Cronaca di un’esperienza di resistenza territoriale in una delle città più attraversate al mondo dal fenomeno del turismo: Venezia.
Negli ultimi anni, lo sfruttamento degli spazi urbani da parte dell’industria turistica sta portando ad un aumento diffuso della conflittualità sociale: da Barcellona a Berlino, da Rio de Janeiro a San Francisco, le città hanno cominciato a sollevarsi contro l’impatto economico e sociale dell’iper-turistificazione.
Il fenomeno ha raggiunto livelli importanti anche a Venezia, città in cui gli effetti della mancanza di politiche a lungo termine volte a contenere e gestire il fenomeno del turismo di massa risultano esacerbati dalla cronica perdita di popolazione residente: questa combinazione dà come risultato una costante erosione degli spazi disponibili per lo spontaneo svolgersi della vita urbana, che vengono inevitabilmente investiti dalla marea montante dei visitatori – quindi in pratica disattivati come luoghi di cittadinanza -, o privatizzati attraverso operazioni di (s)vendita del patrimonio immobiliare pubblico portate avanti con sempre maggior frequenza dalle amministrazioni locali, regionali e nazionali. Strangolato dal Patto di Stabilità, il Comune di Venezia è da anni particolarmente attivo in questo senso: ogni poche settimane viene annunciata la vendita di un altro edificio di pubblica proprietà, il che di solito significa irrimediabilmente che sta per aprire un nuovo albergo. Le proteste e le azioni dei residenti stanno moltiplicandosi di conseguenza: tra gli innumerevoli casi scoppiati negli ultimi tempi, quello dell’Antico Teatro di Anatomia è quello che forse ha destato più clamore.
Lo scenario in cui ci troviamo è il sestiere di Santa Croce che, nonostante si trovi tatticamente disposto tra Piazzale Roma, la stazione ferroviaria e Rialto, riesce miracolosamente ancora a mantenere quella che si potrebbe definire una vera vita di quartiere. Il suo cuore pulsante è Campo San Giacomo da l’Orio, con le panchine sotto gli alberi, i bambini che scorrazzano liberamente, la Società Benefica che ogni anno ci organizza la sagra. Sia beninteso, la mercificazione dello spazio urbano ad uso turistico è arrivata pure qua, ed il campo è perimetrato dai plateatici dei bar e dei ristoranti moltiplicatisi negli ultimi tempi, con un nuovo hotel sul punto di inaugurare in un palazzo già sede universitaria, e tutta la pletora dei bed and breakfast veri o presunti a punteggiare il circondario.
L’ultima vita dell’immobile situato sul lato ovest del campo è legata alle attività dell’OCRAD (Organismo Culturale Ricreativo Assistenza Dipendenti) della Regione Veneto, ma come molti edifici veneziani anche questo nel corso dei secoli è stato molte cose. Nato come teatro anatomico della città, poi andato a fuoco, nel corso dei secoli ha ospitato: la biblioteca e l’archivio del Collegio dei Medici e Chirurghi veneziani, la prima scuola di ostetricia in Italia, un deposito di materiali edili, una taverna, la sede dell’Arcigay, ed infine l’ufficio regionale infrautilizzato che si citava poc’anzi. La Regione Veneto da tempo aveva inserito la proprietà nella lista dei beni alienabili: più volte messa all’asta senza successo, il 21 settembre 2017 è finalmente stata venduta, con trattativa privata, ad un imprenditore locale, proprietario di grandi catene di supermercati, il quale sin da subito ha mostrato l’intenzione di volervi aprire l’ennesimo ristorante. Senonché, pochi giorni dopo la firma del preliminare, un gruppo di cittadini è riuscito ad entrare nell’immobile ed a riaprirlo: e così i locali dell’Antico Teatro Anatomico, più noto a tutti come Vida (“vite” in dialetto, dalla frasca che incorniciava l’entrata dello stabile ai tempi della taverna), si sono trasformati in un centro comunitario autogestito.
