Che cosa resta del New Italian Epic

Recensione di “NIE – New Italian Epic” a cura di Claudia Boscolo, in Bollettino ’900, 2012

di Emanuela Patti

È uscita recentemente su Bollettino ‘900, rivista letteraria online, una sezione speciale sul New Italian Epic curata da Claudia Boscolo, con interventi della stessa curatrice, Monica Jansen, Dimitri Chimenti, Srecko Jurisic, Emanuela Piga e Flavio Pintarelli.

Sono ormai passati quattro anni da quando nell’aprile del 2008 lo scrittore Wu Ming 1 pubblicava in rete la prima versione di una mappatura critica dello scenario letterario contemporaneo (1993-2008). Non si presentava intenzionalmente come un manifesto, che avrebbe altrimenti richiamato lo spettro dell’ideologia o delle avanguardie del XX secolo. Si definiva piuttosto un‘Memorandum’ 2.0, di fatto un anomalo testo di critica che si avvicinava più alla logica di un ipertesto e sfruttava modalità e potenzialità di un canale considerato nel 2008 ancora poco ortodosso per il dibattito culturale, la rete. Il ‘Memorandum’ era soprattutto uno spin-off di discorso letterario: la proposta di una ‘nebulosa’ di testi legati da affinità, alcune coordinate di un discorso critico “aperto” ed un pubblico virtualmente illimitato di commentatori. Nel 2009 il ‘Memorandum’ sarebbe poi stato pubblicato in forma più estesa ed aggiornata (3.0) con Einaudi nella collana Stile Libero con il titolo New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro.

Il NIE coglieva, con un certo anticipo rispetto agli altri, lo spirito del tempo. Si sarebbe infatti sviluppato come uno dei primi esempi nel panorama letterario italiano di networking militante nella Galassia McLuhan: i social media rendevano possibile un nuovo attivismo culturale che sfidava la già debole rappresentatività delle istituzioni e dei media tradizionali ed affidava alla viralità di rete la conquista del consenso. Non a caso, a breve sarebbe seguito anche il boom dei lit-blog ed il cortocircuito tra i social network, media tradizionali e mercato editoriale, tutte naturali conseguenze di quella “cultura convergente” teorizzata nell’omonimo libro di Henry Jenkins (2007) di cui proprio i Wu Ming avevano scritto la Prefazione.

Se il NIE è stato innanzitutto un fenomeno transmediale, vale la pena ricordare lo scenario culturale che ne ha dato la spinta. Tra i temi caldi del ‘Memorandum’ figuravano in primis il ritorno ad un’etica della narrativa contro il divertissement di certa letteratura postmoderna e la fiducia nel valore referenziale della parola nel rapporto con la realtà storica e sociale.

Era bastato già questo perché qualcuno tornasse a sventolare la bandiera del realismo, perché si coniassero termini come il “neo-neorealismo”. Quanto di più lontano da chi invece poneva l’enfasi su una nuova epica, intesa come forma di auto-rappresentazione. Un’epica basata sulla riscrittura finzionale della storia attraverso sguardi obliqui, sull’elaborazione narrativa dei traumi collettivi, sulla ricostruzione della memoria pubblica e privata, sull’ibridazione di linguaggi, generi, ma soprattutto fonti documentarie. Sembra quasi inutile precisarlo, ma il NIE nasceva in un contesto storico-culturale in cui l’Italia usciva da un terzo governo Berlusconi e stava per entrare nel quarto. Punti di svolta, specifica Wu Ming, erano stati due eventi storici percepiti come “apocalittici”: il G8 di Genova nel 2001 e l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre. La rappresentazione mediatica di quest’ultimo aveva dimostrato in tutta la sua drammaticità il pericoloso continuum tra realtà e finzione: Benvenuti nel deserto del reale! siglava in quegli anni il discorso con cui Slavoj Žižek richiamava alle sue responsabilità la Sinistra postmarxista.

Di fronte al rischio della Grande Narrativa berlusconiana e della seduzione della finzione mediatica, il ‘Memorandum’ rispondeva quindi con una reazione uguale e contraria: interpretava il senso di urgenza di prendere coscienza dei nuovi strumenti mediatici per una contro-narrativa, di riappropriarsi di una foucaultiana “attitudine del limite” e di restituire alla letteratura il potere della riscrittura della Storia.

A distanza di quattro anni, che cosa resta del NIE? Si è in parte esaurito il dibattito critico alimentato dall’esperienza del lavoro collettivo del laboratorio online PolifoNIE, un’”officina” composta da alcuni scrittori della nebulosa ed un gruppo di critici. Il ‘Memorandum’ ha qui trovato un humus fertile perché il NIE prendesse la forma e la sostanza di un discorso letterario e si avvalesse delle diverse specializzazioni dei suoi partecipanti. Come ricorda Claudia Boscolo, fondatrice del laboratorio, “attivo dalla fine del 2008 a tutto il 2010, nel corso di due anni di attività ha ospitato vivaci e intense discussioni”.

