IN&OUT #Venezia71: L’Italia in un discorso con parole d’altri

Tra la 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica e il Salinadocfest: appunti su “Italy in a Day” di G. Salvatores e “9X10 Novanta” dell’Istituto Luce (autori vari).

Ieri è uscito per un giorno nelle sale cinematografiche Italy in a day, il lungometraggio partecipato, con la regia di Gabriele Salvatores in coda ad un progetto di Ridley Scott, presentato per la prima volta nel corso della Mostra del cinema di Venezia nella sezione Fuori concorso, che racconta l’Italia vista dagli italiani.

44.197 contributi, diventati nel lungometraggio 627, che sono stati inviati da ogni angolo d’Italia dove si racconta un giorno, il 26 ottobre 2013, che da qualunque è diventato per tanti IL giorno in cui la propria esistenza si è condensata in un autoritratto. Comincia per tutti tra l’alba e le prime ore del mattino, decolla con l’innalzarsi del sole a bandiera, scorre nel corso del pomeriggio e si stiracchia fino alla notte per poi coricarsi nel buio che traghetta la giornata al giorno successivo.

Ci sono baci di buongiorno mescolati alla fatica di alzarsi dal letto, c’è il dover lavorare all’alba oppure finire di lavorare alla stessa ora, c’è la tristezza della solitudine e la felicità di una vita che si trascorre assieme alla persona che si ama, c’è la disoccupazione assieme a un’occupazione disgraziata, c’è la dirompenza di una vita appena nata che si posa sul petto nudo di un uomo che diventa padre in un istante e la gola che si stringe accanto al rischio di una morte.

Italy in a day rende eroiche le esistenze di tutti i giorni in questo gioco di accostamenti intensi che si muovono sul filo del vita/morte, del possibile/impossibile restituendo agli spettatori il senso di essere attori di un grande romanzo tra l’amore e la formazione, che rende tutti straordinari nelle piccolezze e nelle grandezze di ogni giorno, nei  dolori e nei piaceri.

Ma non è forse un gioco troppo facile? In questo caso, il problema dell’eroismo, dell’epica, della santificazione del Dio e anche del Diavolo, stanno proprio nell’inevitabilità della neutralizzazione di un discorso su un paese che per ritrovare se stesso avrebbe bisogno di riuscire a guardarsi davvero allo specchio. Ma per aiutare l’Italia a fare questo, bisogna provare a rivolgerle le domande giuste anziché solcare le vene dell’ovvio, come  invece si evince dai suggerimenti presenti sul sito da cui è stato lanciato il progetto:

Dovete solo accendere la telecamera e il vostro cuore […] Qui potete raccontare qualcosa di importante direttamente alla telecamera. Come fosse un video diario. Oppure filmare le persone che vi stanno attorno, le persone della vostra vita, sempre con il loro permesso. La tua famiglia, i tuoi amici, qualcuno che ami. […] Se quel giorno lavori porta la camera con te, se sei a spasso accendi il cellulare e filma, se sei ad un matrimonio, se ti nasce un figlio, se fai qualcosa di memorabile o anche di normale, la vostra vita quotidiana… c’é posto per tutti. Insomma ovunque sarete riprendete!

Da un punto di vista antropologico è indubbio che il materiale raccolto da Salvatores sia di una ricchezza preziosa. Ma lo sguardo, più affezionato alla creazione di una visione unitaria di questi chicchi di riso di umanità, perdendo la difficoltà e la ricchezza della differenza e dell’interstizio, perde anche una grande possibilità. Vista da Italy in a day l’Italia sembra un paese intenso e emozionante dalla pelle completamente bianca. Dove le culture non si sono mai incontrate/scontrate, mescolate e dove l’eterosessualità continua ad essere, tendenzialmente, l’unica forma d’amore che abita il corpo del paese. (Salvo una coppia di uomini emigrati per potersi amare ed esser padri, e una coppia di donne che un giorno si sveglia baciandosi. Due episodi che sembrano voler infilare tra le righe di un racconto perfetto, una prospettiva politicamente corretta a cui non si può che aderire).

Dunque, pur trattandosi complessivamente di un’operazione interessante, quella di Salvatores risulta completamente priva della lettura politica di cui il paese avrebbe davvero bisogno. Politica nel senso del farsi carico di uno spazio frammentato, abitato da complessità di esistenze che, in questa stagione, viaggiano completamente raminghe incontrandosi per caso oppure scontrandosi. Il problema non sono le emozioni, sia chiaro. Ma diventa un problema se l’unico motore di una narrazione sono le emozioni. A quel punto lo spazio per la riflessione viene meno.

