Satira politica ai tempi della post-ironia

La campagna elettorale nell’epoca del partito dei memers.

Le elezioni politiche sono alle porte e per la prima volta in Italia, dopo la diffusione universale di smartphone e social network, assistiamo a una satira politica ideata e perfezionata dagli utenti stessi, spesso giovani under 30 che cercano di dare espressione al loro scoramento. Questa nuova satira sta prendendo delle pieghe diverse rispetto a quella a cui siamo abituati e mostra in una maniera inedita il risentimento generazionale e il cinismo di molti esponenti della generazione dei Millennials.

I giorni in cui internet appariva come una fonte di notizie affidabile sono da tempo alle nostre spalle e perfino la satira online sembra ormai non avere più attinenza allo stato di cose della realtà. Oggi, nel 2018, stiamo assistendo alla prima campagna elettorale italiana svolta interamente a colpi di meme e fake news e che si autoproclama post-ironica. Si tratta di una campagna elettorale virtuale, che non sta avendo luogo effettivamente, ma che tuttavia coinvolge centinaia di migliaia di possibili elettori, molti dei quali probabilmente non si recheranno alle urne il prossimo 4 marzo, forse per disinteresse, noia, o sfiducia. Eppure – sostiene un meme pubblicato pochi giorni fa dalla pagina Facebook Logo Comune Berlusconi prenderebbe ben il 60% dei voti grazie al voto ironico, l’80% se si decidesse a dare un tocco Vaporwave all’inno di Forza Italia.

Di che tipo di campagna elettorale si tratta? Che internet sia invaso da meme, immagini macro e pagine non sense caratterizzate da una forma di post-ironia nichilista e autoreferenziale, non è più una novità. Questo fenomeno ha assunto ultimamente in Italia una piega molto singolare grazie alla comparsa di nuove pagine che combinano le influenze grafiche e contenutistiche più svariate, riuscendo a dar vita a un vero e proprio mondo parallelo nel quale in questo momento si sta svolgendo una campagna elettorale molto stravagante. Si tratta di pagine come Socialisti Gaudenti, Memecrazia Cristiana, Hipster Democatrici, Logo Comune, Karbopapero 900, Phazyo (gli aficionados si ricorderanno il suo nome originale prima della censura), Layzö, e così via. Ognuna di esse crea il suo mondo post-ironico in maniera diversa, stereotipando i caratteri dei veri protagonisti e dando loro una ricca gamma di attributi fittizi. Una volta messi a punto questi universi alternativi, si è scatenata una vera e propria guerra tra mondi a colpi di botta e risposta tra memers. Così Alfano è diventato il capitano delle truppe anfibie in lotta con le truppe gender di Luxuria, Di Maio (conosciuto come Deep Mayo) si scopre essere esperto di Wittgenstein e di Gestaltphilosophie, Di Battista ha una relazione segreta con la Boschi, il Movimento 5 Stelle è un esperimento sociale, Grillo si rivela Charlie Brooker e Berlusconi porta i baffoni alla Nietzsche, il tutto mosso dietro le quinte da memers e admin burrattinai.

Le fonti da cui i nuovi demiurghi attingono per plasmare questi strani personaggi e il loro ambiente circostante sono le più svariate e spaziano da elementi del panorama trash televisivo italiano fino a citazioni erudite prese direttamente dai manuali di letteratura. Analizziamone alcune. Da una parte vi è una presa di consapevolezza e una messa in evidenza dell’impatto che la programmazione Mediaset ha avuto sulla cultura e sulla società italiana. Come esponente privilegiato delle reti di Berlusconi è stato scelto il noto presentatore di Striscia la Notizia Ezio Greggio – ampiamente presente nei post di Phazio e di Dank memoni Besughy: the rise –  rappresentato come un’atavica entità maligna che si manifesta in ogni epoca nelle forme più svariate e interagisce spesso con i protagonisti del dibattito politico e della scena televisiva attuale. Non è soltanto Mediaset a rientrare nel mirino dei fautori della satira post-ironica. In generale si può riscontrare una critica al giornalismo spicciolo e scandalistico, che tende a gonfiare i casi di cronaca più vendibili fornendo dettagli sempre più lugubri o di cattivo gusto e cerca di cavalcare l’onda dell’emotività e del populismo. La pagina I Marò e altre creature leggendarie, che ha continuato alacremente la sua attività satirica anche dopo il ritorno dei Marò e si impegna tuttora nel ricostruire a suo modo le vicissitudini della campagna elettorale, ha superato ampiamente i 200.000 like parodiando il modo in cui la stampa ha fatto pressione sull’opinione pubblica per mantenere la vicenda dei Marò un hot topic nel corso degli anni.

