Notturno Tuena

Filippo Tuena torna in libreria con due titoli: la riedizione di un romanzo di venti anni fa e una nuova ed eclettica opera di tema shakesperiano. Un’introduzione ai due libri.

Qui fra le pagine del lavoro culturale è già apparsa una ricognizione generale della letteratura di Filippo Tuena: è il caso di riprendere l’argomento, perché in questi ultimi tempi sono apparsi due suoi nuovi libri, una riedizione e una nuova opera. E, per coincidenza (no, non è vero, le coincidenze non esistono), sono entrambi libri di tema profondamente notturno. Il primo è Cacciatori di notte (Corrimano), che torna in libreria dopo venti anni; il secondo è il nuovo Com’è trascorsa la notte. Il sogno (Il Saggiatore). Questa concomitante pubblicazione e ripubblicazione ci danno la possibilità di osservare la parabola dell’opera complessiva di Tuena, per come si è delineata finora.

Entrambe opere profondamente notturne, dicevamo. In effetti quello della notte è un tempo propizio per la capacità di Filippo Tuena di mettere sotto una luce soffusa ma allo stesso tempo decisa i cantucci più intimi della memoria.

Cacciatori di notte è uscito la prima volta nel 1997 per Longanesi. Ora è tornato in libreria leggermente rivisto e con un’interessante nota finale. La storia si svolge negli anni Sessanta. Inizia con il protagonista che, nel treno che lo sta portando dalle parti di Anzio, incontra uno sconosciuto che ha voglia di raccontargli una vecchia storia e che, fra un discorso e l’altro, gli rifila per un prezzo modesto un revolver con la canna argentata incisa, il calcio in madreperla modellato a forma di testa di lupo, scene di caccia a predatori notturni intagliate nel manico e due pallottole d’argento: di quelle che si usano per andare a caccia di licantropi. Esatto.

Leggendo Cacciatori di notte torna in mente Haarman. Storia di un lupo mannaro (Adelphi, tradotto da Rossana Sarchielli), libro del 1925 dove Theodor Lessing ricostruisce la vicenda di un pluriomicida tedesco con abitudini che lo rendevano molto facilmente paragonabile a un licantropo. Il notevole incipit: «In questa storia non si ode lo stormire delle fronde, il fremito delle foreste. Non spunta un fiore, non occhieggia una stella a recare conforto. Ciò che anche si presenta ai nostri occhi è il ritratto cupo e desolato di un’umanità di cavernicoli, reietta dagli dèi della natura, per la quale anche la cosa più gioiosa e sacra che regna nel cosmo, la naturale forza creatrice dell’amore, è degradata a delitto e malattia, a vizio e perversione».

Ma non è Theodor Lessing ad aver ispirato Tuena; il responsabile principale ce lo svela lui stesso nella nota finale alla nuova edizione del libro: «L’idea mi venne ascoltando e riascoltando forse la più bella canzone dei R.E.M. – Night swimmingNightswimming deserves a quiet night / The photograph on the dashboard, taken years ago… Una notte d’estate, vecchie fotografie, un’atmosfera di rimpianto…» E sono in effetti questi gli elementi principali a emergere dalle pagine di Cacciatori di notte, benché si tratti di una “semplice” cara vecchia storia di licantropi.

Anche per descrivere la lingua di Cacciatori di notte vale la pena riprendere quello che scrive Tuena in fondo a questa nuova edizione: «Un critico allora disse: scrittura polverosa. Era, effettivamente, quella che volevo». Era forse un modo, piuttosto sgraziato, di descrivere una lingua che si adattasse a una storia di quel tipo, e la lingua di Tuena è una lingua di rara capacità mimetica. Eppure è un gran bel complimento, “polveroso”. Lo è per chi – come chi scrive, per esempio – quando visita una città va sempre in cerca dei suoi musei e luoghi più “polverosi” (polverosi nel modo giusto, ben inteso); lo è per chi ritiene che percepire polvere in un libro significa avere un primo e affidabile indizio di un certo tipo di densità di quel libro; e lo è per chi, quando sente dire “polveroso”, ha ben presente che la polvere, se agitata e osservata attraverso un raggio di sole o un qualunque altro fascio di luce, mostra una vitalità gioiosamente frenetica.

Cacciatori di notte è il secondo di due libri in cui Tuena si è misurato con il sovrannaturale, per così dire. Il primo era Il volo dell’occasione, dove facevano la loro comparsa dei fantasmi (sempre che l’espressione “fare la comparsa” funzioni anche con i fantasmi). Dopo Cacciatori di notte, Tuena avrebbe imboccato un’altra strada, che lo avrebbe portato a libri strepitosi quali Ultimo parallelo. E quella strada ora è arrivata a Com’è trascorsa la notte. Di che si tratta?

