Pubblichiamo qui di seguito una lettera indirizzata al ministro e scritta da due insegnanti della scuola secondaria, non ancora rassegnate ad entrare in quello che Roberto Ciccarelli ha definito in Teste e colli, il nostro ebook sulla scuola, «il bestiario di una vita meritocratica dietro la cattedra».
Lo ha già detto Girolamo De Michele, che senza i contestatori del ministro Giannini poche persone si sarebbero fermate ad ascoltare le parole di una glottologa che non ha esitato, con poca cognizione della semantica della parola, a definirli «squadristi». Per questo crediamo che questo 5 maggio richieda, oltre a tanta partecipazione e a piazze piene di dignitosa indignazione, anche serrate e puntuali argomentazioni su un disegno di legge che ci viene squallidamente venduto come epocale rivoluzione.
Gentile Ministro,
siamo un gruppo di docenti appartenenti a diversi ordini e gradi di istruzione. Le scriviamo in merito al DDL 2994 del 27 marzo 2015 sulla riforma scolastica.
Abbiamo letto accuratamente il testo in ogni sua parte e abbiamo elaborato alcune riflessioni sullo stesso, che vorremmo presentare alla Sua attenzione.
1) In riferimento al CAPO II Art. 2, comma 4: «[…] le scuole predispongono, entro il mese di ottobre precedente al triennio di riferimento, il piano triennale dell’offerta formativa. Tale piano definisce la programmazione triennale dell’offerta formativa dell’istituzione scolastica e contiene la programmazione delle attività formative rivolte al personale docente e quantificazione delle risorse per la realizzazione dell’offerta formativa».
Riteniamo che sia estremamente complicato stabilire un “piano triennale dell’offerta formativa”, in quanto le scuole cambiano imprevedibilmente la loro fisionomia e il loro bacino di utenza da un anno all’altro. In tal senso, risulterebbe quasi impossibile “programmare” le attività rivolte ai docenti e quantificare le risorse disponibili per tre anni. Cosa succederebbe, ad esempio, se nell’arco dei tre anni scomparissero una o più classi, con il conseguente esubero dei docenti inseriti nell’organico? Sarebbe preferibile, dunque, secondo il nostro parere, avere un organico definito annualmente dagli USP, che conoscono più nel dettaglio la situazione dell’area territoriale di loro competenza.
2) In riferimento al CAPO II Art. 2, comma 9: «Il dirigente scolastico elabora il piano triennale sentiti il collegio dei docenti e il consiglio d’istituto e con il coinvolgimento eventuale dei principali attori che operano all’interno del contesto economico-sociale e culturale del territorio».
Riteniamo che non basti soltanto “sentire” il parere del collegio dei docenti; ciò va innanzitutto contro il Testo Unico della Scuola (D. Lgs. 297 del 16/04/1994), nel quale si ribadisce la sovranità degli organi collegiali, punto fondamentale dell’autonomia scolastica. La scuola è costituita infatti dai docenti, dagli studenti, dal personale ATA, non solo dal Dirigente Scolastico; pertanto è opportuno che la decisione del collegio dei docenti abbia valore normativo, anche per il Dirigente stesso, il quale dovrebbe piuttosto essere un primus inter pares. Inoltre, riteniamo che il ruolo del collegio dei docenti sia soprattutto stabilire in maniera collaborativa le finalità della scuola e di porre davanti agli alunni che la frequentano un modello di società democratica, in cui tutti hanno il diritto di esprimere il proprio parere e di far sì che sia preso in considerazione. La scuola non può funzionare come un’azienda, perché se l’azienda ha come finalità principale la massima produttività e i profitti che da essa derivano, il fine della scuola è al contrario l’educazione degli alunni alla vita in società e la loro formazione umana e professionale. Tale finalità non può coincidere con un modello di scuola incentrato esclusivamente sulla figura del Dirigente.
