Pubblichiamo alcuni scatti di Pietro Masturzo durante e dopo l’operazione israeliana “Margine di protezione” dell’estate 2014.
Fotografare Gaza nei giorni dell’operazione “Margine di protezione” è stato orribile, come del resto è sempre orribile assistere a un massacro. Tuttavia fotografare il “post-conflitto” è, se possibile, più doloroso.
La vita nella Striscia è tornata alla normalità: le strade si sono ripopolate, il porto, al mattino, è di nuovo un brulicare di gente che aspetta i pescatori di ritorno dalle sei miglia di mare in cui gli è concesso pescare sotto assedio. Anche l’aria sembra più leggera, o almeno è libera dall’odore di morte e dal continuo ronzio dei droni israeliani.
Eppure la sensazione che ho nel ripercorrere i luoghi che avevo fotografato quest’estate è di profonda tristezza. Nonostante siano passati ormai più di quattro mesi dalla fine dei bombardamenti, tutto è rimasto lì dov’era quando sono andato via ad agosto. Solo più ordinato, perché se la ricostruzione tarda a iniziare la gente intanto si adopera per recuperare il recuperabile. E l’irrecuperabile è ammucchiato in ordinati cumuli di macerie.
All’ospedale Al Wafa, completamente raso al suolo, c’è chi ricicla mattoni e mattonelle; chi seleziona il materiale medico ancora utilizzabile; altri sono addetti al recupero dei tondi di ferro per il cemento armato. Prima devono sgarbugliarlo e poi raddrizzarlo pezzo per pezzo. E così è a Shejaiya, a Beit Hanun, a Khan Yunis, a Kuza’, da nord a sud della Striscia.
Le persone con cui mi fermo a parlare mi chiedono quando inizierà la ricostruzione e un attimo dopo quando verrà il prossimo attacco israeliano. Come se l’eventualità di un’altra guerra sia scontata almeno quanto l’arrivo dei soldi e del materiale per la ricostruzione. «Fotografa!» mi dicono tutti quelli che incontro per le strade, «fotografa quello che ci hanno fatto gli israeliani!»
La gente di Gaza da chi come me ha il privilegio di entrare e uscire da questa prigione non si aspetta che un po’ più di considerazione e di umanità. Sanno benissimo che non saranno le mie foto a cambiare la storia qui. E io, in un profondo senso di impotenza, non saprei cos’altro fare. Posso solo fotografare. E continuo a farlo.
Pietro Masturzo è nato a Napoli nel 1980. Dopo la Laurea in Relazioni Internazionali all’Università di Napoli si dedica alla fotografia documentaria focalizzando il suo lavoro principalmente su questioni sociali e politiche. Nel 2007 inizia a collaborare con diverse agenzie foto-giornalistiche e a pubblicare regolarmente sulle maggiori testate italiane ed estere. Il suo lavoro ha ricevuto diversi riconoscimenti tra cui il World Press Photo Picture of the Year 2009.