Quest’azione è stata rivendicata sulla base di due presupposti. Innanzitutto, un dato oggettivo: il piano regolatore della città di Venezia prevede che l’immobile in questione possa avere esclusivamente un uso socio-culturale, e non commerciale o ricettivo: per poter svolgervi attività di ristorazione occorrerebbe quindi che l’amministrazione comunale – e non quella regionale, che non ha competenze in materia – autorizzasse un cambio di destinazione d’uso. Subodorando la sorte che sarebbe potuta toccare a questo luogo, ovvero l’implacabile riconversione in spazio orientato al turista, un gruppo di associazioni e comitati locali, di cui fanno parte alcuni tra i membri più attivi della comunità creatasi intorno alla Vida, già nel 2015 avevano avanzato delle proposte alla Regione per dotare questi spazi di contenuti culturali di interesse pubblico. Non hanno mai ricevuto risposta.
Il secondo presupposto ha carattere più etico, e scaturisce dalla convinzione che chi governa la cosa pubblica, a qualsiasi livello, lo faccia non in quanto detentore a priori di tale autorità, ma perché ne è stato investito direttamente – tramite il voto – o indirettamente – poiché designato da rappresentanti eletti – dai cittadini. In base allo stesso principio, i beni chiamati pubblici non sono da considerarsi tali in quanto proprietà della pubblica amministrazione, ma della cittadinanza, che ne ha semplicemente delegato la gestione agli organi istituzionali. In questo senso, la Regione non avrebbe l’autorità morale per vendere uno stabile reclamato già da tempo dai cittadini. E’ su questa base che i protagonisti di quest’azione non l’hanno mai intesa come un’occupazione, cosa che dal punto di vista strettamente legale è – di fatti le denunce penali non si sono fatte attendere, ed il processo è già in corso – ma piuttosto come una restituzione legittima alla città di un bene che le appartiene e che non deve essere alienato.
La riapertura dell’Antico Teatro di Anatomia ha rappresentato la comparsa di un scenario inedito in città: uno spazio ad accesso libero e gratuito – niente tessere associative né eventi a pagamento – suddiviso in cinque ambienti a funzionalità variabile, una sorta di contenitore disponibile alle proposte della cittadinanza, dove chiunque poteva proporre un’attività – teatro, danza, letture, musica, dibattiti – in nome della piena condivisione dei vissuti e dei saperi. Questo spirito di apertura ha reso la Vida una realtà trasversale, intergenerazionale, ibrida, facendo sì che sin da subito venisse popolata di persone di età, estrazioni sociali ed affiliazioni diverse, che qui hanno trovato una risposta alla palese mancanza strutturale di luoghi di aggregazione alternativi alla strada o all’osteria. L’entusiasmo con cui è stato accolto quest’esperimento di gestione dal basso, e le energie sociali che grazie ad esso si sono attivate, parlano di un forte bisogno di partecipazione e di coinvolgimento in iniziative collettive, che poi è il miglior modo, forse l’unico rimasto in questa città, per sentirsi cittadini attivi. Ne è dimostrazione il fatto che, quando a novembre – a ridosso dello scadere del periodo durante il quale si sarebbe potuto esercitare il diritto di prelazione, che nessuna istituzione pubblica ha tuttavia reclamato – l’erogazione di luce e riscaldamento è stata interrotta da remoto, pensando che questo sarebbe bastato a convincere gli “occupanti” a sbaraccare, ciò non è avvenuto. A lume di candela, tirando avanti con stufe a gas, la programmazione è proseguita per tutto l’inverno.
