Quello della “crisi della sinistra” è un ritornello che risuona ormai da decenni e negli ultimi anni si sta facendo sempre più insistente. Se in Occidente, sul piano politico, l’inizio della crisi della sinistra storica si può far risalire agli anni Sessanta-Settanta, in questi ultimi anni si stanno via via esaurendo anche quegli esperimenti di sinistra che, sul piano istituzionale, hanno provato a reagirvi.
A osservare oggi lo scenario globale, è difficile individuare chiaramente una “alternativa politica di sinistra” tanto al mercato neoliberale quanto ai nuovi sovranismi e populismi di destra. Eppure, alla crisi della sinistra non ha corrisposto una crisi del pensiero critico e radicale. Anzi, a essa ha corrisposto piuttosto una sua nuova stagione e configurazione, a cominciare proprio dalla sua declinazione marxista. A Sinistra. Il pensiero critico dopo il 1989 (Laterza, Bari-Roma 2019) di Giorgio Cesarale ne offre una mappatura agile e aggiornata, senza per questo sacrificare il rigore filosofico.
La caduta del muro di Berlino, il 1989, rappresenta un evento più che altro simbolico per leggere la “crisi della sinistra”, che – come detto – affonda le sue radici nei decenni precedenti, nel graduale ridimensionarsi al di là del muro della valenza di alternativa politica alimentata dall’Unione Sovietica. Per Cesarale, tuttavia, dalla prospettiva del pensiero critico, il 1989 comporta un passaggio fondamentale, che ne riconfigura il punto di vista, tanto da inaugurarne appunto una nuova stagione. Con l’’89, infatti, viene meno il “fuori” del comunismo – per quanto all’Unione Sovietica già da tempo molti esponenti del pensiero critico non attribuissero più la prerogativa e il primato a farsene espressione e modello – rispetto alla democrazia liberale e al capitalismo. Nella nuova configurazione – per dirla con Sloterdijk – del “mondo dentro il capitale”,
la domanda su come plasmare concretamente e internamente l’ordine, che ha dominato il Novecento sia sul piano economico (meglio il capitalismo o il socialismo?) sia sul piano politico (democrazia liberale o no?), ha ceduto il passo a una interrogazione che esplora il bordo esterno dell’organizzazione sociale, la separazione da quell’esteriorità che, pur non essendo direttamente implicata nella costruzione dell’ordine, ne rende possibile la stabilizzazione [p. XI].
Insomma, in questione nel pensiero critico post ’89 è l’individuazione, la produzione, l’attivazione e l’agibilità politica del fuori all’interno di un ordine – quello capitalista e liberal-democratico – che lo relega ai suoi margini, sebbene questi possano essere ben inclusi nelle sue dinamiche. Ed è appunto dal margine di tale ordine che, secondo Cesarale, procede oggi l’interrogazione critica, che così ne mette in questione la stessa sostenibilità e l’assenza di alternative che ne caratterizza la narrazione:
La speranza che accomuna gli autori trattati è che, risalendo a questo atto o processo “istituente”, si renda evidente la non necessità dell’ordine, la sua contingenza, che investe tutte le odierne relazioni di potere [p. XII].
Si tratta di una speranza che fa da contraltare alla diagnosi di Mark Fisher, il quale sostiene che è ormai più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Che poi tale speranza sia ancora in qualche modo riconducibile a quella su cui si è sostenuta l’esperienza storica della sinistra – l’“ipotesi comunista”, per dirla con Badiou – è una questione che resta aperta.
