Una serie di interviste a cura di Chiara Zanini sulla legge di riforma del cinema e dell’audiovisivo.
Chiara Zanini: Dopo aver incontrato lo scorso 3 dicembre la senatrice Rosa Maria Di Giorgi (PD), prima firmataria del disegno di legge sul cinema in discussione presso la Commissione Cultura, il sindacato dei critici cinematografici ha scritto su invito della stessa deputata un documento che riporta le osservazioni emerse. Un testo senz’altro utile per chi già conosce bene la materia e che ci ha spinto a chiedere al presidente del SNCCI Franco Montini di spiegare quali siano le maggiori criticità del DDL attuale.
Franco Montini: In questo momento i fondi sono per la maggior parte destinati alla produzione e non a agli altri settori della filiera cinematografica che ne avrebbero più bisogno. Molti dei film prodotti non trovano poi un vero confronto con il pubblico. Non arrivano cioè nelle sale, o ci arrivano in poche copie. Bisognerebbe quindi innanzitutto riequilibrare gli interventi statali, concentrandoli non solamente sulla produzione. Fornendo cioè adeguato sostegno anche alla distribuzione, e ancora di più agli esercenti, che rappresentano in questo momento il segmento più in difficoltà. Il meccanismo attuale finisce invece per aiutare soprattutto quelle operazioni di film che sono già sufficientemente garantite, perché le maggiori risorse vengono date a film che hanno alle spalle produttori importanti o un broadcaster (ossia un’emittente tv) che li sostiene. Di conseguenza anche le case di produzione si trovano poi a finanziare film già forti e in condizione di sfidare il mercato. Mentre film minori che non hanno alle spalle queste garanzie, che hanno regia e cast meno noti non godranno di sufficiente visibilità sul mercato. Date queste condizioni i film che hanno un grande budget riescono a fare grandi incassi, mentre quelli che hanno un piccolo budget di solito non riescono. E questo succede anche per un altro motivo: non ci sono più nemmeno i tempi necessari per un passaparola tra il pubblico, quello che un tempo rendeva sorprese commerciali alcuni piccoli film. Oggi invece è tutto talmente rapido che chi non arriva sul mercato con 200 o almeno 100 copie è già condannato a incassi molto modesti.
C. Z.: Come è capitato a Bella e perduta di Pietro Marcello, per fare un esempio?
F. M.: Sì, e ad altri. Bella e perduta è un bellissimo film e peraltro come critici l’abbiamo segnalato. Nel suo caso ci sono però responsabilità anche da parte del distributore, che l’ha portato al Festival di Locarno ma l’ha distribuito solo tre mesi dopo, vale a dire in un periodo di grande concorrenza nelle sale. Al di là delle poche risorse, a volte nella politica distributiva c’è irrazionalità. Per le produzioni italiane, in particolare, ci sono periodi di grande intasamento che causano un eccesso di concorrenza, e poi ci sono periodi di assoluta assenza di prodotti. Se fosse uscito tra agosto e settembre, Bella e perduta avrebbe probabilmente avuto un esito migliore, perché quello è un periodo con meno concorrenza. Al di là di questo non c’è dubbio che tutta una serie di film meritevoli non riescono ad intercettare il pubblico e ottengono risultati modesti, inferiori al loro valore e alle loro possibilità.
C. Z.: I finanziamenti da parte dello Stato vengono ora nuovamente decurtati.
F. M.: Questo viene spesso giustificato con il fatto che sono state già messe in atto forme di sostegno indiretto, come ad esempio il Tax Credit. Ma queste forme di sostegno indiretto vanno ancora una volta a vantaggio delle grandi produzioni, perché se c’è un film di un grande autore o c’è una commedia commerciale attrattiva le industrie esterne al settore vorranno di investire su questi piuttosto che su un film d’autore sconosciuto. Ancora una volta a tutto vantaggio di film già sufficientemente garantiti.
Va detto che ci sono state anche misure positive, ad esempio l’obbligo di inserire i film italiani nei palinsesti televisivi. Questo avrebbe dovuto favorire il cinema italiano recente, ma è stato aggirato programmando film sì italiani, ma datati, e non i più recenti che ne avrebbero dovuto beneficiare.
