Sabato 6 e domenica 7 settembre il lavoro culturale ha seguito con un livetweeting il Festivaletteratura di Mantova. Da quella esperienza sono emerse alcune parole chiave degli incontri seguiti: le abbiamo scelte tra quelle a nostro avviso più significative per raccontare il festival, ma anche più affini alle nostre corde e ai temi che questo blog ha ospitato. Ecco, dunque, il nostro glossario.
Accesso: Jeremy Rifkin è il profeta dell’anticapitalismo. Durante il suo intervento ha illustrato il futuro passaggio dall’economia di mercato a quella della condivisione, dalla proprietà all’accesso. Una terza rivoluzione industriale che si sarebbe già avviata con la condivisione dell’informazione e della musica, che sta avanzando con l’autoproduzione di energia rinnovabile su larga scala e che sarà resa pienamente possibile da Internet delle cose, la fase in cui la rete e le nuove tecnologie (fra tutte la stampante 3D) permetteranno la riduzione a zero dei costi marginali nella produzione. I grandi gruppi industriali non potranno che adeguarsi al commons collaborativo, a beneficio dell’intero genere umano. Il capitalismo, se non scomparirà, dovrà per lo meno adeguarsi a un sistema ibrido.
Bldungsroman: a una domanda di Marco Belpoliti su Pier Vittorio Tondelli, Arbasino ha raccontato di quanto in realtà l’autore di Altri libertini non volesse altro che “rifare” sue pagine, in particolare quelle di Parigi o cara (Adelphi, 1995). Ma, sostiene Arbasino, un romanzo di formazione lo si può fare solo durante quella stessa formazione, invece Tondelli è arrivato tardi, e «ha trovato solo morti e tombe». Viene allora voglia di riprendere in mano Il romanzo di formazione (Einaudi, 1986) di Franco Moretti, per esempio, ed elencare tutti i luminosi controesempi. Ma quello che a Mantova Arbasino ha detto a proposito di Tondelli e del romanzo di formazione rientra in quella postura secondo cui si racconta un’epoca o un genere letterario a partire da un concetto di costante “fuori tempo massimo” inferto a chi ascolta.
Dresda: per discutere la questione del reale e dell’invenzione in letteratura, a Mantova Claudio Magris ha citato W. G. Sebald, e in particolare la sua opera Storia naturale della distruzione (Adelphi, 2004). Lì l’autore tratta del bombardamento di Dresda (come Kurt Vonnegut in Mattatoio n.5): quelle bombe costruirono un paradigma della distruzione più di tante altre piovute in altri luoghi e momenti della storia e del presente. Sebald ha scritto una cifra esatta e improbabile per indicare quanti chili di macerie in quei giorni si trovavano a Dresda per ogni abitante. La scarsa attendibilità di quella stima è parte, secondo Magris, di quella «realtà immaginabile che solo la letteratura chi fa toccare». Per descrivere una realtà tremendamente reale, si può solo figurarla nell’invenzione. Torna in mente il video, circolato recentemente, di abitanti di Gaza che partecipano all’Ice Bucket Challenge versandosi addosso secchi di polvere e detriti delle loro case distrutte dai missili.
Emergenza: Giuseppe Ayala, Rosaria Capacchione e Isaia Sales durante l’incontro Le mafie del nuovo secolo si sono chiesti perché le mafie in Italia prosperino da ormai due secoli, resistendo all’Unità, alla Monarchia e alle due Repubbliche, senza che si sia ancora data una spiegazione convincente della loro diffusione. La retorica tipicamente italiana dell’emergenza serve solo a creare una categoria di “professionisti” – quella già individuata da Sciascia, che a torto ne aveva indicato un esponente in Borsellino – e a far girare denaro a vuoto: è quanto è successo dopo i terremoti all’Aquila e in Emilia. Per comprendere la mafia è necessario sgomberare il campo dagli stereotipi: la mafia si caratterizza per l’essere radicata localmente, al Sud quanto al Nord: arretratezza e familismo, come tutte le spiegazioni culturaliste, non danno ragione del fenomeno.
Fasti: esistono più modi di raccontare il proprio passato e, allo stesso tempo, un’epoca considerata di “antichi fasti”. Uno di questi è farlo a partire dal presupposto che chi sta ascoltando raccontare è uno sfortunato che simili fasti non potrà mai viverli, perché si tratta di tempi irripetibili. La possibilità che quella irripetibilità sia tutto sommato una fortuna non è contemplata. Alberto Arbasino, a Mantova, ha incarnato questo modo “escludente” di raccontare il mondo culturale italiano di cui è stato figura centrale e allo stesso tempo voyeur. Quando Marco Belpoliti, che lo intervistava, gli ha chiesto chi includerebbe in Ritratti italiani (Adelphi, 2014) del mondo di oggi, Arbasino ha risposto: “Buona domanda, ma nessuna risposta”. Eppure, viviamo in tempi interessanti.