Cesarale articola la galassia del pensiero critico post ’89 suddividendone gli autori e le autrici sulla scorta di cinque grandi nuclei tematici: capitalismo, sovranità, soggettività, democrazia, identità. Per ognuno di essi, sono presi in considerazione quegli autori e quelle autrici che, seppur diversamente e non senza espliciti contrasti se non proprio contrapposizioni, hanno avanzato la rispettiva proposta teorica, individuando il “fuori” o il margine esterno da attivare nella prospettiva – più o meno espressamente indicata – di una possibile agibilità politica. Gli esponenti del pensiero critico sono insomma chiamati in causa e analizzati sulla scorta di un criterio che prevede al contempo la critica dell’ordine e l’alternativa politica. Tale è l’approccio alla critica della fase attuale del capitalismo di Wallerstein, Arrighi, Harvey, Brenner, Streeck, Postone, Boltanski e Chiapello, che ne evidenzia la dipendenza da fattori esterni rispetto all’ordine economico e dunque il permanente stato di crisi. Seppure le loro ontologie presentino presupposti ed esiti contrapposti, Agamben e Negri determinano la loro critica alla sovranità evidenziando come sia la cattura e la funzionalizzazione di una potenza a essa esterna a sostenerne il potere. È invece lo stesso processo di soggettivazione – stando a Badiou, Žižek e Jameson – che si attiva a partire da un bordo esterno seppur differentemente individuato. La ridefinizione delle frontiere della democrazia – perché dall’interno sia in grado di accogliere le istanze provenienti dai margini esterni alla sua pretesa universalistica – è quanto si può riscontrare in Balibar, Rancière, Laclau. Infine, è la decostruzione dell’identità di genere, di classe, di razza assunta a universale, a caratterizzare le filosofie di Butler, Fraser, Spivak, Gillroy, Mbembe – che dalle esclusioni e discriminazioni delle cosiddette minoranze procedono alla riconfigurazione, precaria e contingente, dello statuto dell’umano.
Questa, per sommi capi, è l’articolazione interna che Cesarale fornisce della galassia del pensiero critico post ’89. Non vi si riscontra certo la pretesa di armonizzarla laddove spesso a prevalere è il conflitto tra le diverse posizioni e proposte filosofiche e politiche. Il pensiero dei vari autori e autrici è infatti presentato per quelle che sono le rispettive peculiarità e secondo il suo sviluppo e la sua articolazione interna, senza però sorvolare sulle polemiche che sovente li hanno visti contrapposti. Anzi, si potrebbe arrivare a sostenere che, piuttosto che le convergenze, siano le divergenze e la conflittualità a tenere insieme e a comporre la galassia del pensiero critico post ’89. Ma questa è probabilmente un tratto peculiare del pensiero critico tout court, che a maggior ragione è opportuno valorizzare dopo il 1989, per far emergere come con il venir meno dell’alternativa comunista dell’Unione Sovietica è la pluralità di alternative politiche a prodursi, una pluralità che soltanto la narrazione neoliberale traduce nell’assenza di un’unica e sola alternativa. Inoltre, il libro si offre come uno strumento utile per rintracciare alcuni vettori interni che attraversano l’elaborazione del pensiero di alcuni autori – ne sia un esempio l’emergere dell’importanza che il cosiddetto linguistic turn, che ha dominato la scena filosofica a cavallo tra anni Settanta e anni Ottanta, riveste per comprendere le prime mosse teoriche di – per fare qualche nome – Agamben, Rancière, Laclau, Butler.
A Sinistra ha anche il pregio di introdurre in Italia autori stabilmente al centro del dibattito internazionale, che tuttavia in Italia sono poco o per niente tradotti: Brenner, Postone, Gillroy. A ciò fa ovviamente da contraltare la scarsa o nulla considerazione di altri autori o autrici. Si tratta dell’obiezione più facile da muovere a libri come questo, che non s’intende qui percorrere. Interessanti sono piuttosto le motivazioni che lo stesso Cesarale adduce per argomentare l’esclusione per lui più significativa, quella di Habermas e Honneth, ovvero gli eredi diretti della teoria critica francofortese. Tra queste, quella a mio parere più convincente concerne il fatto che né Habermas né Honneth mettono in questione il nesso tra capitalismo e democrazia, assunto che oscura la visibilità stessa di alternative politiche che muovono da istanze radicali se non proprio anticapitaliste. In tal senso, il pensiero di Habermas e Honneth manifesta esemplarmente l’impasse in cui si trovano oggi le politiche di sinistra, che nondimeno tacciano di velleitarismo le alternative politiche che emergono dal pensiero critico, di cui A Sinistra rappresenta una valida mappatura.