Multisegnalazioni #6

Nuova puntata di suggerimenti di lettura a cura di Alberto Prunetti.

Alberto Prunetti Multisegnalazioni 6

 

Una nuova carrellata di Multisegnalazioni, a partire dell’ipotesi di un socialismo interstellare (nelle foto, la celebre partita a scacchi tra Bogdanov e Lenin nella residenza di Gorkij a Capri).

Wu Ming, Proletkult, Torino, Einaudi, 2018, pp. 333, euro 18,50

What if? E se… e se la rivoluzione russa avesse preso un’altra piega? Se al posto della pianificazione industriale centralizzata ci fosse stata l’autogestione operaia. Se il partito non avesse spazzato via il proletkult, quel cantiere di cultura proletaria che aveva lo stesso numero di iscritti del partito bolscevico. Se il realismo non fosse diventato il dogma da incensare e il costruttivismo espressionista avesse potuto continuare a produrre capolavori. Se la rivoluzione invece di essere leninista fosse stata bogdanovista… Forse la storia avrebbe preso una piega diversa da quella amara dell’Unione sovietica stalinizzata. Forse Kronstadt non sarebbe stata distrutta, il movimento maknovista avrebbe fondato scuole libertarie in Ucraina e l’internazionale socialista si sarebbe allargata a mezza galassia, perché la rivoluzione deve essere fatta in ogni pianeta. O almeno è quello che ho sognato negli interstizi bianchi delle righe di questo libro di fantascienza dei Wu Ming. Che non si spinge così avanti nell’ucronia ma anzi risulta realista, iperrealista, al punto da farci sentire gli sbadigli di Lenin mentre perde una partita celeberrima a scacchi contro Bogdanov, sotto lo sguardo compiaciuto di Gorkij. Bogdanov, chi era costui? Un tempo per Lenin era stato amico e compagno di partito, di rapine e di esilio. Poi avversario, bersaglio critico, al punto che Lenin gli tolse il titolo di compagno forse perché ne temeva l’ombra. Personaggio affascinante, rivoluzionario, traduttore di Marx, autore di un libro di fantascienza sovietica, Stella rossa, fondatore di scuole operaie, animatore del movimento Proletkult e direttore di un istituto di trasfusione che doveva servire a placare le fatiche della burocrazia di partito, contribuendo al tempo stesso a una comunione surrealista di vasi sanguigni, un socialismo delle arterie. È il protagonista, tra tanti, dell’ultima fatica dei Wu Ming, un’opera che non è propriamente antileninista, anche se Lenin appare come il villain di turno, perché il racconto è tutto dentro il flusso di coscienza dell’autore di Stella rossa. Ma è un libro che lascia l’amaro in bocca, perché sappiamo come è andata e come poteva andare. I sogni si sono spezzati e la barca dell’amore si è infranta contro il quotidiano. L’alieno Gagarin, che non compare in questo romanzo, è arrivato troppo tardi ed è ritornato subito verso il suo pianeta. O almeno, a me è sempre piaciuto raccontarla così. (Su questo libro torneremo in futuro).

The Passenger, Olanda, Milano, Iperborea, 2018, pp. 192, euro 19,50

Il primo numero della rivista The Passenger è stato un successo editoriale. Il secondo numero è dedicato all’Olanda e risulta essere un prodotto di fattura molto apprezzabile. L’approccio monografico in realtà è interpretato con articoli di taglio diverso, di giornalismo narrativo in genere, che coprono alcuni dei principali label semantici collegati ai Paesi Bassi, approfondendo punti di vista che di solito non rientrano nelle guide turistiche mainstream: in questo caso il calcio, gli squat, la destra xenofoba, il colonialismo, il rapporto con l’acqua, il paesaggio e l’agroalimentare. Molto bello il corredo fotografico e le infografiche. Un’altra perla nel catalogo di Iperborea.