3) In riferimento al CAPO II Art. 2, comma 11: «Sulla base delle esigenze e del fabbisogno espresso nel piano triennale dell’offerta formativa, il dirigente scolastico sceglie il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia e propone incarichi di docenza ai docenti iscritti negli albi territoriali istituiti dalla presente legge», nonché al CAPO II Art. 2, comma 13 : «Al fine di garantire un corretto avvio dell’anno scolastico 2015/2016, il dirigente scolastico individua i docenti da destinare all’organico dell’autonomia della singola istituzione scolastica, scegliendoli dai ruoli del personale docente articolati in albi territoriali secondo quanto previsto dall’articolo 7», infine al CAPO III Art. 7, commi 2 -3: «Il dirigente sceglie i docenti che risultano più adatti a soddisfare le esigenze delle scuole e propone, sulla base dei piani triennali dell’offerta formativa di cui all’articolo 2, incarichi ai docenti iscritti negli albi territoriali e al personale di ruolo già in servizio presso altre istituzioni scolastiche […]Il dirigente scolastico attribuisce gli incarichi di docenza nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri: a) attribuzione di incarichi di durata triennale rinnovabile, coordinata con il ciclo triennale di definizione degli organici dell’autonomia; b) pubblicità dei criteri adottati dal dirigente per selezionare i docenti cui proporre un incarico, tenuto conto dei relativi curricula; c) pubblicità degli incarichi conferiti, della relativa motivazione a fondamento della proposta e del curriculum dei docenti sul sito internet della scuola; d) utilizzo del personale docente di ruolo in classi di concorso diverse da quelle per la quale possiede l’abilitazione, purché possegga titolo di studio valido all’insegnamento; e) potere sostitutivo degli uffici scolastici regionali in caso di inerzia dei dirigenti nella copertura dei posti».
Riteniamo che questi commi siano innanzitutto lesivi della professionalità dei docenti che hanno lavorato a lungo nella scuola, maturando esperienza diretta sul campo; in secondo luogo, non v’è traccia in essi di criteri univoci e trasparenti dei quali il Dirigente si servirebbe per “scegliere” il personale docente da assegnare all’organico dell’autonomia. Si parla infatti vagamente di curricula, di “criteri”, senza specificare alcunché. Non si tiene conto del punteggio acquisito da molti docenti nel corso degli anni di formazione attraverso Dottorati di Ricerca, pubblicazioni scientifiche, Lauree magistrali conseguite in aggiunta al titolo di accesso al ruolo di insegnante, concorsi pubblici per titoli ed esami, corsi- concorsi per conseguire il titolo di Abilitazione all’insegnamento. Tutto questo porterebbe ad uno stato di confusione totale nel conteggio degli eventuali titoli di preferenza, nonché di assoluta arbitrarietà da parte del Dirigente Scolastico nella scelta dei docenti, pur non mettendo in dubbio la buona fede dello stesso. Inoltre i criteri dovrebbero essere uniformi e stabiliti a priori per tutto il territorio nazionale, non parziali e differenziati a seconda delle regioni, o peggio delle singole istituzioni scolastiche e dei loro rappresentanti. Infine, mettere nelle mani di un solo individuo la totale gestione della scuola e del personale ivi presente, potrebbe condizionare il lavoro del Dirigente stesso e dei docenti, che a questo punto agirebbero talvolta concordemente con la politica del Dirigente per paura di essere depennati. Questo contrasta in pieno con quanto stabilito dall’Art. 33 della Costituzione sulla libertà di insegnamento.
4) In riferimento al CAPO III Art. 7, comma 4: «I ruoli del personale docente sono regionali, articolati in albi territoriali, […] Tale disciplina non si applica al personale assunto a tempo indeterminato entro l’anno scolastico precedente all’entrata in vigore della legge, salvo nei casi di mobilità territoriale e professionale, all’atto della quale tale personale è iscritto negli albi provinciali o distrettuali che includono il personale docente destinatario della proposta di incarico da parte del dirigente scolastico».
Riteniamo innanzitutto poco chiara la dicitura “salvo nei casi di mobilità”. Cosa vuol dire? Che se un docente di ruolo, per cause non imputabili alla sua volontà, perde il posto nella scuola in cui lavora, finisce automaticamente nel “girone infernale” degli albi territoriali? Con quale punteggio? Con quali titoli, e soprattutto, a che titolo? E se, disgraziatamente, per ragioni personali, magari anche gravi, un docente fosse costretto a spostarsi dal luogo di lavoro per recarsi in altra provincia o regione, cosa gli succederebbe? Perché tale principio non si applica allora per tutti i dipendenti della Pubblica Amministrazione, ma solo per i docenti? Il punto non è chiaro, ma da come è posto appare quanto meno iniquo e non rispettoso delle eventuali esigenze familiari delle persone. Inoltre, i docenti di ruolo hanno firmato un contratto che li rendeva destinatari di una cattedra presso una provincia specifica, con una sede provinciale specifica. Questo comma contravverrebbe a quanto scritto nei contratti firmati dai docenti di ruolo, che si potrebbero sentire in diritto di impugnare tale provvedimento. Inoltre, anche l’immissione in ruolo di tanti insegnanti precari, imposta a queste nuove condizioni, appare poco appetibile e senz’altro ingiusta e discutibile. Non dovrebbero esistere insegnanti con determinati privilegi e altri che ne sono privi; ciò alimenterebbe l’insensata “guerra fra colleghi” che a causa dei continui cambiamenti normativi dilania da anni la nostra scuola. Il lavoro diventerebbe, a questo punto, principalmente finalizzato a mantenere il proprio posto, piuttosto che mirato alla didattica.
