Sopravvivere all’inverno russo con “Viaggiatori nel freddo”

Una recensione a “Viaggiatori nel freddo. Come sopravvivere all’inverno russo con la letteratura” del collettivo sparajurij, uscito per Exòrma edizioni nel 2015.

A Mosca non ci si perde,
è sufficiente seguire l’istinto per avventurarsi nell’anatomia del suo corpo,
dentro le ombre caudate dei cortili, il percorso è scritto nelle vene.

Sono le parole del protagonista e voce narrante di questo libro non voluminoso, eppure denso, dalla natura molteplice – è diario, saggio, racconto, cronaca –, come molteplici sono i percorsi attraverso gli spazi e il tempo, i continui rinvii anche al di là delle sue pagine, le curiosità e le ispirazioni che si offrono al lettore. Viaggiatori nel freddo è narrazione di un viaggio e viaggio di una narrazione che si estende per ventuno giorni e altrettante tappe, durante le quali le storie e i personaggi, veri e reali, oppure evocati, si moltiplicano dando vita a una inesauribile fantasmagoria di scenari sempre nuovi. Al protagonista e viaggiatore, alla sua deuteragonista Ksenja, si aggiungono i «personaggi involontari», (da Anna Achmatova a Nikolaj Zvjagincev) elencati in una sezione distinta del libro, ulteriore indice o itinerario virtuale di un viaggio nel viaggio.

Già dal primo giorno – intitolato Primo cielo: nuovo e ideale rinvio a un’altra, ancestrale, esperienza di viaggio, sorta di viatico per chi, affrontando l’ignoto in qualche sua forma, si affidi alla protezione della letteratura – momento dell’arrivo, quindi dell’iniziale, epifanica rivelazione: «volare su Mosca altera ogni principio di solidarietà con il reale», appare, rassicurante, la presenza immanente dei numi della letteratura. È infatti il Maestro ad accogliere il viaggiatore, appunto «nella città che in tempi non lontani è stata visitata da Satana».

Intensi si susseguono i giorni, ognuno dei quali accresce la propria durata, in una sorta di quarta dimensione del tempo: ognuno dei ventuno giorni rappresenta in sé un viaggio compiuto, un’esperienza molto spesso inattesa e sempre sorprendente. Oltre che al Cremlino, alla Galleria Tret’jakovskaja, all’antico quartiere Zamoskvoreč’e, i viaggiatori nel freddo ci accompagnano alla casa di Čechov, a quella di Majakovskij, di Čajkovskij e a Peredel’kino, il villaggio non lontano da Mosca dove vissero o soggiornarono numerosi scrittori e poeti sovietici, come Isaak Babel’, Il’ja Erenburg, Kornej Čukovskij, Boris Pil’njak, Evgenij Evtušenko, e, soprattutto, Boris Pasternak, che lì scrisse il romanzo Dottor Živago.

Ogni luogo suscita reminiscenze storiche – non di rado colorite di aneddoti curiosi – di richiami letterari e di riflessioni interessanti. Alla Galleria Tret’jakovskaja, per esempio, il lettore-visitatore è invitato a soffermarsi a guardare attentamente le opere di tre artisti, scelti a rappresentare la storia dell’arte russa dal Quattrocento al Novecento: Rublëv, Levitan e Vrubel’ e ne viene suggerita una prospettiva comune: la grandiosa e arcana dimensione del silenzio. Altri luoghi di interesse culturale, nel significato più esteso e trasversale del termine, sono poi alcuni punti della città, come piazza Puškin, il vicolo Gleb e Boris, la prospettiva Kutuzov; i monumenti a Pietro il Grande, a Marina Cvetaeva, a Iosif Brodskij. Viaggiatori nel freddo non è tuttavia il racconto di un’esperienza esclusivamente introspettiva, non soltanto un dialogo interiore fra l’io narrante e quanto egli vede nel riflesso di ciò che ha conosciuto e acquisito prima del viaggio: è anche la cronaca di un’intensa esperienza estrospettiva, un continuo confronto con personaggi reali e a vario titolo appartenenti al mondo della letteratura contemporanea.

Il viaggiatore ha occasione di incontrare Evgenij Solonovič, notissimo traduttore e «ambasciatore della poesia italiana in Russia», il poeta Danila Davydov e altri poeti, poetesse e traduttori. E il viaggio nel freddo svela un nuovo itinerario che si snoda attraverso riflessioni e confronti sulla poetica della traduzione e sulla sua percezione fonetica. Una sosta importante di questo ulteriore percorso, punto di ancoraggio per costruire ponti universali fatti di poesia, è la rivelazione del già ricordato Solonovič: «per me l’italiano è una lingua di e da poeti, e ogni persona che lo parla come sua lingua madre, indipendentemente dall’accento, è per me un poeta». Altrettanto folgoranti le parole del poeta Viktor Kullé, secondo il quale «chi non coltiva la dignità della propria persona non può scrivere buoni versi», e nella sua gravosa impresa (tradurre in russo le rime di Michelangelo) mira a dimostrare che «la poesia è una sovra-lingua o un’inter-lingua».

Lo sguardo del viaggiatore è curioso di tutto, di una curiosità contagiosa e vasta, onnicomprensiva e totalizzante, origine e mezzo di espressione dalla armoniosa connotazione postmoderna di una piccola opera preziosa.

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