Grammatica: La grammatica della fantasia di Gianni Rodari, quella generativa di Noam Chomsky e gli studi di George Miller sono i punti di partenza dai quali Cristiano Chesi intraprende un viaggio nel mondo delle filastrocche, per capire di quali “ingredienti” esse siano composte e come facciano a combinarsi in modo “gustoso”. Per realizzare una filastrocca efficace occorre raggiungere un equilibro tra la soddisfazione di un’aspettativa e il piacere legato alla novità, il tutto coadiuvato da brevità, ritmo e rima per facilitare le possibilità mnemoniche. Eppure, manca ancora qualcosa per renderle sensate. Grazie a Wordnet, la rete semantica universale promossa da Miller che raccoglie definizioni di concetti e loro relazioni, è possibile migliorare la qualità della “ricetta” che ci consente di svelare e riprodurre con l’aiuto di un computer il procedimento di creazione delle filastrocche. Alla fine del viaggio si impara che la grammatica, lungi dall’essere una lista di prescrizioni, è piuttosto un insieme di possibilità.
Inclinazione: virtù morale e atteggiamento esistenziale contrapposto alla rettitudine (inevitabilmente collegata alla concezione del soggetto maschile), l’inclinazione, che è apertura verso l’altro, è al centro della proposta di cambiamento di prospettiva che la filosofa Adriana Cavarero avanza nel suo libro Inclinazioni. Critica della rettitudine (Raffaello Cortina, 2014). L’in-dividuo isolato dal resto della comunità è un concetto astratto, irrealistico, eppure è il modello del soggetto di diritti nella società moderna: chi non aderisce al modello viene in qualche modo “aiutato” a verticalizzarsi, ad avvicinarvisi quanto più possibile, poiché la vulnerabilità del soggetto non è contemplata. Occorre, secondo Cavarero, ripensare i diritti a partire dalla vulnerabilità e contrapporre alla virtù della rettitudine quella dell’inclinazione, che spiega di più della vita quotidiana, della nostra natura relazionale.
Mediatori: Marino Sinibaldi, con Massimo Cirri e Giuseppe Laterza, ha affrontato il tema dei nuovi media e dell’accesso alla cultura, dando ragione a Rifkin limitatamente all’aspetto dell’informazione ma sottolineando come il progresso cui apre la rete non sia fatto solo di magnifiche sorti e progressive: anche in Internet i grandi gruppi, come Amazon e Google, stanno creando delle enclosures, privatizzando così quello che era un campo comune. L’accesso all’informazione da parte di tutti è senz’altro positivo, ma non è vero che non ci sia più bisogno di mediatori: questi semplicemente cambiano, e oggi sono rappresentati di colossi della rete.
Poesia: alla serata di tributo che il Festivaletteratura ha dedicato al poeta palestinese Mahmood Darwish, Elisabetta Bartuli ha narrato di cosa successe quando cominciò a diffondersi la voce della morte di Mahmood Darwish, nell’agosto 2008: la sua opera Non voglio che questa poesia finisca, inevitabilmente incompiuta, cominciò a circolare nel web e lo fece moltissimo. È stato come se tutti gli ammiratori del poeta volessero esaudire il desiderio che il titolo stesso della poesia esprime. Mentre in altri luoghi del festival si parlava del ruolo di Twitter nel mondo culturale, di digitale e di altri argomenti di questo ambito, in un intimo e sentito tributo a Mahmood Darwish s’incarnava una forma di diffusione letteraria online tanto spontanea quanto rincuorante. Il giorno dopo, interrogato sui suoi inizi come poeta (giovanissimo poeta che si è rinnegato da solo gettando le sue tantissime poesie) Antonio Moresco ha raccontato: «Nasco come poeta. Poi ho rotto con la poesia, non so perché, ma è stato in quel momento che l’ho sposata veramente». Rompere con la poesia per sposarla veramente: un tentativo da fare anche per noi lettori (talvolta riluttanti, con la poesia), qualsiasi cosa significhi per ognuno dei nostri vissuti.
Potere: il potere è un nodo concettuale che non passa mai di moda. Quello maschile, secondo Adriana Cavarero, che ha governato per secoli il lessico, la filosofia e la morale. Quello dei grandi colossi industriali, secondo Jeremy Rifkin, destinato a cedere spazio sempre di più alla gente comune grazie al diffondersi dell’economia della condivisione. Quello delle mafie, secondo Giuseppe Ayala, che si interseca nel sistema di potere italiano; quello dei mediatori dell’informazione secondo Marino Sinibaldi, e quello che costituisce il grande assente di molta narrativa americana – non discusso, tenuto sempre al di là della narrazione – secondo Michael Cunningham.
