L’incontro con l’autentico sulle dating app.
Tra le motivazioni che spingono i turisti a ricorrere a Tinder durante le vacanze – e dunque fuori dalle coordinate spaziali ed esperienziali del proprio quotidiano – emerge la volontà di avere accesso a un’esperienza “autentica” del luogo di vacanza, grazie all’incontro con i membri autoctoni.
Lo swipe è quell’azione che consiste nel trascinare verso destra un profilo che piace. Si tratta di un gesto sempre più comune grazie al successo di Tinder, la location based mobile dating app presente in più di centonovantasei Paesi e capace di agglutinare una comunità digitale internazionale composta da più di venticinque milioni di utenti.
Le dimensioni assunte dal fenomeno Tinder stanno generando un ampio dibattito sulle “conseguenze dell’amore” al tempo delle dating app: dal ricorso all’abusato concetto di “amore liquido” alle critiche alla società “tecnosessuale” dove i legami interpersonali si vedono cannibalizzati e “gamificati” dalle nuove tecnologie che funzionano secondo un sistema di “ricompense intermittenti”, fino a saggi che si interrogano in prima persona sul future sex.
Al di là di tali riflessioni di carattere generale, un elemento di particolare interesse del fenomeno Tinder sembra consistere nella sua capacità di innestarsi all’interno di pratiche sociali e individuali ben specifiche e non strettamente coincidenti con la ricerca di un “appuntamento amoroso” che costituisce la vocazione prevalente della piattaforma. Chi è interessato a riflettere sull’impatto delle nuove tecnologie sugli stili di vita contemporanei, non può dunque trascurare il match – per restare nell’idioletto della app – tra Tinder e il turismo.
Come accade nella maggioranza delle social app – da Foursquare a Hppen –, anche Tinder sfrutta lo strumento della geolocalizzazione, permettendoci di pubblicare la nostra posizione nel mondo. Quando viaggiamo, Tinder ci segue e aggiorna le nostre coordinate geografiche; attraverso la nostra biografia possiamo inoltre comunicare agli altri membri della community ciò che stiamo cercando hic et nunc, nella temporalità sospesa della vacanza. Si tratta di funzionalità ormai ben note, che hanno determinato la popolarità della piattaforma presso un pubblico giovane: secondo i dati del sito americano Statista il 79% degli utenti ha tra i 16 e i 34 anni. Funzionalità che fanno di Tinder un potenziale player dell’industria turistica a tutti gli effetti, assegnandogli la possibilità di incidere decisivamente – alla pari di altri fenomeni interni al settore, in molti casi definiti “disruptive”, primo fra tutti Airbnb – sulle forme di mobilità fisica e simbolica, nonché sulle forme di costruzione del senso dei luoghi.
I risultati di una ricerca condotta dalla facoltà di turismo dell’Università di Aalborg su un significativo campione di utenti di Tinder sembrano confermare tali impressioni. Tra le motivazioni che spingono i turisti a ricorrere a Tinder durante le vacanze – e dunque fuori dalle coordinate spaziali ed esperienziali del proprio quotidiano – emerge la volontà di avere accesso a un’esperienza “autentica” del luogo di vacanza, grazie all’incontro con i membri autoctoni.
In particolare, lo studio realizzato a Copenaghen, terzo porto di navi da crociera in Europa, mette in evidenza come, di fatto, i turisti intervistati utilizzino ormai Tinder con lo scopo di ottenere tour personalizzati della città e dunque evitare i circuiti turistici più convenzionali. Messaggi come “Message me your favourite hidden gem of Copenhagen” [Svelami i segreti nascosti di Copenhagen ], o “I found somewhere to eat local food over Tinder” [Ho trovato su Tinder dei posti dove mangiare piatti locali], apparsi sui profili analizzati, assegnano al membro di Tinder una competenza speciale sui luoghi, aprendo così una breccia nella filiera dell’intermediazione turistica.