C. Z.: E per quanto riguarda le opere prime e seconde? Qualcuno suggerisce di stabilire delle quote annuali.
F. M.: Sarebbe difficile farlo. Di certo chi si affaccia in questo settore incontra delle difficoltà nel reperire risorse per il proprio film. Un autore fatica anche tre o cinque anni per fare un film, e dovrà farlo di nuovo per la sua seconda regia. Questo di certo non aiuta il ricambio generazionale che sarebbe auspicabile. Opere prime se ne fanno, per qualcuno anche troppe. Quello che è certo è che non hanno ad oggi le risorse per essere competitive.
C. Z.: Anche a causa dello strapotere di personalità influenti?
F. M.: Più che altro oggi è difficile realizzare un film senza l’appoggio di una televisione, sia essa pubblica sia privata, e liberare il cinema italiano da questo ricatto delle televisioni. Sarebbe importantissimo riuscirci, vorrebbe dire più concorrenza sul mercato e più libertà espressiva. Ma si tratta di un meccanismo in cui tutto è collegato. La legge in vigore sul cinema è del 1965, e nei successivi cinquant’anni è cambiato tutto: sono cambiate le tecnologie e anche il modo di consumare il film. All’epoca per fruire i film esistevano solo le sale, mentre ora ci sono le televisioni, Internet e le sale. Ma noi abbiamo ancora quella legge a governare. Va riformato tutto il sistema, e data la situazione ovviamente ci sono poteri forti che raccolgono i maggiori frutti di questo meccanismo.
C. Z.: Come Sindacato come considerate i nuovi modi di fruire il cinema?
F. M.: Per noi il modo migliore per vedere i film rimane andare al cinema, tuttavia se ad esempio un film esce in sole venti copie significa che in tutta Italia lo si potrà vedere in meno di venti città, perché probabilmente alcune di quelle copie sono concentrate a Roma e a Milano. E tutti gli altri devono aspettare di veder quel film solo 18 mesi dopo? Si può allora considerare l’idea di una liberalizzazione dell’uscita anche in prima battuta. Per quanto riguarda gli esercenti andrebbero ad esempio ridotte tutta una serie di tassazioni che oggi gravano sulle sale: non solo l’ICI, ma anche la tassa sui rifiuti, pagata in base alla volumetria del locale. Un cinema ha una volumetria molto alta ma produce meno rifiuti di un ristorante molto più piccolo che paga molto meno. E una parte delle risorse del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) andrebbe messa a disposizione degli esercenti per ristrutturazioni e nuove aperture. Sono davvero dei capitani coraggiosi tutti coloro che in questo momento aprono delle sale, o le rinnovano, o le tengono aperte. Ci sono zone d’Italia con molti schermi e altre dove i cinema non esistono più. Sarebbe stato opportuno varare una legge per dare i permessi delle sale in certe zone più che in altre. Perché un imprenditore oggi è convinto di rischiare molto meno se costruisce una sala a Roma piuttosto che in provincia di Caserta, dove pensa che non potrà avere una sala competitiva. I multiplex hanno di fatto trasferito il pubblico dalle vecchie sale alle proprie, e non poteva che essere così dato che sono stati costruiti nelle zone dove i cinema esistevano già.
C. Z.: La nuova legge terrà in considerazione il fatto che le donne registe sono una percentuale bassissima rispetto ai colleghi uomini? Guardando all’ultima annata farei l’esempio di Laura Bispuri, che con Vergine giurata ha ricevuto più premi di chiunque altro.
F. M.: Beh, ci sono anche tanti registi uomini premiati. Se in Italia ci sono meno registe donne in confronto ad altri Paesi dipende purtroppo da ragioni socio-culturali, infatti lo stesso accade negli altri settori. Non vorrei che se ne facesse una questione di quote rosa. Semplicemente perché se il cinema italiano fosse messo nelle condizioni di lavorare meglio ci sarebbe più spazio per tutti, e quindi anche più spazio per le donne.