Al di là del riferimento al panorama dell’informazione pubblica, i post dei memers propongono spesso dei crossover tra gli interventi dei politici in televisione e serie particolarmente in voga (ad esempio Black Mirror o Stranger Things), dando vita a un’operazione di detournement mirata a decontestualizzare totalmente l’immagine o le parole dei candidati e a spettacolarizzarle in una maniera cinematografica che trascende il fatto di essere in campagna elettorale, ponendole al livello di uno show televisivo di intrattenimento e fondendole di volta in volta con le tematiche dello spettacolo in questione. Il crossover più notevole è forse quello con la serie televisiva Boris, che in una maniera acuta ed esilarante, ma allo stesso tempo drammatica, ha saputo rappresentare i cliché negativi dell’Italia, come quello delle raccomandazioni, degli stagisti sottopagati e dei contenuti televisivi di bassa qualità o – come direbbe René Ferretti – fatti “a cazzo di cane”. Andata in onda per la prima volta undici anni fa, questa serie è tuttora in voga ed è spesso lo scenario di alcuni sketch della satira 2.0.

Ad arricchire il tutto possiamo trovare riferimenti colti e puntuali alla storia della filosofia e della letteratura. I protagonisti della campagna elettorale post-ironica sembrano estremamente istruiti e amano dare sfoggio della loro cultura nelle situazioni più improbabili, presentandosi come degli intellettuali kitsch che sciorinano versi e tesi filosofiche come se fossero punti di un programma elettorale. Ciò ci fornisce un elemento in più per definire un ipotetico profilo dei memers. I loro riferimenti mediatici facevano già trasparire che si tratta di Millennials, giovani cresciuti negli anni ’90 o nei primi anni 2000. Oltre a ciò, queste persone sanno scrivere molto bene e rivelano di aver avuto accesso a una buona formazione, i cui frutti sono adesso a disposizione della loro azione di satira. 

Come se non bastasse, a rendere questi mondi fittizi ancora più surreali si aggiungono citazioni di Foster Wallace sui layers ironici e filtri Vaporwave e semi-sgranati che rendono i personaggi sempre più eterei e al contempo grotteschi. Le ambientazioni sono studi televisivi finti e ovattati, riprodotti in qualità VHS anni ’80, e spesso vengono chiamati in causa momenti della storia politica italiana alla quale diversi memers con molta probabilità non hanno mai assistito, come la discesa in campo di Berlusconi.

Di fronte a questo fenomeno si potrà forse pensare che il mondo distopico dei memers in fondo non è così distante dal nostro mondo reale, dove i politici di ogni partito – incuranti del caveat di Mattarella di fare proposte concrete in sede di campagna elettorale – si sono impegnati in promesse deliranti e chiaramente irrealizzabili, che difficilmente possono essere prese sul serio. Si pone allora una legittima domanda: che cosa fanno di diverso i memers? Non stanno declinando anche loro ogni pretesa di serietà? Non ci stanno prendendo in giro anche loro, ridendo per non piangere sul latte versato?

L’aspetto a mio parere più interessante di questa campagna elettorale virtuale risiede proprio in questo punto: non è detto che i memers non siano seri e non è detto che i loro followers stiano solo scherzando. La post-ironia, la Vaporwave e la loro ultima evoluzione nel partito dei memers sono dei fenomeni che si collocano al limite tra serietà e non serietà, che decostruiscono il concetto stesso di serietà al quale l’ironia in linea teorica dovrebbe contrapporsi. Il dibattito politico reale ha già abbattuto ogni limite della decenza e del buon gusto e ha inventato nuove pieghe del trash televisivo. Guardando un qualsiasi talk show in televisione è possibile assistere nel giro di mezzora ai più grossolani errori argomentativi e a delle palesi scorrettezze nel comportamento. A volte certi spettacoli sono perfino fomentati dagli stessi moderatori in cerca di audience. Sono pochi i politici interpellati che rispondono in maniera coerente alle domande e la maggior parte si prolunga in argomenti ad hominem e non sequitur, adducendo a loro sostegno delle fake news e – in certi casi estremi – facendo leva sull’emotività e sull’indignazione delle persone per promuovere ideali xenofobi e razzisti o per incitare a lotte robespierriane contro le classi sociali più diverse. Di fronte a questo spettacolo risulta ben comprensibile l’estro caricaturale dei memers: visto il punto a cui siamo arrivati, chi non desidererebbe vedere veramente Di Maio entrare in studio e rispondere a Floris con citazioni di Wittgenstein o intavolare con Salvini un dibattito sulla filosofia della percezione? Non sarebbe meraviglioso svolgere le dirette in studi di registrazione alla David Lynch, magari anche sostituendo le parole dei contendenti con i botta e risposta sconnessi dei conigli di Rabbits?

