I poteri del crocifisso

Ormai è in occasione di ricorsi, sentenze e appelli vari. Si tratta della presenza del crocifisso nelle sedi dello Stato; chi legifera non si vuole esprime in merito, mentre alcuni cittadini reclamano a gran voce l’attuazione dei principi costituzionali di laicità della Repubblica. Morale della storia: tutto è immobile. O quasi.

I poteri del crocifisso

È di qualche giorno fa l’ultima sentenze espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che stabilisce come la presenza del crocifisso non sia né indottrinamento né prevaricazione nei confronti delle altre confessioni. Ma non voglio qui commentare la sentenza che smentisce una precedente, che era un ricorso a sua volta contrario rispetto ad un appello… non ci si rende conto di come la magistratura accoglie o solleva istanze dai cittadini, ma tocca sempre al legiferatore, nel pieno delle sue funzioni, porre rimedi, sono eletti per questo dal popolo tant’è che tutto tace. O quasi.

Sì perché non si sono fatti attendere i commenti entusiastici da parte del mondo cattolico. Uno di questi è l’articolo apparso domenica scorsa sulla prima pagina de “Il Sole 24 Ore” a firma del vescovo Bruno Forte. Scontato il taglio che il prelato dà al suo intervento e che non voglio contestare; egli non fa che gioire ed esultare quasi come un tifoso alla vittoria della sua squadra del cuore su un calcio di rigore sfacciatamente “rubato”.

È pur vero che questa non è affatto la sola ed unica reazione da parte del mondo cattolico, vi sono prelati più aperti e progressisti che la giudicano in modo completamente diverso, ma forse non lo dicono o non possono dirlo sulle prime pagine del giornale di Confindustria. Tuttavia mi piace ricordare un sacerdote su tutti, che proprio in merito a tale questione si espose prima dei tempi, precorrendoli. Mi riferisco a don Lorenzo Milani quando entrando per far lezione in una scuola a Firenze tolse il crocifisso dalla parete non volendo che il suo insegnamento potesse apparire confessionale.

Ma torniamo all’artico di Sua Eccellenza Forte, ciò che contesto non è la gioia delle sue parole – come potrei mai, sarebbe un delitto contestare la gioia – ma il loro essere spudoratamente faziose, alterate e menzognere, addirittura illogiche. Come è mai possibile sostenere che una sentenza del genere rappresenti la vittoria di tutti essendo chiaramente la vittoria di una parte? Questo, infatti, è l’incipit dell’articolo in cui anche la logica viene forzata e piegata.

Se il crocifisso è il simbolo di una specifica confessione, quella cattolica, e dunque di una parte ben specifica del Paese, come può mai essere la vittoria di tutti? A maggior ragione se questa “vittoria” rappresenta il perpetrarsi di un obbligo. Evidentemente Sua Eccellenza non considera parte di tutto il paese anche la comunità ebraica, islamica, protestante, valdese…, per non parlare di quella atea e agnostica. Evidentemente non contano.

Eppure la storia ci dice il contrario; tutte le espressioni religiose hanno pari dignità di fronte alla legge (mi verrebbe da dire) a tal punto che la questione di non ingerenza e di separazione tra la sfera pubblica e religiosa è stata posta a più riprese. Nella fondazione dello stato unitario, nella carta costituzionale, nel nuovo concordato del 1984 quando, finalmente, la religione cattolica ha cessato formalmente – ma già lo era effettivamente – di essere religione di stato. Già tutte queste riflessioni giustificherebbero la rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici. Invece sembra che questo atto di civiltà e democrazia dovrà attendere ancora del tempo.

Sì, atto di civiltà e democrazia. Non appare strano che l’obbligo della presenza del crocifisso – prima ancora di richiamare tutto quello che il vescovo Forte vi ricama sopra – nasca da una chiara motivazione politica. Lo sanno in molti, forse Sua Eccellenza no, come l’imposizione del crocifisso nei luoghi dello Stato sia stato uno dei tanti effetti del concordato tra lo stato del Vaticano e la dittatura fascista italiana. Quel crocifisso esposto su tutte le pareti degli edifici pubblici, tra i ritratti del re e del dittatore Mussolini, rappresentava chiaramente il patto, l’alleanza politica, il consenso, l’approvazione reciproca tra quei tre poteri. Dunque un simbolo ed una motivazione, in quel caso, politica.

Mi domando perché allora non esporre in tutte le chiese il tricolore italiano o lo stemma della repubblica? In fin dei conti nelle chiese presenti sul territorio della Repubblica italiana vi si recano cittadini italiani! Sarebbe assurdo solo pensarlo, così come è tutt’ora assurdo esporre il crocifisso in tutti i luoghi pubblici. Il vescovo Forte, verso il finale del suo articolo, pone la questione addirittura su toni drammatici: senza il crocifisso negli edifici pubblici dello Stato, saremmo peggiori di quel che siamo. Mi dispiace molto per il pessimismo di Sua Eminenza, ma credo sinceramente tutto il contrario.

Oltre a questo, l’assenza di simboli religiosi nei luoghi istituzionali sarebbe espressione di una Repubblica effettivamente laica nell’esercizio delle sue funzioni. Ancora, anche da un punto di vista religioso, sarebbe assolutamente più conforme ai dettami del Cristo: “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Il che non vuol dire affatto bandire la religione cattolica da tutti i luoghi e tutti i laghi, ma fare atto di coerenza ed esporre simboli religiosi nei luoghi religiosi di culto e i simboli statali e nazionali nei luoghi dello Stato.

Il vescovo Forte, invece, parla di libertà e poi applaude l’imposizione; sbandiera la laicità e parla di un simbolo confessionale; esalta il cattolicesimo come cofondatore dell’Italia unita, dimenticando il “non expedit” di Pio IX. Ecco che appaiono grossolane leggerezze o, peggio, volontarie manomissioni storico-culturali per fini politici e proprio questa scorrettezza intellettuale è quanto di più vergognoso emerge nell’articolo. Vero insulto all’intelligenza di un lettore medio con generali conoscenze di storia contemporanea, di logica e di religione. Occorre dunque guardare altrove, a ricerche come quella di Sergio Luzzatto (Il crocifisso di Stato, Einaudi 2011), per poter approfondire la questione oltre il velo di ogni facile retorica.

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