Gli sfollati del 24 agosto sulla costa marchigiana
Pubblichiamo un articolo del gruppo di ricerca Emidio di Treviri. L’articolo analizza le conseguenze dei percorsi diasporici prodotti dalla gestione emergenziale imposta in seguito alle recenti scosse di terremoto che hanno colpito alcune zone del Centro Italia.
Dopo il terremoto che nel 1976 colpì il Friuli, le scienze sociali italiane hanno iniziato a interessarsi della tematica delle catastrofi concentrandosi sul comportamento che individui e collettività adottano nelle varie fasi di un disastro. Alcuni studiosi sottolinearono come, nelle fasi successive all’impatto della calamità, la zona venisse investita da movimenti centripeti (riguardanti la convergenza di soggetti «esterni» come soccorsi, media e semplici curiosi) e da movimenti centrifughi (riguardanti la popolazione che trova ricovero al di fuori dell’area colpita1. Dopo un disastro si verificano dunque riconfigurazioni di equilibri territoriali e sociali e tali dinamiche si sono ripresentate ogni volta che un sisma ha colpito il nostro Paese.
L’attenzione da parte di autorità, soccorsi e mondo dell’informazione si rivolge maggiormente verso la zona colpita poiché è qui che si concentrano le principali attività, ci si interroga sul futuro e nascono delle temporanee comunità “sintetiche”3 ma, se da un lato è interessante osservare cosa accade nell’area del disastro, dall’altro è ugualmente importante interrogarsi sui percorsi e il destino di chi si vede costretto ad abbandonare i propri luoghi per cercare ricovero altrove. L’emergenza post-disastro infatti provoca una vera e propria emorragia di individui che intraprendono molteplici percorsi, migliaia di rivoli che danno vita a traiettorie ed esiti estremamente diversificati.
Dopo i terremoti che dal 24 agosto 2016 hanno colpito alcune zone del centro Italia si sono registrate simili dinamiche ed oggi possiamo osservare un vasto ed eterogeneo insieme di soluzioni che gli sfollati hanno adottato o sono stati costretti ad adottare per riprendere la loro vita.
Il gruppo di ricerca indipendente Emidio di Treviri4, in una delle sei ricerche avviate sul campo, ha seguito alcuni di questi percorsi cercando di comprendere cosa significhi per gli abitanti del cratere allontanarsi dai propri luoghi, riprendere a vivere in nuovi contesti e in che modo tutto ciò si ripercuota sul loro benessere psico-fisico.
Accanto a chi ha provveduto in maniera autonoma al proprio alloggio, adottando soluzioni individuali o usufruendo del Contributo Autonoma Sistemazione (CAS), c’è chi ha optato per le soluzioni assistenziali offerte dalla macchina dell’emergenza che hanno previsto inizialmente le residenze presso strutture alberghiere convenzionate e poi, soprattutto per le aree colpite dallo sciame sismico di ottobre, i Moduli Abitativi Collettivi (MAC).
Per le aree colpite dal sisma del 24 agosto si è maggiormente optato per la soluzione degli hotel, sia perché vi erano zone totalmente inagibili (come Arquata del Tronto, comune marchigiano al confine con Lazio e Umbria) e sia perché è stata la prima soluzione offerta dopo lo smantellamento delle tendopoli. Così, la maggior parte dei comuni tra l’Amatriciano e il Piceno, immaginando una sistemazione temporanea per coloro che avevano perduto la propria abitazione, hanno assistito al trasferimento sulla costa di gran parte della propria popolazione.
Come ci racconta Chiara, 50 anni, durante un’intervista presso una struttura di San Benedetto del Tronto, la soluzione degli hotel ha coinvolto quei soggetti che si ritenevano “senza alternativa”:
Se avessimo potuto scegliere di rimanere nessuno sarebbe venuto qui, ma non abbiamo avuto altra scelta, in molti dovevano portare via i bambini dalle tende, altri avevano a carico persone molto anziane che avevano bisogno di cure.
La possibilità di scelta si configura a partire dal capitale economico e sociale a disposizione delle persone, di chi non avendo risorse a disposizione è stato costretto ad accettare lo sradicamento dai luoghi di origine. Un fenomeno che le scienze sociali leggono in termini di violenza strutturale5 e che coinvolge quei soggetti maggiormente vulnerabili e senza possibilità di accesso a risorse fondamentali per poter scegliere attivamente. Una violenza indiretta che genera sofferenza sociale e che si configura come dimensione collettiva e non del singolo e della sua storia personale6.
