Vendersi l’anima a teatro

Intervista ad Angelo Romagnoli e a Gianni Farina sulla seconda tappa del progetto Bianciardi, dedicata alla trasposizione teatrale de “La vita agra”

Abbiamo incontrato Angelo Romagnoli e Gianni Farina della Compagnia Menoventi in occasione dell’incontro Scrivere e R/Esistere in Maremma dopo Luciano BianciardiAi due abbiamo chiesto di parlarci del loro nuovo progetto teatrale su La vita agra.

Massimiliano Coviello: Pamphlet, articoli di sport e costume, romanzi storici e autobiografici: come si fa a mettere in scena l’opera di Luciano Bianciardi?

Angelo Romagnoli: Ci sono molte difficoltà nel mettere in scena la produzione di Luciano Bianciardi. In linea di principio, si potrebbe semplicemente trasporre a teatro i suoi scritti senza cambiare nulla o quasi. Ma ci sono delle caratteristiche che più di altre si prestano ad un lavoro di trasposizione per il teatro. La vita agra, nella fattispecie, è un romanzo che io amo particolarmente per la sua discontinuità. Luciano Bianciardi è un uomo particolarmente discontinuo e questa è una cosa che in me ha sempre esercitato un fascino straordinario. Ne La vita agra si passa da pagina in cui non si capisce dove il protagonista voglia portare il suo cane – per l’aia, appunto – a dei colpi di genio. Con la tendenza a ripetere spesso le stesse cose. Questa ripetitività è un caratteristiche dello stile bianciardiano ma è anche legata alla genesi de La vita agra che è un’integrazione di altre sue opere soprattutto de L’integrazione. Perchè dunque mettere in scena Bianciardi?

La prima parte del progetto Bianciardi è nata due anni fa con la messa in scena di Non leggete i libri, fateveli raccontare – un pamphlet, un divertissement dal tragico epilogo, un decalogo del buon mediocre che vuole arrivare ad avere successo nell’esistenza – con la regia di Francesco Pennacchia. Questo primo lavoro svela un po’ il motivo dell’interesse a mettere in scena Bianciadi. Ossia: Bianciardi è una “psiche divergente” che vive in un periodo, ancora attuale, in cui 250 anni di storia sono stati bruciati in poco più di 25 anni. Il nostro homo novus, l’uomo contemporaneo che consuma e desidera, vive una tensione profondissima con una psiche antica che si perde nella notte dei tempi. Cosa rende moderno Luciano Bianciardi? Il fatto di essere in parte integrato e al contempo di essere un uomo antico e quindi di vivere in maniera ambivalente il contemporaneo. Questo dissidio scatena il conflitto che è sempre presente nelle situazioni descritte, a partire dal famoso annedotto del cappotto trafugato al giaguaro, il direttore Feltrinelli. A ciò si agiunge quella tendenza ad avere costantemente un occhio puntato su di sé che è assolutamente un tratto maremmano.

M. C.: Che cosa racconta Bianciardi e come lo fa?

A. R.: Bianciardi è un uomo che “alza la testa”. Pur provenendo dalle ombre della storia, da generazioni che hanno condotto la vita semplice di campagna, Bianciardi arriva ad essere il primo laureato della famiglia ed ad essere il primo che parla un’altra lingua. Infatti, Bianciardi è stato ufficiale di collegamento per l’esercito italiano dopo l’armistizio e soprattutto è stato uno scrittore capace di attraversare due universi linguistici e due immaginari, quello nostrano e quello anglofono. Ed è un uomo che vive facendo delle traduzioni, un uomo che diventerà un “lavoratore a cottimo della traduzione”. Le sue venti cartelle al giorno sono la misura della sopravvivenza per quell’uomo che si ritrova ad essere inizialmente servo della gleba – come si legge in Non leggete i libri, fateveli raccontare – e alla fine si trasforma in bracciante, stipendiato, salariato che si può licenziare a piacemento, moglie e figli a carico. La questione è di alzare la testa e delle conseguenze che ciò produce. Bianciardi arriva finalmente ad essere uomo di Repubblica, uomo di pensiero, un intellettuale – una parola che non si usa più e sotto certi aspetti a ragione – pur manetenendo dentro di sè il profondo conservatorismo degli umili. In lui sopravvive da un lato la tensione di voler emergere, di venir fuori – con un intelligenza straordinaria e un senso dell’umorismo magnifico – ma dall’altra parte permane il sentimento, quasi inchiavardato nel DNA, che davanti al padrone ci si inchina ovunque ci si sposti. Lucianone porta su di sé proprio la questione dell’essere cittadino di una Democrazia. Il peso, direbbe qualcuno, del passaggio al “principio responsabilità”. Sembra essere colui che incarna le difficoltà del cittadino che tenta di fare il gran salto: dalle umili origini all’uomo ficcato nell’orizzontalità della Democrazia. Naturalmente questo in Italia comporta una grossa mole di difficoltà, essendo l’Italia un paese intrinsecamente gerarchico, un paese in cui ha prosperato la Chiesa Cattolica, un paese che ha inventato il sistema feudale. Bianciardi sembra portare su di sé l’impossibilità di essere in prima in fila, lì per se stessi, di essere effettivamente rivoluzionari. La vita agra comincia con la storia di un crollo, quello della miniera di Ribolla, e con l’idea di una vendetta.