Inoltre, nel comma 7, invece di pensare a come recuperare risorse per promuovere realmente il merito dei docenti, si provvede piuttosto a stanziare fondi per pagare ancora di più i Dirigenti Scolastici, già retribuiti in modo sufficientemente adeguato alle loro responsabilità.
Infine, vorremmo aggiungere queste ultime considerazioni:
1) L’insegnamento dovrebbe diventare una professione da svolgere in modo serio e consapevole, a conclusione di un percorso formativo ben definito: laurea specialistica, eventualmente abilitazione, e specializzazioni. Il personale dovrebbe essere assunto per il 50% da GAE, fino all’esaurimento di esse, e per il restante 50% da concorso, indetto con cadenza almeno triennale, alternativamente solo per abilitati e sia per abilitati che per non abilitati. I concorsi dovrebbero essere banditi sulla base dei posti realmente necessari al fine di non ricreare precariato.
2) Per le supplenze temporanee si dovrebbe attingere dalle GAE, fino al loro esaurimento, poi dalle Graduatorie di Istituto. Non è giusto che a chi non riesce ad entrare di ruolo nei tre anni previsti dal DDL, sia poi impedito di proseguire nell’insegnamento. Inoltre il sistema degli albi regionali non può funzionare per le supplenze temporanee, in quanto si potrebbero verificare casi in cui, ad esempio, ad un docente arrivino una supplenza di 10 ore a Firenze e una di 8 ore a Massa Carrara.
3) L’USP dovrebbe permanere, perché fungerebbe da coordinamento tra le singole istituzioni scolastiche e la regione.
4) Bisognerebbe inoltre istituire, magari anche attraverso reti di scuole, delle classi di L2 per gli alunni stranieri da poco arrivati in Italia, con evidenti difficoltà nella comprensione e nell’esposizione in italiano. Queste classi dovrebbero essere frequentate almeno per un anno per poter consentire agli alunni una preparazione di italiano di base che li aiuti ad inserirsi meglio nelle classi curricolari l’anno successivo.
5) Nel DDL, peraltro, non v’è traccia di articoli mirati a definire una volta per tutte delle linee guida didatticamente rilevanti, con patterns disciplinari differenziati per ordine e grado di scuola, da poter seguire a livello nazionale.
6) Per garantire agli studenti la continuità didattica basterebbe permettere ai docenti di lavorare nella provincia in cui hanno conseguito il ruolo o comunque da loro scelta in occasione della riapertura delle GAE e/o delle Graduatorie di Istituto (come stabilito dall’ordinamento scolastico vigente), senza creare albi regionali che, oltre ad essere di difficile consultazione per l’elevato numero degli aspiranti ivi contenuti, potrebbero creare inutili contenziosi fra gli aspiranti stessi (con conseguenti perdite di tempo) e non consentirebbero ai docenti di lavorare con serenità; difatti la nostra professione non consiste solamente nell’insegnamento in classe, durante la mattina, ma anche e soprattutto nella correzione degli elaborati, nella preparazione delle lezioni, nelle riunioni pomeridiane (Collegi Docenti, Consigli di Classe, Riunioni di Dipartimento ecc.) e, talvolta, anche nella partecipazione a corsi di aggiornamento, attività che vengono svolte durante il pomeriggio. Ora, come potrebbero i docenti fare tutto questo se sono costretti a “girare come trottole” per la Regione/ Provincia?
Ci auguriamo che tali considerazioni non rimangano vuote parole senza replica, ma che siano quantomeno seguite da una Vostra risposta.
Nell’attesa, porgiamo i nostri più distinti saluti.