La possibilità di ricevere il CAS risultava penalizzante per alcuni nuclei familiari ed oggi, di fronte alla decisione delle strutture alberghiere di interrompere le convenzioni, in molti si ritrovano pieni di interrogativi e coinvolti in nuovi trasferimenti:
Ci spostano come pacchi, prendiamo quelle poche cose che avevamo recuperato e ricominciamo. All’inizio non sentivo il peso della mia situazione, mi sentivo solo fortunata per essere in vita, ma oggi mi accorgo che non vogliono più tenerci qui. Loro devono lavorare, e tenerci qui dentro è una perdita di soldi. Mi sento un peso, e vorrei non esserlo, ma senza alternativa dove vado con mia suocera anziana che a malapena deambula? Sono stanca, e se anche io cedo non so cosa succede tra i miei familiari. (Angela, Amatrice)
La quotidianità spezzata e la mancanza di soluzioni chiare da parte delle istituzioni stanno aggravando stati di malessere e nello stesso tempo alimentando il senso di smarrimento esistenziale. È quanto ci racconta Angela mentre prendiamo un caffè davanti all’hotel da cui è stata mandata via l’8 giugno, prima della scadenza della convenzione che, per la maggior parte delle strutture ricettive, è terminata il 15 del mese.
Dopo questa data la responsabilità degli sfollati è stata ceduta ad altre strutture (soprattutto nella zona di Martinsicuro, nel Teramano) e in migliaia vengono spostati ciclicamente. Nel caos dei trasferimenti risulta più difficile accedere a dati precisi sui numeri e le caratteristiche di chi alloggia sulla costa: circa un migliaio quelli della provincia di Rieti, più di 5.000 quelli marchigiani a cui si aggiungono i molti umbri e abruzzesi. Questi ultimi risalgono, secondo i dati pubblicati dalla regione Abruzzo, a 753.
Molte delle persone intervistate manifestano quello che viene definito “displacement trauma”7 che emerge quando le persone sono forzosamente delocalizzate con conseguenti ripercussioni sulla propria salute psichica e globale. Si tratta di aspetti messi in evidenza anche dalla vasta letteratura che si è occupata del post-sisma aquilano e che, in particolare, ha sottolineato l’emergere di un disagio socio-territoriale caratterizzato dal venir meno di certe condizioni di benessere e di equilibrio del territorio8.
Disturbi d’ansia, di alimentazione, malumore e depressione prolungata accomunano molte persone stanziate negli hotel e ciò è confermato dagli operatori sanitari impegnati sul posto dai quali apprendiamo come il prolungamento dell’incertezza stia acutizzando alcune patologie, ne abbia create nuove e sia contestualmente aumentato il ricorso ai farmaci:
Da agosto l’aumento di antidepressivi e ansiolitici secondo i miei calcoli è dell’80% circa, sono io che li consegno9
ci racconta Francesco, farmacista e sfollato, che ci illustra come questa scelta “stia ammalando” profondamente le popolazioni locali.
In questo quadro non sembra il trauma o la paura ad aver creato la disperazione, ma un senso di smarrimento e angoscia che l’incerta gestione emergenziale sta prolungando:
Se avessero preso decisioni diverse noi saremmo rimasti qui tre mesi e avremmo resistito anche di star lontani, o tutti insieme qui, e nonostante la difficoltà avremmo reagito. Dopo tutto questo tempo, e nessuna soluzione reale, il conflitto aumenta, siamo lasciati vivere. Siamo sopravvissuti al terremoto e ci sta uccidendo lo Stato. Ci hanno detto di cambiare medico, di prenderlo qui, ma io non l’ho fatto. Preferisco prendere la macchina e tornare a casa, ho bisogno di vedere che succede e di sapere che tornerò.
Sono le parole di Renato che d’altra parte sottolinea anche il lato positivo della sua permanenza in hotel raccontandoci delle sue amicizie e dell’importanza del supporto reciproco:
Ora che abbiamo condiviso tutto questo, quando torneremo avremo la forza di ricominciare insieme, devono permettercelo però, altrimenti ci uccidono.