Marino Magliani, Prima che te lo dicano altri, Milano, Chiarelettere, 2018, pp. 330, euro 17,50

Dopo una serie di libri in auto-fiction in cui Magliani, da ottimo flâneur, tracciava la sua geografia emotiva olandese, arriva questo romanzo in cui l’autore torna a triangolare tra Liguria e Argentina (con solo qualche lieve riverbero olandese sullo sfondo, stavolta). Un romanzo che parte nello stile fluviale di Haroldo Conti, di cui Magliani è stato il traduttore, con carrugi terrestri a sostituire le vie acquatiche del delta del Paranà, e termina con timbri da thriller, alla maniera di Carlotto e di Miguel Bonasso. Bello, nello stile di un altro romanzo di Magliani che ho molto apprezzato, ossia La spiaggia dei cani romantici.

Arthur Cravan, Grande trampoliere smarrito, Milano, Adelphi, 2018, pp. 195, euro 13, trad. di Maurizia Balmelli e Nicola Muschitiello, a cura di Edgardo Franzosini

Dai tempi di Tre suicidi contro la società, antologia dedicata ai poeti suicidi dell’Arcana, edizione ormai introvabile in cui figuravano le poche traduzioni italiane di Arthur Cravan, ne è passata di acqua sotto i ponti. Meritava quindi una nuova e accurata edizione l’opera di questo gigantesco e goffo poeta dadaista, maestro dell’invenzione di se stesso, autore di beffe pazzesche, disertore della Prima guerra mondiale, personaggio alla Jack London, pugile amatoriale amico di Jack Johnson, il campione mondiale dei pesi massimi con cui Cravan inventò beffe come uno pseudo-combattimento dei pesi massimi finito in farsa. Abile a inventarsi mille identità – ladro d’appartamenti, aristocratico, tagliaboschi, pescatore di balene nei mari del nord, nipote di Oscar Wilde – Cravan è un prodotto del nichilismo dada più estremo e autentico, come ebbe a dire su di lui Raoul Vaneigem. Scomparve nel Golfo del Messico in partenza verso i Caraibi o l’America del Sud, dopo aver scritto lettere tristissime all’amata Mina Loy. Ma ricomparve ne L’antologia dello humor nero di Breton e da allora risplende nel firmamento surrealista.

 

Juan Cardenas, Ornamento, Roma, Sur, 2018, pp. 135, euro 15, trad. di Chiara Muzzi

Ricorda in parte la serie tv Maniac o la fantascienza realistica di Dormire al sole di Bioy Casares, Ornamento di Cárdenas, nella tradizione latinoamericana apprezzabilissima del “cuento” lungo (o se vogliamo del romanzo breve). A dimostrazione che uno “spietato realismo” può essere più weird del fantastico.

Simone Fana, Tempo rubato. Sulle tracce di una rivoluzione possibile tra vita, lavoro e società, Reggio Emilia, Imprimatur, 2018, pp. 202, euro 16,00

Le mie letture marxiste sono sempre state un po’ bizzarre: ho conosciuto Marx tramite le letture libertarie ed eretiche di Debord e Vaneigem, che lo mescolavano con Rimbaud e Lautréamont. Peggio ancora: ho letto marxisti eccentrici come Camatte, che ibridava Bordiga con l’etnografia del paleolitico e le pulsioni naturiste dell’Homo Gemeinwesen. Insomma, sono un novello dell’economia, foss’anche quella critica e radicale dei marxisti. Sono grato a Simone Fana per il suo lavoro, che col saggio sul tempo rubato, sul tempo morto del lavoro ridotto a profitto, mi riporta per un po’ coi piedi sulla terra mentre io vago sulla testa, da socialista fieramente utopista. Un testo profondo, analitico, denso, di un rigore che non sembra quello della nostra epoca. Una lezione di metodo e complessità nella migliore tradizione dell’operaismo italiano. Ovviamente io continuerò a inseguire i miei socialismi libertari e utopici alla Fourier, ma libri come questi servono a interpretare il reale, per poi capovolgerlo. E poi quel che conta è sparare assieme contro gli orologi, come gli insorti della comune di Parigi del 1871.

 

Quella delle multisegnalazioni editoriali di Alberto Prunetti è ormai a tutti gli effetti una rubrica. Qui la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta multisegnalazione uscite su il lavoro culturale.

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