In collaborazione con M.A.C.A.O e in occasione della mostra Poesia totale inserita all’interno della fiera BookPride, dedicata all’arte visiva del poeta Nanni Balestrini, pubblichiamo alcune delle sue opere e tre testi a lui dedicati: di Paul Virilio, Edoardo Sanguineti e Tommaso Ottonieri.
I testi sono stati pubblicati in Con gli occhi del linguaggio nel 2006 per Derive Approdi.
Il muro delle parole, di Paul Virilio
Tutti i muri sono destinati a cadere,
quello di BERLINO come quelli delle torri
di NEW YORK.
Tutti i muri mormorano che l’architettura
ha un solo tempo, anche il MONUMENTO.
Paesaggio del Verbo, l’opera di BALESTRINI
si estende da parte a parte, in orizzontale
come in verticale, dallo zenit
al nadir, dalla frontiera al litorale.
Sotto le sue colonne monumentali
si sotterrano tutti i SANSONI della storia
di questo Mondo terra a terra
di un Giornalismo in cui la Facciata delle parole
dissimula male i Mali di una società
che traspira l’Odio:
QUELLO DELLO SCHERMO CONTRO LO SCRITTO,
del Visivo contro il Visibile.
SILENZIO,
stupore di una civiltà che si aspetta
il Peggio, l’emancipazione dei Mostri,
e che erige come tanti Bastioni
le sue frasi POLITICAMENTE CORRETTE
a detrimento della Poesia.
Follia del Vedere! dell’intendere, dove
L’AUDIOVISIBILE elimina poco a poco
la lettura silenziosa e le immagini mentali.
Dismisura per dismisura, dove le parole
si riverberano all’infinito nello specchio delle mentalità
soffocate.
Un libro non letto è ancora un libro?
TUTTO CIO’ CHE NON APPARE, O NON ANCORA,
E’ PERTANTO SPARITO?
Filofollia in questo tempo sedicente reale,
in cui l’avvenimento nasce unicamente
nello schermo, CONTRO DI NOI,
di fronte, faccia a faccia
nell’interferenza Massmediatica.
Tirannia delle onde contro le Parole
della vita SUI GENERIS.
Andando incontro a APOLLINAIRE
BALESTRINI tesse Parola per Parola
la tappezzeria dei paragrafi.
In uno strabismo divergente
che ricorda quello del terrore, del grido
che annuncia i Grandi Massacri, NANNI IL CALLIGRAFO elabora un Paesaggio epistolare il cui incerto catasto turba lo sguardo.
“QUANDO LA POESIA SCOMPARE
HA INIZIO IL MASSACRO”
ha scritto un autore latino americano…
Per il nostro poeta latino europeo,
la muraglia megalitica
della Stampa, è Peggio:
è un campo in cui si rinchiude
non soltanto il Poeta
ma la Prosa,
a Beneficio della schiamazzante
Promozione del MERCATO UNICO,
questa vasta truffa
di cui l’ITALIA è la Vittima
A GRANDEZZA NATURALE.
“Crimine di campo”, violenza commessa in riunione, in Ambiente chiuso, PRECLUSO, dove gli editoriali sono i CAPORIONI e i fatti di cronaca le urla delle vittime dei Carnefici!
qui, NANNI BALESTRINI
è l’uomo in fuga, lo scampato
dal Bordello, il testimone a carico
di un secolo impietoso,
in cui l’immagine dei Mali ha cancellato
tutte le parole,
a cominciare da quella del Perdono,
della PIETÀ’,
questa ingiuria alla rovescia che salva,
malgrado tutto, dall’
ODIO PUBBLICITARIO.
All’architetto delle linee di Fuga, al grafico dei confini e dei margini SALUTE!
Al muratore delle Fondamenta, allo scavatore della Grande trincea, all’amico NANNI, lunga vita!
Sette terzine cosmochaotiche per Nanni Balestrini, di Edoardo Sanguineti
1
dominanti divetti ducettini,
hysteroidi hypocristi homuncolini,
ipernazistici italoforzini!
2
puttana patria polipervertita
bubbonico bordello, berluschita
querula quadrantaria quartanita!
3
neonarcisi neocon neobushoneschi,
ruinosi rospacci ruineschi,
tremendi tremonteschi trepunteschi!
4
cosmico caos, che crudo cubo cupo,
mondialesco mercato, macrolupo
grave, gravido globo, geodirupo!
5
ecco empi episcopalici egocentrici,
scemotti satanelli subeccentrici,
obnubilati orcastri opacocentrici!
6
fracassata fottuta, forzitalico
arcilupanaresco sidsescoidalico,
leghistico littorio lipolalico!
7
zoomorfi zeri zetamorfinosi
villanrifatti venovaricosi,
ultrà uhùh ultrultrultrultrultrosi!