In seguito alla frammentazione sociale ed esistenziale causata dall’evento sismico, le soluzioni assistenziali dell’emergenza appaiono dispendiose e poco funzionali alle esigenze delle popolazioni: le persone sembrano ignorate, escluse dai progetti di rinascita a loro rivolti, disperse sul territorio e tenute in uno stato di attesa prolungata. A ciò, iniziata la stagione estiva, si aggiungono nuove dinamiche conflittuali che generano ulteriore confusione:
Quello che accade è che anche alcuni albergatori usano due pesi e due misure. Fanno delle liste e se c’è qualcuno che deve andare via è chi è meno gradito. Oramai non sappiamo a chi chiedere per sapere se staremo qui, quando ci manderanno via e dove. Alcuni sono stati spostati, a me hanno dato un preavviso di tre giorni, ti rendi conto?
Ci racconta B. che preferisce l’anonimato per non aggravare la sua fragile situazione.
A dieci mesi dal trasferimento delle popolazioni sulla costa osserviamo un generale peggioramento della salute delle persone mentre i continui spostamenti da una struttura all’altra aggravano la situazione dei soggetti più vulnerabili come le persone anziane. In attesa dell’ufficializzazione dei dati relativi al consumo di farmaci tra le persone sfollate sulla costa, comprendiamo che la medicalizzazione della quotidianità di adulti e anziani pare essere l’unica soluzione al momento adottata dalle istituzioni.
Se pensare la ricostruzione dall’alto può essere deleterio per i territori, crediamo che lo sradicamento dai luoghi ove è prevista una ricostruzione fisica e sociale possa ulteriormente indebolire il legame delle persone con i territori lasciando intravedere esiti preoccupanti per individui e collettività del cratere. Riprendendo il paragone con l’esperienza aquilana, è utile sottolineare come, nel capoluogo abruzzese, al massiccio trasferimento di popolazione si sia aggiunto lo stravolgimento dei luoghi colpiti dal sisma a causa della costruzione di edifici inappropriati generando quello che Ciccozzi ha definito uno “spaesamento doppiamente perturbante”10. Uno scenario questo, che oggi andrebbe assolutamente scongiurato.
Seguendo l’idea di un’inchiesta dal basso, la ricerca del gruppo Emidio di Treviri prosegue accanto ai diretti destinatari delle politiche emergenziali poiché conoscere da vicino fenomeni e processi e dare voce ai soggetti coinvolti è sicuramente il primo passo da compiere per ripensare il futuro delle aree interne.
Note
- Cfr. B. Cattarinussi, B. Tellia, La risposta sociale al disastro: il caso del terremoto in Friuli, Studi di Sociologia, anno XVI, 2, 1978, pp. 236-254.
- Si tratta di comunità temporanee formate dalla popolazione rimasta in zona, soccorritori e vari operatori più o meno istituzionalizzati che sostengono la lenta ripresa.2Cfr. E.T. Drabek, E.Thomas, Human system responses to disaster: An inventory of sociological findings, Springer Science & Business Media, New York 2012.
- Il gruppo nasce dall’esigenza di comprendere in profondità le conseguenze delle politiche emergenziali e di ricostruzione dei territori del centro Italia, mettendo in relazione le conoscenze della ricerca con la pratica mutualistica e la politica attiva delle Brigate di Solidarietà Attiva (BSA). Per saperne di più: Emidio di Treviri, Brigate Solidarietà
- Cfr. P. Farmer, Un’antropologia della violenza strutturale, Antropologia. Sofferenza Sociale, n. 8, 2006, pp. 17-49; P. Burgois, J. Schonberg, Reietti e fuorilegge. Antropologia della violenza nella metropoli americana, Derive Approdi, Roma, 2011.
- Cfr. A. Kleinman, V. Das e M. Lock (a cura di), Social Suffering, University of California Press, Berkley, 1997.
- L. Pezzullo, Il Trauma dello Sradicamento. In M.T. Fenoglio (a cura di), Andar per luoghi. Natura e vicende del legame con i luoghi, Ananke, Torino, 2007.
- L.M. Calandra, Territorio e democrazia. Considerazioni dal post-sisma aquilano. In F. Carnelli, O. Paris, F. Tommasi (a cura di), Sismografie. Ritornare a L’Aquila mille giorni dopo il sisma, Edizioni Effigi, Arcidosso, 2012, pp. 33-56.
- Dato in attesa di conferma da parte del Servizio Sanitario della Regione Lazio.
- A. Ciccozzi, Aiuti e miracoli ai margini del terremoto de L’Aquila, Meridiana, L’Aquila 2010 dietro la catastrofe Special issue, 65-66, pp. 227-255.