15M, dal km Zero in avanti

Sugli eventi del 15 marzo.

Una versione di questo articolo è apparsa su “alfabeta2”, n. 13 – ottobre 2011, nello speciale Passioni collettive, coordinato da Isabella Pezzini. Lo ripubblichiamo con una nota introduttiva degli autori che tiene conto degli eventi attuali.

Abbiamo scritto questo articoletto all’inizio di luglio, quando il movimento del 15-M, nato e sviluppatosi come una straordinaria e rapidissima esplosione di senso, stava già entrando in una fase di “storia normale”, con una struttura e forme organizzative e partecipative ormai abbastanza delineate.

A meno di due mesi dall’occupazione di Plaza del Sol si era già detto e pubblicato parecchio e la nostra insistenza sul carattere di evento del 15-M, proprio nel momento in cui questo aspetto andava sfumando, aveva come obiettivo polemico un certo clima interpretativo predominante, schierato compatto su una linea per cui spiegare qualcosa significa, semplicemente, andare a vedere quanto è successo prima. Non è neanche il caso di citare le goffaggini eziologiche che abbiamo visto rincorrersi in questi mesi (vabbè, dai, una è troppo grossa: «tutto è cominciato a Genova»), ma diremo invece che tale operazione è, ovviamente, legittima e spesso necessaria (non vogliamo ad esempio sminuire in nessun modo l’importanza esemplare delle proteste arabe). Tuttavia rischia di produrre l’illusione della “necessità” di certi eventi e di risolversi, infine, in fatalismo.

È per questa ragione che, al contrario, volevamo sottolineare l’imprevedibilità di quanto accaduto in Spagna, e questo non tanto in riferimento al fatto che in un momento di crisi durissima qualcosa fosse successo, ma al come si era sviluppato. Fin dall’inizio ci eravamo sbilanciati sul fatto che le forme del 15-M potessero affermarsi come nuovo paradigma di azione politica ed il titolo originale dell’articolo pubblicato su “alfabeta2” (“15-M: anno zero”, modificato per assonanze televisive oppure rosselliniane?) voleva sottolineare il valore di origine dell’accampata madrilegna sotto questo punto di vista.

Il 15-M non è un fenomeno di protesta o rivendicativo, ma un tentativo di delineare una nuova modalità di partecipazione e decisione politica. Alla luce degli ultimi sviluppi della cronaca mondiale, ci sentiamo di dire che proprio la dimensione formale che può esser fatta risalire all’esperienza spagnola (orizzontalità, apertura partecipativa, smarcamento dai tempi della politica istituzionale, occupazione delle piazze…) sia l’elemento centrale nelle iniziative più importanti sviluppatesi negli ultimi tempi (vedi ad esempio “Occupy Wall Street”).

Per quanto riguarda invece il caso italiano, almeno osservandolo dal di fuori, la sensazione è che molte delle considerazioni portate avanti, e segnatamente la questione prevedibilità/imprevedibilità, possano essere tranquillamente rovesciate di segno.

In Puerta del Sol, al centro di Madrid e di fronte al palazzo della regione, c’è una targa che indica il km 0, il punto da cui si misurano tutte le distanze del Regno di Spagna. Da qualche tempo, questo punto di straordinaria pregnanza geometrica indica anche un’altra origine: il tempo 0 del movimento del 15M.

In questi ultimi mesi, un attante collettivo privo di storia ha costruito un evento. Ovvero una rottura, una discontinuità, una esplosione di senso: uno spazio di imprevedibilità lungo la linea del tempo.

Questa “novità rumorosa” (Braudel) è entrata prepotentemente tanto nell’agenda dei media come nel discorso pubblico e intellettuale. In Spagna e altrove. Il suo essere riconosciuto come evento, che per definizione avrebbe una temporalità breve, ha promosso una lettura rapida, l’urgenza di una interpretazione. Al calore asfissiante dell’attualità iberica si è cercato di ridurre la sua densità informativa, si sono applicati schemi di prevedibilità ricercando antecedenti causali di cui il 15M sarebbe l’effetto. Si tratta della strategia interpretativa abituale di fronte a qualsiasi evento. Ed anche il modo migliore per offuscarne la novità.

