Multisegnalazioni #2

La seconda uscita della rubrica di multisegnalazioni editoriali a cura di Alberto Prunetti.

Julio Cortázar, Il giro del giorno in ottanta mondi, Roma, Sur, 2017, pp.329, euro 18,00, traduzione di Eleonora Mogavero

Forse è il libro di Cortázar che amo di più dopo  Storie di cronopios e di famas. Un libro bricolage, un ibrido fatto per star fuori da ogni genere, umoristico e poetico, d’avanguardia eppure pop, ispirato in parte al dadaismo, in parte agli almanacchi popolari che un tempo leggevano i contadini, con ricette e illustrazioni e storie curiose. Leggetelo senza un ordine preciso: da qualsiasi parte attacchiate questo congegno narrativo, vi terrà come una ragnatela nell’ordito delle sue trame. Tra letteratura d’avventura, realismo magico e strutturalismo, con un sottofondo jazz, saltando da un concerto cronopio di Louis Armstrong a una disquisizione di criminologia patafisica su Jack the Ripper fino a uno studio su Paradiso di Lezama Lima e a un divertissement sul maestro Carlos Gardel. Ognuno di questi è un mondo e ce ne vogliono ottanta per fare un giorno da cronopio.

 Jonathan Lee, Il tuffo, Roma, Sur, 2017, pp. 446, euro 18,50, traduzione di Sara Reggiani

Buona penna e grande capacità di restituire la profondità psicologica dei personaggi. Colpisce sicuramente la figura di Moose, una figura tipica della narrativa inglese, il talentuoso sportivo che sfiora il successo per un soffio e finisce per condurre una vita grigia, in cui brilla solo l’affetto, ricambiato, per la figlia adolescente, Freya, altro personaggio costruito con grandi qualità di analisi psicologica. Poi entra in scena Dan, elettricista irlandese esperto in congegni esplosivi. Sono i tre personaggi di finzione che l’autore fa convergere dentro al Grand Hotel di Brighton, allorché l’IRA nel 1984 fece esplodere una bomba nel tentativo di uccidere il primo ministro Margaret Thatcher. La narrazione corre in parallelo, quasi in contrappasso, la violenza colpisce l’intimità dei personaggi. Tecnicamente è un bel romanzo. Politicamente, rimane il dubbio che la narrazione in parallelo ponga in bolla due pesi che in realtà non si equivalgono: il dramma della violenza inflitta ai repubblicani irlandesi è stato molto più profondo di una casa familiare data alle fiamme.

Manuel Puig, Il bacio della donna ragno, Roma, Sur, 2017, pp. 302, euro 16,50, traduzione di Angelo Morino

Bellissima riproposizione. Un libro che non avevo ancora letto, pur avendo molto apprezzato l’adattamento cinematografico di Héctor Babenco del 1985, film visto molti anni fa. Libro potente e coraggioso che spezza l’immagine tipica (machista) del militante politico latinoamericano degli anni Settanta. L’autore interseca una riflessione su cinema, politica e disciplina dei corpi e scrive un capolavoro carcerario dove la macchina cinematografica e quella letteraria producono un’evasione quanto mai necessaria, quando si sta dentro a una cella.

Eugenio Raspi, Inox, Milano, Baldini&Castoldi, 2017, pp. 251, euro 16

Un romanzo importante, scritto da un ex operaio delle acciaierie di Terni. Una scrittura attenta, composta, severa come la diligenza di un operaio che segue la colata, con padronanza perfetta della tecnica, di quella della fusione come di quella narrativa. La storia dei due fratelli, uno operaio e l’altro amministratore delegato, all’inizio mi era parsa una forzatura (quando mai si dà un caso del genere?) ma Naspi la usa in maniera così efficace dal punto di vista narrativo che le sue conseguenze sono perfette e illustrano pienamente il divario di classe tra idue personaggi. Un sostanziale contributo alla scrittura working class italiana.

Filippo Ferrantini, Non siamo che alberi, saggio alla scoperta del Bosco degli uomini, Orbetello, effequ, 2017, pp.181, con fotografie di Elisa Bresciani

Scrivere degli alberi come se fossero umani. Un modo per sentire la loro voce, per provare empatia verso quelle vite vegetali, che a ogni respiro sono collegate alle nostre. Per non sentirsi padroni del bosco, ma ospiti comuni, come scrive l’autore nel finale di un libro in cui si inventa una lingua in certo modo antica, ricca di forme desuete tenute vive dal filo della narrazione. All’inizio pensavo a un testo tecnico, poi invece la sorpresa è che è un’opera narrativa. Di pregio. (L’ailanto però si merita di più).

