Caterina la raccattacanzoni. Intervista a Francesco Corsi

Il film Caterina è il ritratto di una delle maggiori interpreti e ricercatrici del canto popolare in Italia, Caterina Bueno. Mancano ancora 15 giorni alla chiusura della campagna di raccolta fondi che permetteranno al regista Francesco Corsi e alla casa di produzione Kinè di acquisire alcune immagini dagli archivi Rai.


Come sta procedendo la campagna?

La campagna sta procedendo bene. Per noi è centrale la possibilità di utilizzare il repertorio presente nelle teche Rai. Il nostro documentario si basa proprio sull’utilizzo di numerose fonti documentarie audio e video che proveremo a far dialogare con i personaggi e i luoghi che hanno caratterizzato la vita di Caterina Bueno. Abbiamo pensato di proporre a chi ha deciso e chi deciderà di sostenerci alcune speciali ricompense come l’edizione speciale del dvd, i ringraziamenti in ottava rima di Giovanni Bartolomei che per lungo tempo ha cantato con Caterina, la possibilità partecipare direttamente alla produzione del documentario e organizzare un concerto o un disegno di Raffaele Bueno, pittore e fratello di Caterina.

Avete deciso di ripercorrere alcuni dei luoghi di raccolta delle canzoni popolari che Caterina Bueno esplorava per la sua ricerca ascoltando direttamente dalla voce delle persone e riportandone poi sul palco una sua interpretazione. Quale taglio hai voluto dare al tuo documentario?

Uno dei grandi nodi narrativi su cui si concentra il documentario è proprio quello del ritorno. Anzi di un doppio ritorno. Dobbiamo questo spunto al ritrovamento di una bobina che contiene Caterina Raccattacanzoni. Si tratta di un filmato del 1967, dove una piccola troupe di tre persone seguiva Caterina nei luoghi in cui lei aveva già fatto ricerca. Questo era un primo ritorno messo in pratica dalla stessa Caterina Bueno. Ed è proprio all’interno di questo documentario “ritrovato” che si cominciano a vedere i cambiamenti della campagna toscana, già meno abitata rispetto ai tempi delle prime ricerche di Caterina.
Ci interessava stabilire una connessione fra questi due passati: il nostro ritornare su quei luoghi assieme a quelli del documentario Caterina Raccattacanzoni. Il tentativo era, ed è, capire se sarà possibile riattivare i meccanismi della memoria, se saranno ancora presenti connessioni, chiavi, vincoli o se invece saranno spezzati del tutto. Ci domandiamo, senza pensare di dare una risposta definitiva, se quel lavoro di Caterina oggi può avere degli echi nuovi e se ancora possa parlare al nostro tempo e la nostra contemporaneità.
In questo senso abbiamo privilegiato un racconto che seguisse i frammenti di memoria che abbiamo ritrovato sia in termini di materiale archivistico che di relazione e eredità. Ne emerge, più che un ritratto dai contorni netti, un vero e proprio mosaico fatto di differenti ricordi e interpretazioni su ciò che Caterina Bueno ha rappresentato per le persone che le sono state più vicino o hanno guardato a lei come una fonte d’ispirazione: memorie differenti, spesso complementari, qualche volta anche apparentemente in contrasto tra loro, che certo contribuiscono a restituire alla figura di Caterina tutta la sua complessità.

Il tema che volete affrontare dunque è quello della memoria di cui Caterina si è fatta tramite o del pericolo della sua scomparsa? Forse sono aspetti che stanno in parallelo?