M.C.: Fin qui il racconto dei fatti. Ma cosa c’è di specifico del vostro “mettere le mani” ne La vita agra e nell’“universo psichico” di Bianciardi?

A. R.: La nostra idea è che l’unica possibilità che il nostro Luciano ha per compiere la vendetta è quella di raccontarla è quello di consumare quello che la grande città gli promette. Paradossalmente può vendicare il crollo di Ribolla attraverso il successo. Così, ci siamo ritrovati a pensare che La vita Agra, dal punto di vista teatrale, ha delle omologie con il Faust, nel quale la possibilità di vendetta si realizza attraverso un patto narrativo. Quello che manca ne La vita agra, in questo racconto della vita milanese, è la scrittura stessa della vita agra. I tempi che mancano nella scrittura del romanzo sono i tempi in cui questo romanzo viene effettivamente scritto. Il romanzo tratta invece dei tempi “di vita”, tempi non relamente creativi, quei tempi della produttività milanese. Scegliendo i tempi della produttività, Bianciardi prima e il nostro lavoro teatrale poi costruiscono un’immaginario. Stiamo pensando che La vita agra sia la storia di un bilancio. E di un bialncio si tratta se si pensa che si parte dall’idea di una rivoluzione da fare e si finisce con il contare le venti cartelle quotidiani da tradurre. Significa che il rivoluzionario, l’intellettuale possente e volenteroso di compiere giustizia sociale ha fallito. Ed è per questo motivo che La vita agra fa sanguinare molti. Nella mia esperienza personale mi sono capitati incontri con persone che, trovandomi con una copia de La vita agra, si sono attaccate al mio braccio con tutte e due le mani dicendomi: «Ma questo è il mio romanzo! Io sono andato via da Milano dopo aver letto questo romanzo.». C’è qualcosa di sanguinario ne La vita agra perché si tratta del bilancio di un uomo che non ha perseguito il suo obiettivo fino in fondo, che ha trovato dei pretesti per non arrivare fino in fondo. Ma questa è probabilmente la storia di molti di noi. La storia psichica raccontata ne La vita agra è quella di un’evoluzione incompiuta. È la storia della ricerca di un equilibrio con la sensanzione che tale equilibrio sia farlocco.

A. R.: Sto portando avanti il progetto Bianciardi affidandomi alla collaborazione di altri artisti uno è Francesco Pennacchia per Non leggete i libri, fateveli raccontare e ora lavoro con i Menoventi, perché sono rimasto colpito dal loro ultimo lavoro “L’uomo della sabbia”, la trasposizione di un racconto di Hoffman con un notevole senso scenico. L’unica possibilità di trasporre e tradurre un’opera letteraria a teatro è quella di comprendere quali sono le forze soggiacenti al racconto. Non si può pensare di fare un omologo, bisogna fare una reinvenzione. Un secondo elemento che mi ha avvicinato ai menoventi riguarda il legame biografico con le rispettive terre d’origine. Veniamo da zone d’Italia simili, Gianni Farina proviene dalla Romangna fiorentina, una terra dove i sentimenti anticlericali e le lotte politiche sono molto forti. Un po’ come l’Amiata che è la terra da cui provengo.

