Riflessioni attorno a “Genova macaia. Un viaggio da Ponente a Levante” di Simone Pieranni, Laterza 2017.
Roma. Dicembre 2017. Ero seduta in ospedale accanto a mio padre che, appisolato, tentava di riprendersi da un brutto incidente stradale. Nell’assecondare il suo dormiveglia di quelle ore avevo portato con me un libro: Genova macaia. Un viaggio da Ponente a Levante di Simone Pieranni, affidandogli la funzione di un salvifico altrove. Partivo già da una certezza: sapevo che il libro mi avrebbe portata in una delle poche città italiane in cui, incredibilmente, non sono ancora stata. A suon di viaggi per l’Italia in lungo e in largo, il fatto che Genova non sia mai rientrata tra le direzioni che mi son trovata a dover o poter prendere, ha cominciato a rendere la mia percezione di questa città mitologica. Una mitologia attraversata da una voragine: la Genova del 2001, delle strade gremite, prima, di corpi in lotta e festa e, poi, investita dal sangue e dalle bastonate; la Genova di Piazza Alimonda, di Bolzaneto, la Genova della Diaz. E inaspettatamente Pieranni partiva, apparentemente, da lì: dal fondo di quel burrone. Ma la verità era che se entrava a Bolzaneto, lo faceva imboccando una strada diversa, senza per questo rimuovere quanto già sappiamo. Ed è con questo avvio consapevole e raccolto che già a partire dalle prime pagine abbiamo la sensazione di prendere parte a un’avventura che restituisce a una città rimasta per molti dolorosamente imbrigliata nell’eco del dramma del 2001, la propria Storia. Genova tra le pagine di Pieranni, senza dar nell’occhio, si riconnette con le proprie radici. Emergono tra le righe alcuni dei versi più belli dei suoi cantori, intrisi a loro volta degli echi di Giorgio Caproni e Eugenio Montale di cui, nei saliscendi di questa camminata, tendiamo a intravvedere il giallo dei limoni.
Genova macaia è un viaggio tra biografia, storia e fantasia che l’autore compie portando il lettore al proprio fianco. Una cartografia di luoghi – Bolzaneto, Genova ovest, Pegli, il centro, il porto, Genova est – si intreccia a un atlante di voci – quella della nonna, quella dello zio, quella del Ghedda e tra tutte, quella del padre – articolandosi sullo sfondo della Sopraelevata che, come dice l’autore, “secondo molti foresti e turisti costituisce un obbrobbrio” “è molto più di un ponte”. La Sopraelevata, infatti, è la spina dorsale di tutta la traversata, è il punto d’incontro in cui la biografia si aggancia alla Storia, è il segmento tra sé e il mondo, tra la propria vita e quella di chi ci ha generati, tra lui e il padre, tra noi e lui, tra la Bolzaneto prima del 2001 e quella dopo il 2001. Insomma, da Ponente a Levante è un’ellisse geografica che Pieranni compie con il pretesto di una biografia, condita di giochi di finzione, per girare le pagine della Storia.
Nell’attraversare Genova macaia, in un intreccio tra storia privata di un individuo e storia pubblica di un luogo, ci chiediamo se forse raccontare la città non possa diventare oggi un modo per restituire al sè la propria dimensione politica, strappandolo via dall’intimismo autistico e narcisista in cui è piombato. Pieranni mostra infatti come la biografia, se inserita nuovamente in un ritratto capace di tenere conto delle relazioni contestuali che si svolgono in un tessuto intriso di storie e mattoni, possa recuperare il proprio corpo e di conseguenza una propria funzione.
Ma questo libro fa ancora di più: con la naturalezza di un racconto familiare realizzato con la complicità di un lessico altrettanto familiare (dove verità e finzione si intrecciano di continuo), Pieranni restituisce al lettore la libertà che i leghismi ci hanno sottratto negli ultimi decenni: quella cioè di potersi sentire a casa e potersi rafforzare in virtù di questo sentimento senza che questo comporti l’esclusione di qualcuno. Qusto libro ci dice che ci si può sentire a casa in tanti modi, che ci si può sentire a casa in tanti luoghi e, soprattutto, che il senso di casa nasce per essere condiviso. Così anche noi, che non siamo mai stati a Genova, leggendolo, ci siamo sentiti a casa, assieme a lui in questo ritorno.
[Le foto qui pubblicate sono di Gianni Berengo Gardin]