Lo sgombero è sempre stato nell’aria, del resto l’ingiunzione della questura a liberare i locali era arrivata quasi subito; la campagna elettorale stava però ritardando l’intervento delle forze dell’ordine. Che infatti si sono presentate puntualmente il 6 marzo, un giorno dopo la chiusura dei seggi. 150 agenti: uno schieramento di forze che da queste parti non si vede quasi mai. Non erano necessario: gli attivisti ed i simpatizzanti richiamati sul posto dal tamtam telefonico non hanno opposto alcuna resistenza e si sono piuttosto preoccupati di mettere in salvo tutti gli oggetti che popolavano la Vida. Che però non è finita, come forse vi starete immaginando, si è solo spostata: in Campo San Giacomo. Mentre i locali dell’Antico Teatro di Anatomia sono ora custoditi 24 ore su 24 da guardie private, la Vida si è subito ricostituita, trasformata ora in un presidio permanente all’aria aperta. Mobili, giocattoli, libri, strumenti musicali, materiali elettronici sono stati in parte smistati in luoghi al coperto nelle vicinanze, in parte sistemati sotto al gazebo che permette a tutt’oggi di continuare con le attività. Per il sabato successivo è stata convocata una manifestazione in sostegno a quest’esperienza così inusuale in una città che pareva oramai rassegnata: un corteo affollatissimo e molto colorato che ha attraversato il centro in rivendicazione di spazi per la cittadinanza e contro la svendita dei beni pubblici.
Poco prima dello sgombero, il dibattito interno ruotava intorno a due assi principali: la sostenibilità economica di un progetto che ha sempre voluto mantenere gli scambi monetari al minimo, e la redazione di un insieme di “regole della casa” per la gestione comunitaria dello spazio. I fatti del 6 marzo hanno comportato un cambio drastico nell’agenda delle priorità: per ovvie ragioni non ci si concentra più sulla gestione interna, ma sull’inevitabile apertura verso l’esterno, inteso qui come il resto della città, di quest’esperimento che non ha mai voluto essere una questione meramente di quartiere. Gli sforzi ora sono indirizzati, da un lato, a fare rete con l’affollato microcosmo delle realtà associative veneziane, che sempre più stanno convergendo verso un corpus di rivendicazioni comuni, legate essenzialmente alla difesa della residenzialità ed alla promozione di politiche di contrasto alla monocultura turistica. Dall’altro, l’esperienza della Vida si inserisce appieno in quella corrente che attraversa tutta l’Italia da alcuni anni, e che si batte per il riconoscimento legale degli usi collettivi dei cosiddetti beni comuni. In questo senso, appare come un passo obbligato in questo movimento di estroversione della Vida l’organizzazione del convegno “L’altro uso: usi civici e patrimonio pubblico”, in programma per il 14-15 aprile, in collaborazione con l’associazione Poveglia per tutti, dedicato nella prima giornata ad usi civici e patrimonio pubblico e nella seconda al fenomeno della turistificazione nelle città italiane.
Tutto ciò non significa tuttavia che la battaglia in difesa dell’Antico teatro di Anatomia sia stata abbandonata: forse non si potrà bloccare la vendita dell’immobile, ma il fronte del cambio di destinazione d’uso resta tuttora apertissimo. Pochi giorni fa l’associazione About, in rappresentanza del movimento attivatosi in favore del mantenimento della Vida nell’ambito del patrimonio pubblico, ha presentato istanza formale al Comune di essere coinvolta in qualsiasi procedimento riguardasse l’immobile in questione, in particolare interventi edilizi ed il suo uso commerciale. Questa azione è parsa necessaria anche alla luce di notizie, circolate sulla stampa locale, secondo le quali gli uffici comunali sarebbero favorevoli a riconoscere la legittimità dell’uso commerciale, che però viene esplicitamente escluso dal vigente piano regolatore, che per quel tipo di unità immobiliare prevede solo usi pubblici esplicitamente elencati: “musei; sedi espositive; biblioteche; archivi; attrezzature associative; teatri; sale di ritrovo; attrezzature religiose”. Questa mossa, che garantisce che nessun atto amministrativo riguardante il suddetto immobile potrà avvenire prescindendo dall’Associazione, rappresenta un ulteriore passo verso il recupero da parte dei cittadini di un’agenzialità troppo spesso sopita o misconosciuta.