L’Uomo, la Rete e la minaccia cyber-utopista (seconda parte)

Quando il cyber-utopismo fa comodo al padrone (o al populista)

[Qui la prima parte]

Come dicevo, la fiducia sfrenata nella forza della tecnologia è una storia vecchia, basti pensare che dietro ad ogni invenzione, dalla radio alla televisione, e addirittura all’areoplano, l’uomo ha sempre sperato di poter considerare questa il mezzo definitivo con cui poter giungere ad un cambiamento sociale.

A trattare di tutti questi casi, recenti o meno, è il sociologo bielorusso Evgeny Morozov, che nel suo famoso L’ingenuità della Rete conia proprio il termine “cyber-utopismo” per indicare questo comportamento.

Un caso particolarmente analizzato è il ruolo che la propaganda statunitense avrebbe cercato di attribuire alle comunicazioni occidentali nell’abbattimento dell’ Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Un’interpretazione dei fatti ben approssimativa ma che ha permesso a Ronald Reagan di elogiare di fronte al Mondo intero la fondamentale importanza dei servizi televisivi statunitensi – Voice Of America in primis – appiattendo ogni analisi sulle vere cause strutturali e sociali che hanno portato alla fine della dittatura (analisi non certo semplice, ma di certo non riducibile all’effetto di onde radio).

Tornando vicino a noi nel tempo e nello spazio, possiamo riscontrare un altro caso di strumentalizzazione se pensiamo a quanto, dopo l’ esito del Referendum abrogativo italiano del 2011, i telegiornali abbiano insistito nel proporre la retorica del “popolo della Rete” che aveva vinto contro il “popolo della televisione”.

Premessa la contraddizione in termini che vede accostare un “popolo” – massa di individui uniti da un’appartenenza comune – e “rete” – insieme di nodi e link che collegano strutture differenti – un’interpretazione del genere nasconde ancora una volta i veri processi verificatisi, dal lavoro di tante e tanti attivisti che per mesi si sono impegnati nelle piazze per raccogliere firme e distribuire volantini, alla distorsione delle parti in gioco, qui approssimati come “tv contro web” anziché come difesa per i beni comuni contro interessi dei privati.

Infine, se vogliamo trovare il pelo nell’uovo, non ci vuole un genio per capire che ancora oggi gli spettatori del Tg1 sono dieci volte tanto rispetto a quelli che si informano sul Web, dunque questa grandissima vittoria trova la motivazione ben al di là della tastiera e del mouse.

Il neologismo di “popolo della Rete” ci porta ad un altro grande, grandissimo cyber-utopista che questi ultimi anni stanno conoscendo nel nostro paese: Beppe Grillo.

Mentre ad inizio secolo nei suoi spettacoli frantumava monitor con un martello (“è una tecnologia che ci prende per il culo […] è una una tecnologia invasiva”), ad un tratto, folgorato sulla via del Parlamento, inizia la sua campagna elettorale con il Movimento 5 Stelle, che fonda ogni discorso sull’uso rivoluzionario del web come strumento di condivisione tra pari.

La Rete è stata proprio quello specchio per allodole che ha appiattito ogni discorso di democrazia interno al Movimento ad una questione virtuale, senza permettere agli attivisti di rendersi conto che nel mondo reale quella che si stava instaurando era una dittatura bella e buona.

L’errore principale del m5s, tra i tanti, è aver enfatizzato le pratiche via web sottovalutando l’ importanza di un forte radicamento territoriale, credendo nella forza omogeneizzante della Rete e bloccando così sul nascere ogni discussione che potesse portare alla formazione di un programma davvero condiviso, tanto è vero che l’esplosione del Movimento non ha portato ad una maggiore mobilitazione di piazza, semmai ad un aumento di click, condivisioni e “i like it”.

Questo è stato ancora più evidente durante le primarie on-line, che hanno visto 1400 candidati pubblicare su youtube video di presentazione individuali, senza promuovere processi di partecipazione quanto invece un aumento di pratiche narcisistiche ed egocentriche, perfettamente in linea con la retorica grillina del “il potere fa schifo perchè al potere ci devo andare io”.