L’ironia dei memers non è una forma comune di satira, né un’ironia frivola che galleggia sulla superficie di un’opaca stupidità. Dietro l’ironia dei memers si cela piuttosto la consapevolezza di una situazione così critica e di un naufragio già in corso. Qualsiasi altra reazione apparirebbe come un atto vano e disperato, come un prendere sul serio ciò che non può essere preso sul serio. Dare una qualsiasi forma di credito o riconoscimento ai soggetti “memeificati”, che spesso corrispondono agli artefici stessi della rovina della seconda Repubblica, significherebbe giocare il loro gioco. È proprio qui che interviene il famigerato millennial humor adottato dagli amministratori delle pagine che stiamo osservando: un senso dell’umorismo nichilista che esprime il disagio di una certa nicchia generazionale che “sarà ricordata per i meme e per voler morire”, come recita una citazione apparsa su Tumblr che subito spopolò sul web.

Basandosi sul alcuni studi sociologici, l’anno scorso in un articolo sul Washington Post la giornalista Elizabeth Bruening propose un ritratto dei Millennials come una generazione per la quale i tradizionali punti di riferimento, come la religione e la famiglia, hanno molta meno importanza e che deve rinunciare sempre maggiormente alla prospettiva di una stabilità lavorativa. Questa generazione è costantemente esposta al rumore di fondo proveniente dal web, bombardata da troppe informazioni che non è in grado di elaborare, e mette sempre di più in dubbio la sensatezza del mondo e della vita, proprio come fanno i protagonisti degli show BoJack Horseman e Rick e Morty, che ben dipingono lo spaesamento che molte persone al giorno d’oggi possono provare. Tutto ciò – a cui nel nostro caso potremmo aggiungere altri fattori inerenti esclusivamente al caso italiano – ha portato molti millennials a una graduale perdita di fiducia e a un generale disinteresse per la politica.

È proprio in virtù della loro volontà di distaccarsi completamente dalla maniera mainstream e inefficace di rapportarsi alla mala politica, di deflazionare fino all’assurdo il loro antagonista arrivando al punto di ridurlo al niente, che i promotori della satira post-ironica non si pongono come un gruppo di ragazzi che cazzeggiano su Facebook ma si presentano piuttosto come gli Übermenschen del 2018 che danzano sul divenire e guardano dritto dentro l’abisso: i perfetti attivisti del movimento proposto di recente da Gene Gnocchi: “Il Nulla”.

Tuttavia, il Movimento del Nulla non esiste, né tantomeno esiste il Partito dei Memers (sebbene pochi giorni fa sia stata creta una pagina Facebook con questo nome). Di fronte a una simile espressione di rassegnazione mista a cinismo, sorge dunque una domanda spontanea: cosa faranno questi memers e i loro followers il 4 marzo? Si tratta di centinaia di migliaia di persone, per la maggior parte under 30, il cui futuro sarà profondamente influenzato dalle scelte dei politici di domani. Ma la vera domanda forse è un’altra, e va posta senza alcun tono accusatorio: perché invece di spendere il loro tempo guardando i meme su Facebook (proprio come faccio io), i giovani non si danno alla politica e non propongono soluzioni alternative?

Tempo fa un video in cui Enrico Mentana “blastava” una ragazza che si lamentava della mancanza di opportunità lavorative per i giovani neolaureati destò molto scalpore. Nel suo intervento Mentana incitava i giovani a posare lo spritz e lo smartphone per prendere i cartelli e manifestare. In altre parole, stava accusando la millennial generation italiana di essere smidollata, di non sapersi arrabbiare e non saper combattere per il proprio diritto al lavoro. Probabilmente Mentana nella sua affrettata quanto veemente risposta alla ragazza ha dimenticato di considerare che forse questa generazione non è semplicemente nata smidollata, ma cova un profondo senso di rassegnazione dovuto in parte proprio al conflitto generazionale con i baby boomers (ben rappresentati dal film Yuppies), generazione a cui egli stesso appartiene. L’invito a prendere possesso del proprio presente rimane tuttavia un buon consiglio. È comprensibile che, di fronte all’attuale situazione politica, lo sconforto porti i giovani a rifugiarsi nella post-ironia invece che ad andare a votare. Tuttavia, un’alternativa può essere creata non solo nel mondo nostalgico e psichedelico della Vaporwave, ma anche nel mondo reale, provocando conseguenze concrete per la vita di milioni di giovani.

Che dire allora? Memers di tutto il mondo, unitevi!

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