M. C.: Gianni, tu sarai il regista de La vita agra.

Gianni Farina: Io non conosco la Maremma ma la scopro anche grazie ad occasioni come questa [la tavola rotonda]. Sull’Amiata, quando Angelo ci ha invitati, c’era la nebbia e quindi con il giosto spirito ci siamo accostati al lavoro sul Faust. L’associazione non è immediata, ma si trovano piccoli segnali di un retroterra mercuriale nell’opera di Bianciardi, come quando dichiara, n Aprire il fuoco, di leggere al bagno dei testi esoterici. Non è certo questo il motore dell’accostamento tra le due opere, ma è divertente pensare che si dilettasse – durante un momento così importante per lo scrittore maremmano, come ribadisce ironicamente in molte opere – di esoterismo e misticismo. Io mi occuperò della regia de La vita agra. Due sono gli elementi che mi avvicinano alla forma bianciardiana. La prima è l’ironia: la vita è agra, ma l’agro di Bianciardi, pur nella sofferenza, è allegro come accade ai “Felici pochi” raccontati da Elsa Morante, spesso l’agro è ironico, anche cinico come solo un maremmano può esserlo: un cinismo sano, irresistibile. Il secondo elemento che mi avvicina il lavoro di Menoventi a Bianciardi è l’ostinazione, nel senso musicale del termine “ostinato”. Bianciardi ripete le stesse parole e non solo i concetti: le segretariette , il contare i soldi, ecc… Come La vita agra, anche tutta la seconda parte del Faust è incentrata sul tema del denaro e il denaro è uno degli strumenti principali per convincere il nostro Fausto Bianciardi a vendere l’anima, a firmare un Contratto Sociale con il Diavolo e con il resto del mondo. Proveremo a stravolgere La vita agra attraverso Faust per farne una traduzione che possa reggere su un pezzo di legno e non su un foglio di carta. Per ora abbiamo solo questa fusione, ma non è poca cosa.


Angelo Romagnoli / Gianni Farina
La Vita Agra
liberamente ispirato a La vita agra di Luciano Bianciardi
testo di Angelo Romagnoli e Gianni Farina
con Consuelo Battiston, Angelo Romagnoli
regia Gianni Farina
costumi Marco Caboni
produzione La Corte Ospitale

debutto previsto: gennaio 2014

La vita agra è la storia di un rivoluzionario vittima delle circostanze. Un uomo parte per la grande città per scatenare la rivoluzione e vendicare i suoi compagni morti nel crollo di una miniera. Per sfortuna e indolenza, finirà prigioniero del proprio appartamento, annullandosi nel conteggio degli spiccioli necessari per arrivare a fine mese. La grande città lo mastica e lo sputa nella schiera infernale dei superflui, condannati a trovarsi un motivo di dignità e a difendere l’indifendibile inutilità del loro lavoro. Anna, compagna rivoluzionaria, condivide con lui la solitudine di un mondo di ectoplasmi e come lui si ammazza per trovare qualche soldo per sopravvivere con il lavoro della traduzione. La prospettiva dell’attentato si allontana, ma l’imperativo di fare giustizia è sempre lì. Il nostro protagonista ha bisogno di credere che un giorno forse non troppo lontano si arriverà a una rivoluzione ‘disattivistica e copulatoria’, un’utopia dal sapore agricolo in cui si smetterà di produrre per vivere l’amore libero e la libertà senza padroni. Come Faust, ambisce a una nuova umanità chiamando a sé fantasmi letterari tra cui il suo ‘mercuriale’ Mefistofele che lo condurrà in un viaggio onirico e ambiguo, degno della commedia all’italiana più feroce, a specchiarsi in se stesso. Tratto dal capolavoro di Luciano Bianciardi, reso celebre dal film di Carlo Lizzani, La vita agra è il romanzo in cui più generazioni trovano la loro paura del presente e del futuro e in cui riconoscono la loro incapacità di agire sullo stato delle cose.

Per la prima volta Angelo Romagnoli e Gianni Farina, insieme a Consuelo Battiston, dei Menoventi, incrociano i loro percorsi artistici in un lavoro di restituzione teatrale di un capolavoro della letteratura del ’900.

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