Non si tratta di una questione fastidiosamente intellettualistica, di uno sguardo capace di sentirsi appagato solo quando incontra una lettura rigorosamente complessa. Bensì di un’esigenza, o addirittura di un’urgenza, che pervade le vene di questa Italia. Quanto sarebbe prezioso riuscire a sviluppare una narrazione capace di farsi carico, con la consapevolezza del limite, di restituire al paese una visione di Paese e quindi di sé?

Insomma, Italy in a day è un grande spot che viaggia su un piano emotivo a cui è effettivamente difficile sottrarsi – il condimento della colonna sonora amplifica ancora di più questa sorta di empatia assoluta con le immagini che seguiamo e le storie in cui ci infiliamo in questo gioco di identificazione continua – che non consente di sviluppare un percorso grazie al quale ritrovare la matita che gli manca per ridefinire una prospettiva capace di tenere dentro ognuna e ognuno.

Un lavoro meno rumoroso ma di gran lunga più curioso, presentato per la prima volta alla 71. Mostra del cinema di Venezia nella sezione Giornate degli Autori e stamani in sala in occasione del Salinadocfest, è 9X10 Novanta: un coro di nove cortometraggi, tutti molto diversi tra loro, realizzati in occasione dei 90 anni dell’Istituto Luce.

Anche qui la regia costruisce un discorso sull’Italia utilizzando, anche in questo caso, parole d’altri. Se nel caso di Italy in a day, Salvatores lo fa attraverso le parole degli italiani, in “9X10 Novanta”, Marco Bonfanti, Claudio Giovannesi, Alina Marazzi, Pietro Marcello e Sara Fgaier, Giovanni Piperno, Paola Randi, Costanza Quatriglio, Alice Rohrwacher e Roland Sejko, lo fanno attraverso gli anni contenuti nelle immagini di repertorio dell’Istituto Luce.

Un affresco in bianco e nero che si riempie di colori grazie agli azzardi che si consentono gli autori nel giocare con i materiali messi loro a disposizione.

Tubiolo e la luna, Il mio dovere di sposa, Confini, L’umile Italia, Miracolo italiano, Girotondo, Progetto Panico, Una canzone, L’entrata in guerra, sono i nove episodi durante i quali assistiamo allo svolgersi di frammenti di avvenimenti accaduti e di storie possibili, dove tocchiamo con mano pezzi dolenti della nostra cultura oppure dove ripercorriamo i passi di una canzone che nasce. Politica, storia, cultura, si muovono tra le righe della vita restituita a questi materiali che solitamente, se non restano impolverati tra gli scaffali dell’Istituto, vengono di tanto in tanto ripescati il più delle volte per restituire una ricostruzione didascalica di un episodio della storia del nostro paese.

Alla base dell’abilità dei registi e delle registe impegnate in questo lavoro di ricomposizione narrativa, sta un atto di coraggio e intelligenza compiuto dall’Istituto Luce che, superando la monoliticità fisiologica che lo caratterizza per costituzione, ha compiuto l’azzardo nel dare carta bianca a questo gruppo di autori e autrici, uscendo da sé per rientrare nella contemporaneità dell’Italia contemporanea.

Così, l’Italia della terra, la storia di un bambino, la condizione della donna, le migrazioni, la musica, la sessualità, la cultura popolare, la religione, la guerra e le ricostruzioni del paese in seguito alle calamità naturali, ridipingono il nostro stivale individuando e rilanciando alcuni dei suoi cromosomi principali.

Se Italy in a day nasce dalla volontà di produrre un racconto omogeneo su un paese che si rivolge a se stesso attraverso un coro di autorappresentazioni, e che finisce per perdere il proprio spessore, 9X10 Novanta mette in atto invece il tentativo di pescare tra gli scatoloni delle memorie di questo paese, per provare a ri-raccontarlo senza perdere la sua complessità.

Pescando dalle immagini di repertorio, vengono tracciati i tratti che raccontano il carattere della nostra penisola in virtù e al di là della sua storia. Il lavoro di montaggio sembra muoversi sul modulo classico della cultura orale composta per frammenti capaci di venir ripresi e risignificati all’occorrenza. Capaci quindi di adeguarsi al presente per spiegarlo, cantarlo e raccontarlo, senza però perdere le radici della propria provenienza.

Come una sorta di cubo di Rubik con cui, liberandosi dal vincolo della regola che vorrebbe che ogni facciata del cubo finisse per compattarsi su un unico colore, ci si desse la sana libertà di giocare ad accostare i colori sulla base di altri criteri che mettono in conto anche la possibilità del piacere, l’importanza del raccontare e quella del denunciare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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