Nel rilevare l’affermazione di un uso turistico della piattaforma, è tuttavia impossibile dimenticare che “l’ambiente-Tinder” è espressamente caratterizzato dalla messa in gioco del desiderio d’incontro, della sfera dell’intimità e della sessualità, che trovano espressione nelle stesse funzioni dell’interfaccia. Basta pensare al like, al superlike (o al nope) che aprono (o chiudono) a una vasta gamma di possibilità: dall’incontro sessuale sporadico alla ricerca della relazione stabile.
D’altra parte – quantomeno dall’epoca del Grand Tour – anche la pratica turistica è del resto caratterizzata da una dimensione esplorativa che porta con sé un desiderio di incontro dell’alterità e che si dispiega in forme molteplici, fino a inglobare esperienze come il safari o il turismo di favela che costituiscono il punto critico di tale tendenza. In modo parallelo e ben più problematico, il turismo sessuale stricto sensu immette la dimensione di voyeurismo rappresentata dallo sguardo del turista “occidentale” nei confronti dell’“altro”, esposto nei luoghi “esotici” di villeggiatura, in pratiche di sfruttamento e di mercantilizzazione dei corpi.
Come si riarticola pertanto questo problematico intreccio tra “desiderio d’incontro” e turismo nello spazio mediale delle dating app? All’interno della ricerca più volte citata, è emerso come nell’ecosistema Tinder sia ben presente una propensione verso il “locale” non priva di implicazioni voyeuristiche, soprattutto laddove uno dei principali criteri di selezione dei profili esposti nella vetrina virtuale di Tinder coincide con il “grado di autoctonia”. Nondimeno, come si deduce dai discorsi dei membri della community analizzati dai ricercatori danesi, Tinder costituisce un ambiente in cui si instaura un rapporto di fiducia tra gli utenti in nome dell’appartenenza a una comunità digitale e dove è prima di tutto la propria community a filtrare l’accesso all’esperienza turistica dei luoghi. Il par hasard dell’incontro amoroso, tematizzata della figura del match, è in realtà frutto di un’accurata selezione di profili e di autorappresentazioni del sé. Allo stesso modo, la “zona di comfort” dell’intersoggettività si riarticola in un’esplorazione geografica nei territori dell’autentico di fatto protetta dagli algoritmi dell’applicazione, che ci assegnano una “guida turistica” che noi stessi abbiamo pre-selezionato.
Sulla base dell’abbozzo di genealogia degli intrecci tra desiderio d’incontro e turismo proposta poco sopra, occorre dunque sottolineare la direzione biunivoca e reversibile dello sguardo che si instaura nello spazio “protetto” della community digitale di Tinder: il turista incontra il residente grazie a un match che non può avvenire senza l’esplicita corrispondenza di quest’ultimo, il quale deve necessariamente manifestare – con uno swipe a destra e un like – il desiderio di incontrare il forestiero. Come a dire che, nella comunità virtuale di Tinder, turisti e autoctoni fanno comunque parte della medesima community ed esprimono in eguale maniera il desiderio di un incontro. Nel momento in cui anche quest’ultimi diventano soggetti dello sguardo e non solo un target, sembrano almeno apparentemente definirsi le condizioni di reciprocità necessarie ad assorbire quella tendenza esotizzante ed estetizzante costantemente in gioco nella pratica turistica.
Non è certo il caso di avanzare proposte interpretative forti o di accennare a una conclusione. Queste riflessioni embrionali vorrebbero piuttosto porre le basi per una ricerca futura capace di ripensare il presunto uso turistico di Tinder in un’ambia genealogia del turismo. Tutto questo, proprio nel momento in cui le grandi “capitali” del turismo europeo sembrano soffrire di episodi di intolleranza dei residenti all’invasione e al saccheggio dei turisti, etichettati dai media come “turismofobia”.
Del resto, è proprio focalizzando l’attenzione su un ambiente mediale come Tinder, dove si esprime a pieno una concezione performativa dello spazio che coinvolge corpi e soggettività, che diventa possibile continuare a indagare ciò che Sheller e Urry hanno definito “new mobilities paradigm”, e dunque analizzare gli interstizi tra le forme dell’esperienza turistica e quelle della vita quotidiana.