La nostra operazione di recupero della memoria non vuole avere nessun tipo di nostalgia nei confronti del suo oggetto. Del resto neanche il lavoro di Caterina ha mai avuto uno scopo nostalgico, tutt’altro. Pensiamo di studiare il passato e la tradizione per trovare connessioni e rotture, per creare strumenti di pensiero critico e non rimanere in approccio esclusivamente rievocativo.
Ci chiediamo, in tempi di corse identitarie, che tipo di rapporto può avere una comunità con la sua memoria? Abbiamo girato fra i luoghi di Caterina con questa domanda in mente e ci siamo ritrovati immersi in una sorta di cortocircuito della memoria.
La figura di Caterina Bueno da un lato semplifica e da un lato complica questo interrogativo. Semplifica perché concentra su di sé una serie di istanze: dalla ricerca, alla riproposizione, alla raccolta di questi testi e musiche popolari, fino alla loro traduzione per altri contesti e verso altri pubblici diversi da quelli originari. Complica perché questi momenti non erano mai, per lei, separati: ricerca e riproposizione erano due elementi che si richiamavano costantemente e permettevano l’esistenza l’uno dell’altro in una sorta di circolo virtuoso. Oggi il canto popolare lo viviamo forse più come interpretazione di brani tradizionali, ma è meno presente il momento della ricerca in sé: è dunque molto difficile oggi pensare a questo tipo di lavoro con l’interruzione di questo circolo, così prezioso, ma anche con la frammentazione, quando non la sparizione, del suo universo di riferimento, come nel caso del mondo contadino che Caterina aveva conosciuto ed esplorato. Nel documentario però ci saranno tracce, percorsi, dettagli e storie che forse possono aiutare a riprendere certi fili del discorso.

Spesso il motore che produce il tipo di ricerca messo in pratica da Caterina Bueno è quello della scomparsa o della percezione della scomparsa della memoria. Oggi la musica popolare è certamente un oggetto culturale che si muove su differenti direttrici recuperando a volte l’elemento di resistenza e protesta a volte quello di intrattenimento e convivialità.

C’è un momento, non soltanto in Italia, quello degli anni ’60 e ’70, dove c’è stata una coincidenza fondamentale fra recupero della tradizione, canto sociale e canto di protesta. Quegli oggetti culturali che appartenevano al passato erano in grado di parlare alle criticità del presente. A mio modo di vedere, come semplice appassionato di musica popolare, oggi riconosco solo in parte questa coincidenza e con due differenze fondamentali. La prima riguarda la diffusione, oggi la musica popolare non è certo un fenomeno di massa. Caterina Bueno e Giovanna Marini avevano tournée internazionali: dagli Stati Uniti, alla Russia, al Nord Europa. La musica popolare era permeata anche dai canali di diffusione main stream.
La seconda differenza è che oggi ci troviamo, in molti casi e fatte alcune importanti eccezioni, di fronte ad una riproposizione della riproposizione. Nella seconda metà del Novecento la musica popolare veniva riproposta a partire da una connessione diretta con la generazione che ne era depositaria. Questo aspetto ha contribuito a far sì che questi canti producessero immediatamente un effetto quasi rivoluzionario dal punto di vista del messaggio, constatando come le condizioni di vita raccontate fossero immediatamente disponibili per le proteste politiche in corso. Oggi ci sono certamente alcune realtà che fanno della musica popolare una forma di protesta ma rimangono contesti marginali, spesso la musica popolare rimane confinata nell’ambito degli appassionati e con difficoltà riesce a raggiungere alcune fasce della popolazione. Sarebbe interessante capire adesso come i canti di migrazione, penso a Maremma Amara e altri, possano parlare o meno a chi adesso si trova ad essere protagonista di questa condizione materiale.

Vorrei chiederti in una sorta di esercizio di immedesimazione: quali sarebbero stati a tuo parere i percorsi che Caterina immaginava per il per il suo lavoro di ricerca e riproposizione del canto popolare? Da cosa si sarebbe fatta incuriosire nel panorama di oggi?

Uno dei punti di forza di Caterina Bueno è stata certamente la sua passione per la ricerca.
Per Caterina ritrovare voleva dire dare valore, condividere, riconoscere dignità a storie e mondi che, altrimenti, avrebbero rischiato di non emergere o di essere comunque dimenticati come curiose, ma poco utili, appendici del passato. Del resto canti come Maremma Amara si portavano dietro un carico naturale, anche se spesso non strutturato o esplicito, di protesta e rivendicazione sociale. In questo senso, ritrovare quei canti, quei pezzi di memoria, mantenerli vivi e farne anche strumenti per l’interpretazione e la critica del presente è la cosa più lontana da un’operazione nostalgica. Al contrario: proprio nell’intervista preparatoria a Caterina Raccattacanzoni, dopo averci pensato un po’, usa parole molto precise per spiegare come mai avesse deciso di dedicare la propria vita al canto popolare: ricordare, diceva Caterina, è un atto rivoluzionario.

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