Le coordinate teoriche del ‘Memorandum’ confermano, tuttavia, di essere ancora oggi utili punti di riferimento per una disamina della nuova narrativa italiana. Lo dimostrano alcuni dei contributi di questa sezione speciale di Bollettino ‘900 incentrati su testi citati nel ‘Memorandum’ o su nuove opere scritte dagli stessi autori della nebulosa. A cimentarsi nell’analisi di nuove opere sono i saggi di Srecko Jurisic, Emanuela Piga e Flavio Pintarelli. Jurisic verifica il concetto di UNO (Unidentified Narrative Object) su alcuni romanzi di Andrea Camilleri (La strage dimenticataLa bolla di componendaLa biografia del figlio cambiato e Le pecore e il pastore). Piga prende in esame Le rondini di Montecassino di una delle scrittrici più interessanti della nebulosa, Helena Janeczek. L’analisi di Piga esplora in dettaglio le commistioni tra narrativa, saggistica e narrazione storiografica per dimostrare in che modo la costituzione epica del romanzo si sviluppa a partire da una “memoria multidirezionale” (Michael Rotberg). Pintarelli, infine, analizza il sistema semisimbolico di Altai dei Wu Ming tracciando un parallelo storico con l’11 settembre. Conferma invece i risultati di alcune sue precedenti analisi il saggio di Dimitri Chimenti. Partendo dal concetto di UNO, Chimenti utilizza gli strumenti interpretativi di innesto, inserto e prelievo per esaminare l’ibridazione “eso-letteraria” di Gomorra di Saviano.

Su un altro versante rispetto all’analisi testuale si muove il contributo di Monica Jansen che mette alla prova il caposaldo teorico del NIE, il concetto di nuova epica. Il termine di confronto è la “scrittura dell’estremo” con cui Daniele Giglioli in Senza trauma identifica il principale sintomo della narrativa italiana contemporanea. Se simile è la rete di scrittori che Giglioli prende in considerazione, diverso è l’approccio metodologico rispetto al ‘Memorandum’. Il linguaggio lacaniano/žižekiano fornisce a Giglioli gli strumenti per argomentare che le scritture prese in considerazione sono di fatto costruite sull’assenza del trauma, o meglio sul “trauma senza trauma” che rivela, secondo Giglioli, la prevalente identificazione vittimaria dell’identità contemporanea. Come sembra suggerire Jansen, la prova dell’epica si misurerebbe quindi nel modo di intendere questo trauma fantasmatico: se il ‘Memorandum’ lo eleva a scala planetaria, Giglioli richiama invece alla responsabilità individuale di resistere alla sua rimozione. Resta irrisolta la pretesa di realismo: è l’indicibile individuale più Reale rispetto a quello che riguarda una comunità? Detto questo, l’epica del NIE sembra piuttosto rispondere all’esigenza di recuperare una finalità collettiva, nella vita prima ancora che nella fiction, di restituire alla Storia/storia quello che Kermode chiama “a sense of an ending”, il senso della fine. O potremmo dire, il senso del fine.

L’intervento di Claudia Boscolo illustra in che modo le nuove strategie di auto-rappresentazione, da un lato restituiscono nel narrato la frammentazione esperita nel personale vissuto degli autori, dall’altro riscoprono nell’identità collettiva, piuttosto che individuale, il senso della loro narrazione. Viene preso ad esempio il caso di Scrittori precari, la cui scrittura si fa portavoce del disagio sociale attraverso narrazioni che riflettono la precarietà della loro condizione.

I supporti transmediali utilizzati dal gruppo dimostrano che l’ultima generazione della “nuova epica italiana” risponde alla frammentazione della propria linearità esistenziale attraverso la costruzione di un immaginario collettivo che trova nella “Rete” il suo migliore alleato. A questo punto, se è vero, come sottolinea Boscolo, che “è con la narrazione che si dà senso al mondo”, dove sta il confine tra esperienza individuale e Grande Narrativa? È a partire da questa domanda che si gioca il senso della letteratura post-apocalittica. Come insegna La strada di Cormac McCarthy è lungo il percorso del sopravvissuto tra l’Apocalisse, ovvero il trauma, e la fine della storia che ciascun romanzo ha la possibilità di ricostruire il suo sense of an ending a partire da un ground zero, l’annullamento di ogni significato.

D’altronde, se il trauma può essere fantasmatico, la ferita ha il potere di ricordarci che il nostro passato è reale.

Scars have the strange power to remind us that our past is real (McCarthy).

Il numero speciale è disponibile a questo indirizzo.

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