In questo caso, l’operazione ha trovato un ostacolo nel fatto che da puntuale, occasionale, l’evento ha assunto un aspetto durativo. Di conseguenza, le etichette e le vecchie categorie messe in gioco per relegare il 15M nell’ordine del déjà-vu sono state disinnescate dalla permanenza e dilatazione, dall’insistere del movimento in una trasformazione continua, dal suo procedere senza una finalità decisa a priori.

Ovviamente, esistono esperienze e pratiche che, a vario titolo, possono essere considerate come degli antecedenti a quanto stiamo assistendo in questi ultimi mesi. Negarlo sarebbe sciocco; tuttavia, andare alla ricerca delle premesse del movimento è un’operazione semioticamente meno pertinente di quanto sembri, giacché il 15M si configura esso stesso come un’origine. Giornalisti, filosofi, politici, opinion leader di provenienza varia hanno a più riprese richiesto che il movimento esprimesse obiettivi e finalità chiare. Pretesa più che fuori luogo, perché più che di un senso della fine siamo qui testimoni di un senso dell’origine. Una origine di stili e forme di vita politica che, al tempo stesso, costruisce una memoria futura, un serbatoio di procedure, pratiche, passioni e sistemi di segni su cui basare il proprio divenire.

Il fatto che si tratti di un movimento che pone l’accento sulla forma piuttosto che sulla finalità ha ovviamente creato dei problemi di definizione. Così, l’urgenza giornalistica di riconoscere l’evento, cioè di ridurlo ad uno schema esplicativo già conosciuto, ha condotto i media alla rassicurante operazione di framing costituita dall’applicazione di una etichetta. Di un elemento che orienti il percorso di senso. È così che si è arrivati, passion oblige, a parlare di movimento degli “indignados”, aggrappandosi a un titolo di successo scambiato per spirito del tempo. A soccorso della spiegazione teleologica è stata invocata una passione prevedibile, che in spagnolo è sinonimo quasi perfetto di quella collera di greimasiano ricordo e che condurrebbe ad una reazione puntuale ed irriflessa.1

Questa operazione rivela l’esigenza di ricondurre l’evento ad una intellegibilità narrativa, ad inserirlo in uno schema di prevedibilità in cui attori conosciuti si muovono in spazi consueti secondo tempi certi. E invece no. Il 15M è un soggetto inedito che si riunisce ovunque e si smarca dai tempi della politica istituzionale. Allo stesso modo, la sua economia passionale è lontanissima dal poter essere definita dall’indignazione; piuttosto, si costruisce culturalmente mediante passioni non lessicalizzate e necessariamente imprevedibili. Alla sua base, c’è una famiglia di sentimenti ed emozioni vaghe come il malessere, l’impotenza o l’insoddisfazione. È giustamente a partire da questo indefinibile scontento che una così ampia fascia della società civile spagnola ha potuto trovare una maniera di riconoscersi unita.

Una chiave per comprendere l’organizzazione tanto formale come passionale del movimento risiede probabilmente nell’onnipresente pratica assemblearia, dove si sono sviluppate procedure volte ad abbassare l’intensità e la tensività patemica. Si evita il sarcasmo affinché nessuno abbia timore a esprimere le proprie posizioni; si comunica approvazione o dissenso attraverso un sistema gestuale formalizzato per evitare che i toni si accendano; ci si astiene dall’applauso per impedire che si decida per contagio passionale o acclamazione. La ricerca del consenso di tutti i membri dell’assemblea mette in gioco pratiche imprevedibili di traduzione dell’intraducibile, in cui posizioni distanti trovano senso e sfondo comune. Piuttosto che seguire uno spartito passionale predefinito, la polifonia dei partecipanti del 15M, provenienti dalle tradizioni più diverse, trova una sintonia mediante esercizi continui di messa in accordo, concessioni personali, cedimenti e sintesi inedite.

Si vede allora come fondamentale non sia il messaggio, ma la forma e il suo farsi. Così, la propagazione del movimento non è avvenuta per contagio di un contenuto, ma piuttosto per risonanza, per un riverbero di forme di vita. All’origine del 15M non c’è una ideologia né una passione precisa, ma una materia che attendeva la sua messa in forma: una grammatica, uno stile, la memoria di una politica futura.

[Qui la versione in spagnolo dell’articolo]

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Note

  1. Qui le definizioni di “indignación” e di “cólera”.
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