantasie. Incarna un sapere incorporato, padroneggia specifiche tecniche del corpo che definiscono uno scarto, marcano una differenza rispetto all’esperienza trans. Si potrebbe dire una sorta di predisposizione pratica a performare il genere quella del femminiello, che non prevede il ricorso alle tecnologie del transito e che, anzi, proprio nella trasformazione del proprio corpo riconosce un impensabile, una pratica improponibile.

[1] Attore napoletano, autore di diversi testi e pièce teatrali, Ciretta Cascina è stata nel mio percorso un’infaticabile informatrice, sempre disposta al racconto e alla condivisione. Tra i principali animatori dell’Associazione Femminelle Antiche Napoletane (A.F.A.N.), Ciro è ispiratore e protagonista di numerose produzioni sulle femminelle.

[2] P. Marcasciano, Tra le rose e le viole, cit., pp.79-80.

[3] Gina, intervista raccolta a Napoli nel novembre 2010.

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