Rabbia: Sarajevo, Chicago, Gaza… Mantova. «Rabbia is a beautiful word», ha detto a un certo punto Aleksandar Hemon nell’incontro con lui e Chiara Valerio. Durante la serata dedicata a Mahmood Darwish, ma anche durante gli altri incontri del focus che Festivaletteratura ha dedicato alla Palestina, è stata letta la poesia Silenzio per Gaza, e alla rabbia lirica di quelle parole faceva eco quella di molte persone in sala, come se fosse potere della poesia quello di gettare luce su ciò che è successo di recente (e in passato e tutt’ora) a Gaza. E poi la rabbia di Aleksandar Hemon, che ha raccontato il suo metodo di scrivere pagine e pagine di sfogo iracondo – contro il governo Bush, per esempio, e non solo – per poi eliminarle dal testo e distribuire quel sentimento, mondato dall’attualità contro cui si scagliava l’autore, fra i personaggi dei suoi libri. Se si parla di rabbia, la distinzione fra fiction e non-fiction appare di nuovo nuda.
Scrittura: il premio Pulitzer Michael Cunningham si presenta come un uomo fortemente legato alla spiritualità, aura nella quale ha vissuto fin da quando era bambino in casa dei genitori. Una spiritualità non necessariamente connessa al religioso, concepita piuttosto come un anelito, quasi un’esigenza: «Alzi la mano chi non desidera qualcosa di più grande e più bello ed è contento così». Sono le emozioni, la capacità di provarle e di stupirsene, a guidare la scrittura. Questa è sempre un rapporto reciproco con il lettore, che “scrive” a sua volta il libro: non esistono, infatti, due lettori che abbiano letto lo stesso libro. Anche Claudio Magris ha affrontato il tema della scrittura, spiegando perché, quando scrive narrativa come saggistica, la considera una pura forma di avventura: si parte ma non si sa dove si andrà. Aleksandar Hemon, da parte sua, ha raccontato il ruolo della scrittura nel meccanismo che, nei suoi libri, segna la linea fra autobiografia e finzione esplicita: «I personaggi sono simili a me, ma poi compiono altre scelte, e le nostre strade si separano, fanno scelte che io non farei».
Testimonianza: Giorgio Fontana, autore del dittico di “romanzi civili” Morte di un uomo felice (Sellerio, 2014) e Per legge superiore (Sellerio, 2011), e Benedetta Tobagi, autrice dei saggi Come mi batte forte il tuo cuore (Einaudi, 2011) e Una stella incoronata di buio (Einaudi, 2013), considerano i propri lavori come complementari. Entrambi si misurano con momenti della storia italiana recenti che però non hanno vissuto, perché ancora non nati o appena bambini. E questo è un dato di fatto che, nel discutere dei loro libri, viene continuamente tirato in ballo, quando non usato come argomento di discredito critico. La conversazione fra loro è stata occasione di tornare sul concetto di testimonianza, della legittimità profonda dell’interesse esplorativo di fasi di storia quasi attuale quando quei giorni non li si è vissuti. Lo stesso tema è emerso nell’incontro con lo scrittore serbo americano Aleksandar Hemon. Giornalista, si trovava a Chicago e il suo aereo per rientrare a Sarajevo era previsto per il 2 maggio 1992: il giorno in cui iniziò l’assedio della città. Rimase a Chicago, e lì era preda di un dilemma etico che riguardava proprio il tema della testimonianza: non si sentiva in diritto di parlare di qualcosa che non stava vivendo, la guerra nel suo Paese, ma allo stesso tempo non poteva negare la sua identità bosniaca e sottrarsi del tutto alle tante sollecitazioni di testimonianza. Fontana, Tobagi, Hemon: scrollarsi del dato identitario può talvolta significare anche doversi scrollare del dato anagrafico.
Twitter: lo scrittore satirico Gary Shteyngart parla con ironia del suo rapporto con twitter, che definisce «Un fantastico strumento di autopromozione» che mette nella condizione di consumare molta più informazione ma a piccoli morsetti, come dei cani. Gli chiediamo come si faccia a orientarsi tra la pletora di hashtag e followers, e a distinguere tra chi veicola informazione e chi invece è un cialtrone. «A meno che non si tratti di Salman Rushdie, al momento è molto difficile capire se chi scrive su twitter è una persona seria o semplicemente il primo stronzetto di turno» ci risponde. «Ma quando avranno fondato la facoltà di twitterologia alla Columbia, di cui io sarò docente, verrò sicuramente a capo della questione».