Poco fuori dall’Italia sono i Partiti Pirata che stanno cascando, anche se in maniera più moderata, nello stesso tranello, troppo attenti a programmare l’ algoritmo perfetto per il software di democrazia liquida Liquid Feedback tanto da trovarsi tra i candidati simpatizzanti per il regime nazista.

Curioso è come in alcuni post del suo blog Grillo abbia fatto uso dello slogan “The Revolution will be not Televised” – titolo del famoso singolo di Gil Scott-Heron – non come critica al tecno-utopismo ma proprio per enfatizzare il contrasto tra la televisione (il mezzo della ka$ta!!1!) contro Internet (il mezzo del popolo).

Siamo al limite del ridicolo, e se pensiamo ai danni che questi comportamenti causano ai veri movimenti comprendiamo quanto fare queste analisi sia oggi fondamentale, prima che si diffonda a macchia d’olio la visione grillina di “rivoluzione via web”, slogan che suggestiona scenari da far invidia ai fratelli Wachowski.

Fuori da Matrix

Il grillismo è solo l’ esempio più evidente di un fenomeno macroscopico che coinvolge ormai tutta l’internet-sfera: l’attivismo da tastiera, o come qualcuno preferisce chiamarlo click-tivism, porta ad identificare sempre più nella Rete non solo il mezzo dell’agire politico, ma anche lo scopo dell’azione. Una partecipazione limitata a petizioni on-line, pagine anti-regime e community portano l’utente ad isolarsi dal resto della comunità, senza creare partecipazione attiva e ancor peggio dando l’illusione di una partecipazione virtuale, che nulla però ha di concreto.

Una volta incantati dalla comodità della scrivania è ancora più difficile organizzare eventi reali, ormai ritenuti quasi obsoleti.

Per non cadere in facili accuse di luddismo, ci tengo a precisare che non intendo di certo sostenere la nocività assoluta del mezzo che mi sta permettendo ora di diffondere questa breve riflessione.

Ancora una volta siamo chiamati a dover comprendere le contraddizioni in termini che si insinuano in ogni mezzo che abbiamo a disposizione.

Non possiamo negare i tantissimi casi di progetti nati e gestiti via web che sanno fornire un supporto fondamentale per la propaganda e l’organizzazione politica, come nel caso di Indymedia durante il movimento di Seattle o tanti portali di movimento oggi in circolazione. Ciò che caratterizza questi esempi è una forte presenza sul territorio, nelle università e nelle città, veri obbiettivi dell’azione. La Rete per essere sfruttata in modo consono deve semplicemente ed esclusivamente fungere da “rete” tra strutture esistenti, deve fornire semplicemente un collegamento, senza diventare elemento preponderante o luogo di discussione.

Un’idea critica nei confronti della Rete nasce dall’intenzione di smontare il feticismo digitale, iniziando a comprendere i rapporti di potere che determinano la Rete e che la Rete determina nel mondo reale, chiedendosi cosa si intende per “Net Neutrality”, distinguendo le pratiche di liberazione dalle pratiche di assoggettamento che ogni tecnologia può offrire. Uno strumento potente come Internet, se utilizzato senza un’adeguata comprensione, potrà solo essere una trappola mortale, nella quale ogni nostra informazione personale è a totale disposizione degli organi che tentiamo di combattere.

Infine, dietro al cyber-utopismo si nasconde un tentativo di individuare al di fuori di noi, nella tecnologia, il fattore scatenante di un movimento globale. Un utilizzo consono di Internet richiede la messa in gioco di noi stessi come unici veri costruttori di processi sociali, riponendo al centro dell’attenzione la nostra partecipazione fisica a percorsi collettivi e consapevoli che il riscatto dei nostri diritti non è un compito che possiamo delegare alle macchine.

[Qui la prima parte]

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