Per cogliere meglio la struttura e il calore tutto particolare di Com’è trascorsa la notte, immaginiamo di trovarci in una grande sala – possibilmente di un palazzo elisabettiano o di «una villa fuori città» – e, affollati in cerchio attorno a te, lettore o lettrice, gli attori di una compagnia alle prese con il Sogno di una notte di mezza estate, la loro costumista, vari artisti che nella loro carriera si sono ispirati a quella commedia per dipinti e illustrazioni, il compositore e astronomo William Herschel, Sigmund Freud e colleghi, varie altre figure che hanno avuto più o meno direttamente a che fare con il Sogno, oltre al narratore, all’autore e a colei che lo accompagna. Gli attori e le altre figure raccolte attorno a te in quella sfarzosa sala parlano a turno. Gli attori recitano la commedia, nella riscrittura dell’autore: a te, lettore o lettrice, decidere se per “autore” qui s’intenda Tuena o Shakespeare. Del resto sono legittimati dal fatto che, come ci dice Stephen Greenblatt nella sua biografia del capocomico di Stratford-upon-Avon, «Shakespeare scriveva per il teatro non come avrebbe scritto un poeta, ma come un attore».

Poeta o attore che sia, ogni tanto il testo s’interrompe e tu, lettore o lettrice, se drizzerai le orecchie potrai sentire gli attori fare riflessioni e pettegolezzi sui loro rapporti al di fuori del palcoscenico, sempre che esista la possibilità di un altrove rispetto alla scena. E potrai sentire alcune delle persone presenti fare dotte e godibili disquisizioni sulla storia di quella commedia, delle peripezie del testo di Shakespeare prima di arrivare fino a noi e di alcune delle sue più celebri rappresentazioni. E parte di quelle disquisizioni riguarderanno le rappresentazioni artistiche delle scene del Sogno e dei suoi personaggi, oppure dei risvolti psicanalitici di quello che nel Sogno avviene e non avviene. La commedia viene smontata e rimontata, discussa e talvolta ignorata, esaltata e messa in discussione, incarnata e dissolta. A te, lettore o lettrice, va il privilegio – e la responsabilità (perché i lettori non ne sono mai esenti) – di spostare, rafforzare o togliere le transenne che separano la zona della rappresentazione della commedia di Shakespeare da quella degli intrecci fra gli attori che la rappresentano, da quella di tutti coloro che con quella commedia hanno avuto a che fare pur non essendo attori, da quella di tutte le biografie intime degli spettatori che al Sogno hanno assistito nei teatri di tutti i tempi e tutti i luoghi e, infine, dalla quella della tua, lettore o lettrice, biografia intima di spettatore e di persona tremendamente esposta a quegli stessi sentimenti che, insieme allo scompiglio del folletto Puck, provano i personaggi di quella commedia e i personaggi di questo nostro mondo. È lo stesso mondo che con un telescopio potremmo scorgere se potessimo andare in villeggiatura in uno di quei tre satelliti di Urano osservati per la prima volta l’11 gennaio 1787 dal musicista e astronomo William Herschel, che li chiamò nel modo più opportuno, ovvero con i nomi di tre personaggi del Sogno di una notte di mezza estate: Oberon, Titania e Puck. Ed è da lassù, cioè da circa 2.850 milioni di chilometri da qui, che tu, lettore o lettrice, prima di cedere al sonno e coricarti potrai osservare con un telescopio le piccole vicende di umani che s’inseguono e si allontanano e s’inseguono di nuovo e s’allontanano di nuovo, per poi risvegliarti l’indomani mattina e, nello stiracchiarti, ripensare agli andirivieni frenetici di quei piccoli umani e chiederti: chissà poi com’è trascorsa la notte.

(E, visto che Tuena, nella sua nota alla nuova edizione di Cacciatori di notte, si è permesso di svelare la canzone che lo ha ispirato per quella storia, allora mi permetto anch’io di dire qual è la bella e spietata canzone a cui Com’è trascorsa la notte mi ha fatto pensare spesso, io lettore nella sfarzosa sala insieme a tutta quella gente loquace. È quel verso della canzone Hail, Hail dei Pearl Jam che tanto mi ossessiona e mi atterrisce – con quel“hail” che tanto sa di timore e gerarchia – quando Eddie Vedder canta: Hail hail the lucky ones, I refer to those in love).

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