Francesco Serino, La vera storia della Repubblica delle banane. 1954: la Cia in Guatemala, Milano, Mursia, 2017, pp. 179, euro 16

Uno dei propositi di Rodolfo Walsh, scrittore e guerrigliero argentino, era quello di infiltrarsi in una base della Cia in Guatemala, usata come covo di contras in chiave anticubana, usando un travestimento da prete. L’aneddoto è divertente e anche se non venne mai portato a termine, ci racconta un dato di fatto importante: il Guatemala, regno della United Fruit Company, è stato l’antecedente delle tante dittature che i governi degli Usa hanno imposto al “cortile di casa”. Il caso cileno è forse quello più esemplare. L’autore ripercorre la storia di anni di ingerenze e colpi di stato in Guatemala, i cui effetti nefasti sono ancora scontati sulla pelle dei cittadini di quel Paese.

Riccardo Rosa, Lo sparo nella notte, Napoli, Monitor edizioni, 2017, pp. 107, euro 10

La storia di Davide Bifolco è una delle tante, troppe, vittime delle forze dell’ordine e richiama alla mente, per continuità, quelle di Aldrovandi o di Bianzinoo del maestro Mastrogiovanni. L’inchiesta narrativa di Riccardo Rosa non si limita a ricostruire un episodio di cronaca ma racconta l’urbanistica e la geografia sociale attorno a quel caso. E lo fa, soprattutto nella prima parte, con una penna che ricorda le magistrali inchieste narrative dell’argentino Rodolfo Walsh.

Anthony Cartwright, Iron Towns. Città di ferro, Roma, 66thand2nd, 2017, pp. 274, euro 18, traduzione di Riccardo Duranti

“Il nostro, il loro, si rendeva conto che stava facendo come suo nonno, che riduceva tutto a noi e loro. Alza lo sguardo verso Anvil Yards. Gli operai non ci sono più. Noi e loro era il principio secondo il quale funzionava anche il calcio. Però gli operai non sono ancora scomparsi, certo che no, sono solo diventati invisibili per la maggior parte del tempo, perché ecco che arriva la squadra di pulizia con secchi di acqua saponata per lavare via la cacca dal parcheggio in modo che i venditori di cellulari e categorie affini, anche loro lavoratori, certo, ma Dio solo sa che razza di lavoro è il loro (…)” (Iron Towns, p. 212).

Superlativa immersione nella working class inglese. Romanzi come questo vengono messi a scaffale nelle librerie italiane come se fossero libri sul calcio o sugli sport. Invece sono narrativa della classe operaia. Sono libri che esprimono l’immaginario crepuscolare di una classe operaia annichilita dalla Thatcher prima e dal New Labour poi, una classe che oggi deve trovare un nuovo immaginario e una nuova consapevolezza di sé da esprimere. Anthony Cartwright riesce magistralmente a raccontarci queste storie di vecchi calciatori working class sul viale del tramonto, di cui il Liam Corwen è il campione ideale. Il punto adesso è come raccontare le storie della nuova casse lavoratrice, che oggi lavora da Starbucks o fa le pulizie negli ospedali, o indossa il pink collar al posto del blue collar. Per trovare queste parole e raccontare questo mondo, è imprescindibile leggere le opere di Cartwright, di Ridge Glass e di David Storey, tutti meritoriamente presentati al pubblico italiano dalle edizioni 66thA2nd.  

Franco Fortini, Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Milano, Il Saggiatore, 2017, pp. 360, euro 24

Ristampa quanto mai necessaria questa de il Saggiatore. Se dovessi indicare tre saggi italiani degli anni Sessanta che più hanno avuto effetti e che meritano oggi di essere riletti, indicherei proprio Verifica dei poteri assieme a Operai e capitale di Mario Tronti e Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. Di tutti il più attuale, proprio per la grande semplicità narrativa, è forse il libro degli studenti di Don Milani. Sono saggi che parlano tra loro. Tutti e tre fanno lotta di classe, nei loro ambiti (la politica, la letteratura, la scuola). Tutti e tre hanno fili rossi che li collegano: Tronti e Don Milani, per vie diverse, hanno praticato l’inchiesta operaia; Fortini ha recensito la Lettera e si è personalmente confrontato più volte con Tronti (lo scrive esplicitamente presentando il saggio “Astuti come colombe”). Tutti e tre meritano di essere riletti, interpretati, vagliati: svariate pagliuzze d’oro rimarranno in fondo al setaccio. C’è nella Verifica qualcosa che è legato alle contingenze dell’epoca e non basta l’eleganza della prosa saggistica di Fortini a garantirne la presa sulle dinamiche dei nostri giorni. Si può talvolta non concordare coi suoi giudizi sempre molto polemici (soprattutto proprio quando parla di industria e letteratura), ma la raccolta fortiniana testimonia di una forza di visione e di scrittura veramente sorprendente, soprattutto nel dibattito dei nostri giorni. Confrontarsi con opere di questo genere serve a farsi le ossa.

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