16 marzo 2006
Nanni Balestrini, una filosofia del montaggio, di Tommaso Ottonieri
«Basta uno sguardo ma non c’era altra scelta»: da qualunque degli innumerevoli accessi accada di entrare dentro le steli di parole di Nanni Balestrini (clichés di magnesio… inkjetsu tela… mixed media… o, anche, più antichi e cartacei collages) queste aperte, straordinariamente, trappole palindrome in cui sgretolandosi vanno a sagomarsi i paesaggi verbali, rivelati da un infallibile sguardo di Poésure e di Peintrie – da ciascuno dei frattali microvortici linguistici da cui l’occhio sia stato nello stesso atto catturato e respinto {tipogrammi e spirali da vergare per ogni senso, alla lettera, per ogni verso) – da qualsiasi apertura si sia stati assorbiti nella galleria del vento di questa verbovisione, è come se ci si ritrovasse in un campo aperto; senza protezioni; macinare della pura turbolenza, all’altitudine stessa, vertiginosa, della Storia nel suo farsi.
Quasi che si fosse sospinti, voglio dire, in uno spazio dove linee di fuga, fulminee e inderogabili, violentemente astratte, stiano lì di taglio a interrompere a deviare quel flusso così pervasivo e compatto di pratiche rettoriche, in cui si forma, si trasmette, il Dominio: quel territorio della lingua, cioè del linguaggio dominante, in cui questo (il Dominio) di continuo si (ri)produce nella maschera della “Verità”.
(E a cui solo si può rispondere per via moltiplicativa: dal linguaggio, riportandosi ai linguaggi; dal totalitarismo del logos, alla totalità, plurima e insolubile, frattale e piena, delle identità e delle parole).
Perché l’arte, appunto, totale/frattale, che è di Balestrini, punta sempre, da sempre, proiettile o lama, su questa materia amorfa e insieme pesantissima (piombo e pietra lapidea: tipo-lito-grafia), in cui ogni pratica di potere si ordisce in quanto pratica-di-linguaggio. Quello che la sua forza centrifuga mette a fuoco, in ciclo, attraverso una fisica microscopica (ed evidenziatissima pure) di tagli scomposizioni riciclaggi ricombinamenti, è appunto il vuoto che si occulta al centro d’ogni “verità” comunicata dal Dominio. Che vi si annida, per via di quella rete di mediazioni non solo tipografiche, che in età fordista usavamo dire l’industria culturale.
Ma anche: il vuoto che si produce nella centrifuga del ricombinamento, rivelando il senso del linguaggio per invertirlo criticamente, e “politicamente” rovesciarlo, de-integrandolo, disintegrandolo, e fino a sospenderlo come nella più controversa delle pratiche zen (o forse, in uno zen della controversia), – questo vuoto può diventare un pieno. Totalità di eventi in conflitto, esplosione di crisi in grado di liberare spazio critico al linguaggio (che resta non meno informe neutro vuoto — dunque combinabile strumentalmente — per questo): e infine – unico corridoio ancora disponibile forse – il buco nero di un caos linguistico-sociale, salto gravitazionale in un alveo caotico: tragico cioè rigenerante. «Tutti contro, la crisi dilaga». (Utopia e Apocalissi, due movimenti di una medesima dialettica, in Nanni).
È perciò che a questa «poesie-action» (continuo a citare da titoli, flash, illuminazioni, presenti nei suoi vari assemblaggi e s/montaggi) – a questo agire per «com-binaisons déroutantes» di parole frasi concetti già “normalmente” consumati, e prodotti, dalle fasce di pubblico implicitamente (o meno) partecipi del dominio – è intrinseca, esemplarmente, l’Illustrazione delle energie della Violenza. E questo poiein, è critica trascendentale, in movimento, in atto: se il linguaggio è appropriabile e amorfo, assolutamente «La poesie est autonome»; il motto, a fondo (credo) etimologico, che trovate inscritto, a chiare lettere di caos, nel pieno vortice di una tavola, è il più adatto a render conto di quest’ars che valorizza la parola di poésure come la pratica capace – non solo (secondo la sua lettera) di inventare da sé le proprie leggi e ad esse sole soggiacere – ma anche, di decostruire il segno del dominio: di disattivare la coazione eteronoma, che fa di tutto per cablarci a sé in veste di Linguaggio. E ciò infine che in questi lavori è distruzione, scomposizione, violenza, non è che chiave ejzen_tejnianamente per la costituzione di una immagine nuova e “autonoma”, a tutti gli effetti: capacità utopica di costruire un’altra profondità del reale. Tutto questo – il conflitto – è la filosofia (im)purissima del Montaggio.
Quale sarà, allora, l’etica densa, capace di strutturare un’estetica ricombinante, come questa che Nanni dove fondare d’anticipo sui nostri tempi? – e fondò, dico, straniando i materiali linguistici per riportarne in luce il Caos, il seme del Conflitto.
Se sono erette, queste muraglie di parole – ribòboli di segno visivo che esplodono nell’immanenza insostenibile del loro Suono, a decrittarvisi, – se questa «architettura delle linee di Fuga» si protende dalle fenditure d’un presente tanto impraticabile da non poter evitare di praticarlo ancora e sempre, questo, sarà si per aggirare (notava Virilio) il «muro delle parole»: ma sarà, anche, perché è su quella pratica, sul conflitto dei linguaggi (e, sul confliggere col Linguaggio), che continua a convergere l’infinità delle nostre Fughe.